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Lui & Lei

Tre Figlie Di Mammà - Capitolo 4


di Giangi57
24.04.2023    |    1.593    |    0 8.7
"Le feci capire che l’avrei attesa, e il suo piacere, che sopravanzò il mio di un istante, durò tuttavia più del mio, poiché le donne godono più a lungo di..."
Tre figlie di mammà (Trois Filles de Leur Mére)
Pierre Louÿs, (Gand, 10 dicembre 1870 – Parigi, 6 giugno 1925)
(Opera libera da diritti di autore, ai sensi dell’art. 25 della legge 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.
“Art. 25 - I diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte.”)

AVVERTENZA ALLE LETTRICI

Questo piccolo libro non è un romanzo. È una storia vera nei minimi dettagli. Non ho cambiato nulla al ritratto della madre e delle sue tre figlie, alla loro età e alle vicende narrate.



Capitolo 4

Quattro ore trascorsero. Cenai solo in un piccolo ristorante senza donne, per recuperare un po’ le forze; soprattutto per riprendere il controllo di me stesso.
Recuperai le forze abbastanza in fretta; ma per ritrovar me stesso ci volle più tempo.
Quando rientrai, verso le undici, facevo ancora una certa fatica a comprendere quel che mi era accaduto.
Avevo dunque come vicina una bella italiana che vendeva le figlie.
Che avessi preso una delle sue figlie, era più che normale. Da che mondo è mondo gli studenti e le quattordicenni hanno fatto l’amore insieme. Che la madre, abituata a dividere gli amanti con le figlie, avesse bussato subito dopo alla mia porta, anche questo era del tutto naturale.
Ma perché mi aveva mandato Lili? Perché mi aveva promesso la visita di… Bussarono.
Bussarono due volte… Andai ad aprire. Una voce dolce e calma mi disse: «A quanto pare è il mio turno».
Indietreggiai. Teresa mi aveva avvertito che Charlotte era la più bella delle sue figlie, ma non speravo che lo fosse a tal punto, e glielo dissi apertamente: «Dio, come è bella!».
«Vuol tacere?» disse tristemente. «Tutte le ragazze si equivalgono».
«È Charlotte?».
«Sì. Le piaccio?».
«Se mi piace!».
Mi interruppe per dirmi con una specie di sollievo e di stanchezza: «Ebbene, tanto meglio, perché io, io mi mostro come sono, lo sappia, non sono per nulla civetta, e se tu… se lei… Oh! ci si dà del tu, va bene? è più semplice».
«E se ci baciassimo?».
«Quanto vorrai».
Le presi la bocca appassionatamente. II bacio che mi rese era più languido che ardente, ma cordiale. Lei si limitò a dire, quando le misi una mano sotto le vesti: «Lascia almeno che mi spogli».
«Credi che ne abbia il tempo?».
«Hai tutta la notte».
E senza fretta, con la naturalezza di una modella che si denuda dinanzi a un pittore, si tolse la sottana nera, le calze, la camicia e, nuda davanti a me, sospirò: «Sono come le altre, lo vedi».
Era deliziosa. Aveva la pelle meno scura della madre, ma era altrettanto nera di peli e di capelli, con forme dolcemente tornite, e tutto in lei spirava dolcezza: lo sguardo, la voce, la pelle, le carezze.
Quando fu sopra il mio letto, tra le mie braccia, sussurrò quasi umilmente: «Vorrei darti il piacere… Devi solo chiedere, farò tutto quello che vorrai, e come vorrai».
Fui allora colto da un desiderio furioso di possedere quella deliziosa fanciulla per la via più naturale. Le dissi che l’amavo, che volevo sopra ogni altra cosa il suo piacere, e il gesto che accennai le fece capire in qual modo l’intendessi.
Ma Charlotte inarcò le sopracciglia e in tutta innocenza: «Chiavare?» mi disse. «Oh, se vuoi! Ma se pensi al mio piacere… no! Io, lo sai bene, non sono una ragazza complicata, mi piace soltanto una cosa».
«Quale?».
«Quando chiavo, la paura di restare incinta mi toglie ogni voglia di godere. Non mi piace chiavare. E neppure mi piace che me la si lecchi, perché la cosa mi sfinisce.
Mamma l’adora, io glielo faccio e non voglio che me lo renda».
«Ma allora come fai, quando vuoi godere?».
«Faccio come le fanciulle per bene: mi masturbo» rispose Charlotte con un triste sorriso.
