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Lui & Lei

Il pranzo


di Scrittore1991
28.03.2024    |    1.916    |    2 6.7
"Nel tardo pomeriggio il salone si era svuotato, i volontari avevano finito di riordinare e pulire ed i genitori stavano infagottando i figli negli spessi..."
Non so se avete idea di che cosa significhi organizzare un pranzo di autofinanziamento per un'associazione di volontariato.
Se partecipi al pranzo non lo fai per il menù, che in genere è molto buono benché semplice, ma per aiutare un'associazione ad andare avanti e per la comunità che ci gravita attorno, per poter condividere del tempo con amici, conoscenti e persone affini, che poi basta mettere le gambe sotto ad un tavolo, magari con un bicchiere di vino, e si diventa davvero tutti un’unica famiglia.
Questo è quello che accade da me perlomeno.

L’altro giorno è andata così un ottimo pranzo, tanto vino per gli adulti e tutti i ragazzi a giocare a pallone nel piazzale. Nel tardo pomeriggio il salone si era svuotato, i volontari avevano finito di riordinare e pulire ed i genitori stavano infagottando i figli negli spessi cappotti, io avevo salutato i miei amici e volevo vedere se serviva ancora una mano per riordinare.

Trovai Amara nel grande salone usato come refettorio, era sola e seduta ad uno dei tavoloni con il fondo di una vaschetta di gelato davanti.
“Hey, hanno già fatto tutto?”
“Ho le ultime cose da lavare, ma prima devo finire questo, non ci sta più in freezer e non voglio buttarlo!”
“Allora ti do’ una mano…”
Presi un cucchiaino, due bicchieri, e la mezza bottiglia di moscato sul tavolo all’ingresso e mi sedetti di fronte a lei che mi sorrideva con quei suoi denti dannatamente bianchi.

Amara è una giovane ragazza, ha ventiquattro anni, madre africana e padre italiano, il pool genetico le ha donato una carnagione scura, un viso dolce e delicato ed un carattere molto amichevole e dolce. Si era trasferita nella mia città già da molti anni, ma facendo parte di generazioni diverse non ci eravamo mai incrociati. So che al mattino lavora in una pescheria del centro e nel tempo libero collabora con questa associazione, non abbiamo mai parlato veramente giusto qualche chiacchiera durante le riunioni o i grandi eventi.

Sorseggiavo l’ennesimo bicchiere mentre parlavamo di come era andata la giornata, i nostri cucchiaini si incrociavano spesso mentre ridacchiavamo rubandoci reciprocamente il gelato. Solo dopo qualche minuto mi accorsi che stavamo bevendo dallo stesso bicchiere, aveva ignorato quello che avevo preso per lei puntando semplicemente al mio. Il presidene dell'associazione venne a dirci che eravamo gli ultimi, che lui doveva andare, ma di finire pure con calma tanto tutte le porte erano già chiuse, dovevamo solo ricordarci di spegnere le luci uscendo. Rimasti soli mi parlò dei suoi genitori, non le chiesi nulla, fu lei ad iniziare l’argomento forse complice il vino.

Sua madre era un’immigrata e suo padre un mafioso. Lui aveva preso sua madre come domestica e come puttana personale, le aveva dato una vita migliore in cambio del suo corpo, del suo tempo e della sua libertà. Suo padre la picchiava spesso per correggerla, quando credeva di potersi comportare da moglie o da donna, ma era solo una serva, una sua proprietà. Sua madre era rimasta incinta quasi subito, ogni tanto le raccontava che era stato lui a volerlo, ma si era assicurato che non ne avesse altri, ne bastava una. Suo padre non le aveva mai dimostrato amore, ma solo una forma distaccata di affetto e una forma strana di interesse, voleva che andasse a scuola quel tanto che bastava per essere scaltra ed imparasse a diventare una donna di casa, come sua madre. Morì quando aveva quasi otto anni, mi disse che era finito in un agguato di qualche clan rivale mentre viaggiava in macchina.

Amara ereditò tutta la parte legale delle attività del padre, era sua figlia legittima ed unica parente, si ritrovarono con parecchi soldi, una casa al sud ed altre quattro al nord, nella mia città. Si trasferirono subito e sua madre vendette tutto quello che non potevano portarsi via, inclusa la casa in cui non era mai stata libera. Al nord poté far studiare sua figlia, darle un futuro diverso, ma non riuscì mai a dimostrare vero amore... Poco dopo il diciottesimo di Amara, sua madre prese metà dei soldi e si trasferì in un’altra città dove aveva trovato un nuovo marito italiano. Non si erano più sentite da allora.

Ero rapito dal suo racconto, non dimostrava dolore, solo una fredda malinconia, mi guardò con i suoi occhi scuri ed il sorriso dannatamente bianco facendo svanire tutte le amarezze.
“Vado a finire, mi fai compagnia?”
“Certamente!”
Si alzò di scatto prendendo i resti della nostra merenda, dirigendosi poi verso la cucina. Portava anonime scarpe da ginnastica bianche, un paio di pantaloni della tuta molto colorati ed una maglia in tinta con un leggero scollo a V, mi ricordava un’infermiera delle sitcom americane. Presi la bottiglia vuota ed il bicchiere pulito e la seguii ammirando il suo corpo esile e slanciato, era di poco più bassa di me, si muoveva sicura ed elegante come un grande felino, come una leonessa.

Il lavello era vuoto, doveva solo lavare i due cucchiaini ed il bicchiere.
“Pensavo avessi più roba da lavare.”
Dissi gettando la spazzatura negli appositi contenitori e riponendo il bicchiere sulla rastrelliera.
“Si, in realtà avevo già finito… Ma volevo vedere se ti saresti fermato con me.”
Mi posizionai a mezzo metro da lei in silenzio guardandola lavare frettolosamente le ultime cose, era finito il tempo di parlare.
Si girò per guardarmi con la testa leggermente inclinata ed uno sguardo tra il divertito ed il malizioso che non le avevo mai visto prima, senza esitazione le mie labbra si posarono sul suo collo color cioccolata, caldo, profumato di donna e di sudore dopo una intensa giornata in cucina. La stringevo in vita mentre le sue mani si muovevano leggere sulla mia schiena e tra i miei capelli corti, ansimava mentre assaggiavo la sua pelle perfetta.
Amara iniziò a strusciare prepotentemente il suo bacino contro il mio pube, voleva essere presa ed io non aspettavo altro.

La spinsi contro il muro, trovai un preservativo nella tasca dei jeans senza chiedermi come mai ne avessi giusto uno e mi staccai da lei per abbassarmi i pantaloni ed indossarlo tornando poi a fissare il suo corpo stupendo, nel frattempo si era tolta i pantaloni e le mutandine formando una piccola montagnola sul pavimento. Continuava a fissarmi con quello sguardo che mi faceva impazzire, passando la rosea lingua carnosa sui denti dannatamente bianchi, le sollevai una gamba ed entrai dentro di lei facendola sussultare, ci muovevamo ritmicamente cercando di staccarci il meno possibile, la baciavo mentre lei ansimava nella mia bocca.
Volevamo essere una cosa sola, volevamo sentire la nostra carne fondersi e volevamo godere. Non ricordo chi dei due venne prima, ricordo solo che quando ci staccammo eravamo entrambi esausti, ma felici come non lo eravamo da parecchio tempo.
Ci vestimmo in fretta, un ultimo lungo bacio passionale per salutarci e ognuno tornò verso casa sua, volevamo vederci ancora, fare dell’altro, ma subito dopo suonò la sveglia.

Si, avete capito bene, era tutto un sogno.
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