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Le tre fasi. [Parte II]


di Tritone61
23.08.2019    |    1.259    |    0 7.6
"«Eh, Maretta, Claudio è un po’ più dotato di tuo fratello..."
Ero lì spaparanzato su una sdraio a bordo piscina a riordinare i miei pensieri e intanto mi accarezzavo, gustandomi la novità del mio corpo privo di peli, senza distinguere bene se il piacere mi derivasse più dalla pelle che avvertiva il tocco delle mani liberato dallo schermo dei peli oppure se venisse dalle mani stesse, che svelavano di me questa nuova dimensione.
Ogni tanto aprivo gli occhi, per rassicurarmi che fosse tutto vero e non soltanto un sogno. Ogni cosa era reale: la nonna leggeva, a sua volta sdraiata accanto a me, con le gambe aperte e la figa in bella vista; Lucrezia, sua figlia, con il tubo dell’acqua innaffiava le aiole e, quando si chinava per annusare un fiore, le si schiudevano le natiche permettendomi d’intravvedere il suo buco del culo e le labbra della figa; Paolo e Mara, i due ragazzi suoi figli, in piscina si rilanciavano una palla tuffandosi per recuperala, mostrando in questo modo anch’essi la loro completa e disinvolta nudità. Così doveva sentirsi Pinocchio appena giunto nel Paese dei Balocchi.
Poi dovevo anche essermi appisolato un po’, perché non mi accorsi che qualcuno si era avvicinato e si era inginocchiato vicino a me.
«Ciao Mara, avete finito di giocare a palla?»
Lei mi sorrise, mi fece segno di stare zitto e mi posò una mano sugli occhi, invitandomi a richiuderli. Mi prese in mano il cazzo e cominciò a segarmi, molto lentamente, quasi con noncuranza, come se non volesse ingenerarmi aspettative e ansie. La troietta evidentemente sapeva il fatto suo, non solo con la meccanica dei movimenti, ma anche con la mente, perché aveva capito che questo era il modo migliore per risvegliarmi la voglia di sesso. Quando il mio arnese fu completamente a tiro, si mise a leccarlo e poi a imboccarlo, sempre più profondamente. Ci misi un po’ a capire che gioco stava facendo: prendeva un respiro, si tuffava e tentava di ficcarsi il mio cazzo sempre più giù in gola. Con il pollice prendeva la misura fin dove si era spinta ogni volta.
«Guarda, manca poco ormai. Aiutami.»
Io le feci prendere fiato, le misi una mano sulla nuca e spinsi fino a sentire il conato nella sua gola.
«Va bene così?»
«Ancora.»
Ripetei l’operazione più volte, vedendo a ogni sua risalita che la saliva diventava sempre più densa e che gli occhi avevano preso a lacrimare.
«Eh, Maretta, Claudio è un po’ più dotato di tuo fratello.» disse la nonna voltandosi verso di noi.
«Sì, ma anche Claudio potrà confermare che le dimensioni non sono importanti.» aggiunse la madre, avvicinandosi a sua volta.
«State parlando di me?»
«Sì, vieni da mamma.» gli fece cenno Lucrezia. Pure lei si mise in ginocchio, fece appoggiare un piede a Paolo sulla sdraio della nonna, in modo che divaricasse la gamba e cominciò a fare un pompino a suo figlio, mentre gli trastullava con le mani le palle.
«Talis mater, talis filia.» commentò la nonna ridendo.
«Senti chi parla» replicò Mara passandosi il cazzo dalla bocca alla mano «Proprio tu che sei la più vacca di tutti noi!»
La nonna, come a voler confermare la sua reputazione, si protese verso la nipote.
«Fammi sentire che sapore ti ha lasciato questo bel cazzone.» e si mise a leccare le labbra della nipote imbrattate di saliva, per poi infilarle la lingua in bocca, a cercare le tracce dei miei umori nei recessi più profondi delle fauci. La nipote ricambiava con gusto. Si mise a palpeggiare le grosse tette della nonna, cercandone i capezzoli inturgiditi. Se li aggiustò bene tra pollici e indici, per poi strizzarli con quanta forza aveva.
La vecchia mollò il contatto con la bocca, si inarcò con la schiena all’indietro ed emise un urlo, durante il quale perse il controllo della vescica e fece partire uno schizzo di piscia.
«Brutta troietta, adesso ti aggiusto io.» ringhiò la nonna quando riuscì a riprendersi. Prese Mara per un braccio, si sedette, la fece mettere riversa sulle sue ginocchia e cominciò a sculacciarla.
«Mmm, adoro questo spettacolino.» sentii dire da Lucrezia mentre abbandonava il figlio per mettersi a guardare la scena.
«Mamma, troia, non si fa così!» reagì Paolo, che a sua volta si mise seduto, prese sua madre per un braccio e ripeté esattamente quel che si era messa a fare la nonna: sculacciava sua mamma con una mano e, con l’altra, la teneva giù trattenendola per i capelli della nuca.
Mara e Lucrezia, sottoposte a questo castigo giocoso, gemevano e mugolavano. Infatti, il castigo era giocoso ma non per questo finto, visto che la nonna e Paolo non si risparmiavano di certo nell’infierire contro le natiche delle due vittime.
«Nonna, vediamo chi dei due arrossa di più il culo di queste vacche.» disse Paolo con l’occhio depravato.
«Sono pronta a sfidarti.» disse la nonna e poi, rivolta a me: «Conosci un modo migliore per insegnare alla gioventù la differenza tra provocare dolore e fare male a qualcuno?»
«Effettivamente…» commentai io.
Mi guardai intorno, trovai il flacone di crema già utilizzato dopo la depilazione e, quando i due sfidanti si ritennero soddisfatti, mi recai a portare sollievo a quei culi arrossati con anche delle strie violacee. La temperatura della carne era bollente.
«Così ci ricorderemo di questo pomeriggio tutte le volte che ci sederemo nei prossimi giorni.» disse Mara arricciando in naso con una smorfia di dolore.
«Sì, ma con la memoria del corpo, non solo con quella della mente.» precisò sua madre.
Nonna e Paolo nel frattempo si scambiavano il flacone di crema, dato che anche il palmo della loro mano ne reclamava l’applicazione.
«Claudio, guarda che noi ci amiamo da morire, anche quando facciamo questo.» volle precisare Paolo.
«Certo, questo mi pare evidente.» conclusi io.
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