Ero confuso. Volli che me lo ripetesse: «Ma come, sei sverginata, fai all’amore in tutti i modi, hai ogni giorno uomini e donne, e… ti masturbi? Posso capirlo per una ragazzina come Ricette; ma tu che hai vent’anni?».
«Bambinone che sei,» mi rispose «forse non sai che tutte le puttane si masturbano?».
«Charlotte, non voglio che ti consideri una puttana!».
«Scusa,» disse lei con sarcasmo «forse non sai che tutte le verginelle si masturbano?».
Sorrisi a stento. Ero irritato.
Charlotte, incurante, continuò con la stessa voce languida e lenta: «Io non mi nascondo affatto.
Quando ne ho voglia, mi masturbo, e non m’importa chi abbia davanti».
«E spesso?».
«Evidentemente… Non mi piace restare eccitata, mi stanca… Stamane, prima di alzarmi, non l’ho fatto, ma l’acqua del bidè era calda, il grilletto mi tirava… mi sono scrollata».
«Sopra il bidè?».
«Sì, non valeva la pena che tornassi a letto. E poi dopo colazione perché… Ma tu mi prenderai in giro…».
«No. Dimmi ogni cosa».
«Lili mi ficca un biscotto nel ventre e bisogna che io mi ci masturbi sopra perché lei lo mangi».
«E poiché sei una ragazza docile…».
«Oh! io faccio tutto quel che vogliono. Finalmente, dopo cena, mi hanno parlato di te, era da otto giorni che non andavo a letto con un giovanotto, mi venivano in mente certe cose!… allora continuando a chiacchierare… poiché ne avevo voglia…».
Senza terminar la frase, si portò il dito tra le cosce e, sorgendomi le labbra, riprese placidamente a masturbarsi.
«Ah, no!» esclamai. «Non sul mio letto! Quando mi capita la fortuna d’avere tra le braccia una ragazza bella come te, non capisci che ho voglia di essere io a farla godere?».
«E tu non capisci che mi faresti godere se avessi il tuo cazzo in culo e la tua bocca sulla mia mentre mi scrollo?».
«Suvvia!» esclamai «dopotutto non posso incularvi tutte e quattro!».
Avevo pronunciato quelle parole con una tale irritazione che la povera Charlotte si mise a piangere.
«Eccola qui, la mia fortuna» disse. «Dicono che sono gentile e poi se la prendono sempre con me.
Tu sei stato carino con mia madre e con le mie sorelle. Io vengo per restar qui tutta la notte, e fin dalle prime parole mi tocca una scenata».
Piangeva con semplicità, senza il minimo singhiozzo, ma questo la rendeva ancor più degna di compassione. La presi tra le braccia, balbettando: «Charlotte! non piangere! sono desolato».
«E naturalmente ecco che ti ammosci!» disse lei con un tono afflitto che mi fece involontariamente sorridere.
«Charlotte! mia bella!».
«No, non sono bella, visto che ti ammosci! L’hai avuto duro per mamma, per Ricette e per Lili; ma vicino a me, guarda… guarda…».
Le lacrime la soffocavano. Ero desolato. Non sapevo come porre fine a quel dolore irragionevole, quando Charlotte si eresse e, con quel bisogno di logica e di chiarezza che è tipico delle anime semplici, riprese a dire con la sua voce lenta e buona: «Ti ho detto che farò tutto quel che vorrai. Puoi godermi in fica, in culo, in bocca, tra le tette, sotto le ascelle, tra i capelli, sulla faccia, godimi nel naso se questo ti diverte, che altro posso dirti, dunque? potrei esser più gentile?».
«Ma, cara Charlotte…».
«Ma tu mi chiedi cosa mi piace; ebbene, il mio piacere più grande è di scrollarmi mentre mi si incula.
Siamo tutte e quattro così, ce l’abbiamo nel sangue, non è colpa mia. E non siamo le sole, mio Dio!
Quante ne ho vedute, quand’ero ragazzina, di scolarette e di apprendiste che mi dicevano in confidenza: “Anche a me piace essere inculata”».
«Dunque…».
«Dunque fai di me quel che ti piace se è il tuo piacere che cerchi; ma se cerchi il mio, inculami e lascia che mi scrolli da sola. Hai capito bene?».
Le nostre bocche nuovamente si unirono e la riconciliazione ebbe come primo effetto di farmi ben presto tornare in uno stato più degno di lei. Cedetti al suo volere, però non mi prese immediatamente in parola e, dopo avermi ricordato che non le piaceva che la si slinguasse, si pose delicatamente sopra di me, a rovescio.
Era un qualcosa di veramente grazioso, la fica di Charlotte, forse perché non ne faceva uso… ma non era così, poiché il secondo buco, di cui faceva gran uso, era privo di difetti come quello di Teresa.
Per quanto languida e calma, Charlotte era una giovane creatura stillante umori, una di quelle che dicono «Sono bagnata per voi» così come un’altra direbbe «Brucio».
Aveva dei peli forti, più lucenti e meno lunghi di quelli della madre, però anch’essi crescevano all’inizio delle cosce e colmavano il solco della groppa.
Dopo tutto quel che Charlotte m’aveva detto, non volli lasciarle dubbi sulle mie intenzioni. Le aprii le natiche con le mani e toccai col dito quel che lei mi offriva… Mi tornò in mente una fanciulla a cui avevo fatto altrettanto e che con un fremito del posteriore s’era messa a urlare: «Oh! dammi il cazzo! il cazzo! il cazzo!». Charlotte era tutta bagnata, però non fremeva e non lanciava urla. E inoltre era più abituata a accarezzare che a esser accarezzata. Per un equivoco che la sua professione bastava a spiegare, scambiò il mio gesto per un segnale e poiché stava leccando i testicoli portò la sua lingua più in basso.
Charlotte non era una viziosa.
La maggior parte degli uomini ignora a tal punto l’adolescenza femminile che non sarebbe in grado di capire come una fanciulla possa confessare il gusto di scrollarsi mentre la si incula senza avere alcun senso del vizio. Le fanciulle mi capiranno meglio e ciò mi consola, essendo evidente che le fanciulle più che i mariti leggeranno questo mio libro.
Dunque, Charlotte non aveva alcun senso del vizio, per fortuna sua e mia; però era «sensibile», come dicevano gli autori del diciottesimo secolo. E senza grida, né sospiri, né sgroppate, prese a stillare con tale abbondanza che la piccola Lili (lei, sì, viziosa) avrebbe inzuppato tre biscotti in quel calice schiumoso. La vulva ne traboccava e anche i peli erano madidi… Mi ritrassi in tempo. Quello spettacolo mi consolava di non aver posseduto Charlotte per la via inondata.
Quando ci ritrovammo fianco a fianco, ci arrestò un nuovo incidente. Charlotte non voleva scegliere né proporre nulla. Non aveva nessun gusto, nessun capriccio, nessuna preferenza, nessuna fantasia. Immaginare o decidere la stancava.
«Se mi inculi e io mi scrollo» disse «sono contenta».
«Allora mettiti con la testa sul pavimento e le cosce sul letto».
«Se vuoi!» mi rispose con semplicità.
Poi, avendo capito che non facevo sul serio, mi prese il viso tra le sue belle mani e mi disse con un sorriso, senza rancore: «Ti diverti a prendermi in giro?
E va bene, continua per tutta la notte e tutte le volte che andremo a letto insieme. È il più facile dei giochi. Credo a tutto quello che mi si dice e non mi offendo mai di nulla».
«Sei disarmante!» le dissi.
«Sono disarmata,» rispose «perché so da gran tempo che sono una povera sciocca».
Parole compassionevoli, parole tragiche! Non dimenticherò mai il tono che Charlotte assunse nel dirmi quella frase. E le donne sono davvero folli nel credere di poterci sedurre con l’arte di abbellirsi.
Charlotte fu sul punto di conquistarmi del tutto con la confessione che mi fece.
L’avevo davanti nuda, con la testa reclinata, le mani giunte sul ventre all’altezza del cespuglio… Fu come se la vedessi per la prima volta. Mi resi conto che la sua bellezza, come il suo carattere, era genuina. Niente rosso sulle labbra, né ferro ai capelli; niente sulle ciglia né sulle palpebre. La trovai così semplice, così bella e così buona che le dissi, scrollandola per i gomiti e i fianchi: «Sì, sei una povera sciocca, Charlotte, se non credi a tutto ciò che sto per dirti; capisci, Charlotte? a ogni parola. Tu sei bella dalla testa ai piedi. Non c’è un solo tratto del tuo viso, né un pelo del tuo ventre, né un’unghia dei tuoi piedi che non siano belli. E sei buona quanto bella. Ti conosco, ora, e tocca a me dirti: fai sul mio letto ciò che vuoi.
Solo una cosa ti proibisco; di insultare colei a cui voglio bene e che mi eccita. Se tu la tratti ancora da puttana e da idiota…».
«No,» rispose lei con allegria «le farò la corte, la masturberò, perché ne ha voglia. E io stessa le aprirò le natiche affinché tu l’inculi».
«Fammi vedere come».
Era stesa al mio fianco. Si voltò senza alcuna intenzione di propormi una posizione, ma io mi affrettai a prenderla così com’era.
Accadde con una facilità straordinaria, e che in seguito sperimentai più volte. L’ano di Charlotte somigliava a quelle guaine di pugnale strette e precise, ma in cui la lama entra con facilità estrema. Per dirla in termini crudi, ma chiari: se lo si aveva duro tra le natiche di Charlotte, la s’inculava quasi senza volerlo, ma l’ingresso era morbido, oltre che teso, e per un insieme di qualità che sarebbe indecente lodare oltre misura, lo si penetrava più in fretta di quanto fosse possibile uscirne.
Charlotte inculata divenne ancor più Charlotte di prima: più languida, più umida, più dolce, più teneramente abbandonata. Mi ero lievemente girato, in modo che fosse quasi stesa sopra di me, supina, e questo le permise di divaricare le cosce in tutta la loro estensione. Le misi una mano davanti: era un lago. Pensando che non si fosse ancora masturbata, mi chiesi quale miracolo sarebbe sgorgato sotto le sue dita quando avesse finito.
Cominciò a gemere dal primo momento in cui le fui dentro, e continuò per otto o dieci minuti, senza un «crescendo», senza una reazione. Sembrava non curarsi di dissimulare il proprio piacere e soprattutto di gridarlo come un’attrice. Si masturbava con una tale lentezza che la sua mano sembrava immobile mentre io stesso, rendendomi conto che lei amava quelle calme voluttà, facevo nelle sue calde viscere dei movimenti impercettibili. Verso la fine, vinta da uno scrupolo che la dipinge assai bene, volse verso di me uno sguardo languido e mi disse in deliquio: «Vuoi che ti parli? Vedi come sono contenta quando m’inculi! Ti fa piacere che ti dica tutto quel che provo mentre ho il tuo cazzo nel culo?».
«No.
Dimmi soltanto quando…».
«Quando scarico?».
«Sì».
«Quando vorrai tu. Tutte le volte che vorrai. L’ho fatto baciandoti prima che tu mi inculassi e sono pronta a ricominciare».
«Subito?».
«Ma sì. Non vedi che mi masturbo? Quando mi dirai di godere, godrò».
Sono cose, queste, che non si dicono. Le feci capire che l’avrei attesa, e il suo piacere, che sopravanzò il mio di un istante, durò tuttavia più del mio, poiché le donne godono più a lungo di noi.
Il minuto che seguì non ci divise. Charlotte rimase tra le mie braccia a guardarmi in silenzio con quell’espressione di gratitudine che ogni amante conosce.
«Mi piacciono i tuoi seni» le dissi, mentre li accarezzavo.
Non le dissi nient’altro, e stavo cercando qualcosa di meglio, quando lei mi interruppe con un’esclamazione di sorpresa: «Oh, come sei gentile! Ti piacciono i miei seni, tesoro? Hai appena inculato la povera Charlotte e non ne sei disgustato?».
«Disgustato? ma sei pazza!».
«Se tu sapessi com’è la vita di una puttana…».
«Ti avevo proibito di trattarti in questo modo».
«Che cosa sarei, allora, dopo dodici anni in cui ogni giorno quattro o cinque uomini mi passano sul culo, e qualunque lesbica può strofinarmi le sue chiappe sulla faccia? Se ti ho detto che tutte le puttane si masturbano, hanno buone ragioni per farlo. Quando si fa il mestiere, ci si masturba; senza di questo non si godrebbe. In ogni modo, una cosa è sicura, e cioè che quando hai fatto di tutto per piacere a un uomo e lui ha scaricato, non sei più altro che una puttana e una figlia di puttana».
«Mia “povera Charlotte”, come tu dici, ti assicuro che…».
«E io non sono abituata a sentirmi fare dei complimenti sulle mie tette quando mi s’incula, ecco tutto».
Aveva ancora le lacrime agli occhi.
Non sapevo che cosa risponderle. Le volevo bene a sufficienza per farmi voler bene da lei?
Per lasciare a me stesso il tempo di riflettere e per meglio conoscere la mia compagna di letto, feci un paio di domande a cui Charlotte rispose con l’intero racconto della sua vita.
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