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L'APERITIVO


di SweetMaster2023
06.02.2024    |    4.838    |    2 7.1
"La fissai dritto negli occhi e vidi che, per il dolore, improvvisamente le si eran riempiti di lacrime: anche le guance si erano arrossate in modo evidente..."
Quella sera ero passato al bar per un aperitivo, ma era tardi e i miei amici eran già andati a prepararsi per la cena, prevista per le 20:30. Ero un po’ in ritardo, dato che ancora avrei dovuto passare a casa a farmi la doccia e cambiarmi, quindi pensavo a una pausa breve.

Appena entrato vidi la coppia seduta a un tavolo in fondo al locale: mi colpì il fatto che benché fossero solo le 20, lei fosse già vestita da sera con un abito mozzafiato, che lasciava poco all’immaginazione: bellissima, bionda, sui 30, alta oltre i 170, slanciata, due seni naturali, proporzionati, e un sorriso splendido me ne fecero innamorare subito, a maggior ragione dopo che sentii la fragorosa risata che produsse in reazione a una battuta del marito.

Lui era un giovanotto dal tipico aspetto dello studente secchione, con un viso da bambino che lo faceva apparire probabilmente più giovane di quel che fosse realmente, a meno che non avesse solo una relazione di amicizia con lei, che sembrava almeno 10 anni più vecchia di lui: due fedi nuziali mi convinsero invece che potessero anche essere sposati.

Mi accomodai al tavolo di fianco col mio aperitivo analcolico, dando le spalle al muro in modo da poter guardare lei senza che lui potesse accorgersene, e iniziai a leggere il giornale, che avevo preso vicino al bancone, lanciandole occhiate prima brevi poi sempre più insistenti.

Una volta seduto, iniziai anche a guardarle le gambe, cercando di intuire se portasse o meno le mutandine, senza peraltro riuscirci.

Dopo qualche minuto lei agganciò i miei sguardi e iniziò un gioco di seduzione molto raffinato, pieno di sorrisi, ai quali rispondevo con altrettanta simpatia; lei allungò una mano sul braccio del marito e iniziò a carezzargli l’avambraccio e il polso, dicendogli infine quello che stava succedendo.

Ottimo, c’era complicità e lei/loro eran più intelligenti di quel che temevo: al di là del facile gioco seduttivo, non mi piace affatto chi tradisce il/la partner, molto di più chi ci gioca consapevolmente.

Lui si girò brevemente, ma in modo deciso, verso di me per vedermi in faccia e mi sorrise, un pochettino imbarazzato: era lei che conduceva i giochi, questo era certo, e questo mi diede un che di soddisfazione, come se ci fosse un ostacolo in meno per continuare la serata in quel modo promettente.

Mi sbagliavo, su questo, perché di ostacoli proprio non ce n’erano, ma non potevo ancora saperlo.

Dopo qualche minuto lei si alzò e venne direttamente a sedersi al mio tavolo, di fronte e me, in modo sfrontato: diede un’occhiata al giornale e mi chiese cosa ne pensassi della recente scoperta sulla fusione nucleare riportata brevemente in prima pagina. Forse pensava di cogliermi impreparato e di mettermi in imbarazzo, ma era cascata male.

Le spiegai che anche se per la prima volta, e senza confinamento magnetico, era stata prodotta più energia di quella impiegata per innescare la reazione, ciò non significava molto per l’utilizzo di questa fonte come alternativa ai combustibili fossili, perché rimaneva il problema dei neutroni ad alta energia emessi e, soprattutto, della scarsità assoluta del trizio sulla Terra, uno degli isotopi dell’idrogeno che funge da carburante.

Ecco che di nuovo proruppe in una sonora risata:”Complimenti, professore, mi hai fregata!”, ammise con una punta di sarcasmo e autorironia.

“Ma no, anzi, parlo sempre volentieri con tutti di tecnologia, in particolare con le belle donne: cosa sai dirmi del deuterio?”, le sorrisi beffardo.

“Nulla, ovviamente, ho solo visto l’articolo sul giornale che leggi”.

“Per oggi non ti interrogo, allora… posso invece offrirvi ancora qualcosa da bere?”

“No, tranquillo, siamo a posto; tra poco dobbiamo andare a cena… però se sei libero potresti unirti a noi”, mi propose.

“Se tuo marito è d’accordo ben volentieri: inizio ad avere una certa fame…”

“Assolutamente sì, farebbe piacere anche a noi non dover cenare da soli”.

“Piacere, Gabriele”, le dissi porgendole la mano. “Mi togli solo una curiosità? Ti ho notata subito perché sei molto bella, ma non son riuscito a capire se porti o meno gli slip”. Ero passato all’attacco.

“Piacere mio, noi siamo Annalisa e Luca è mio marito... Adesso comunque capisco perché continuavi a guardarmi le cosce! Beh, perché non lo scopri tu stesso?”, disse avvicinando un poco la sedia al tavolo e aprendo leggermente le gambe.

Come colpito da una scarica elettrica, il mio pene divenne duro come il ferro e iniziò a premere contro l’elastico delle mutandine, causandomi una piacevole sensazione di dolore sul glande.

Diedi prima una controllatina intorno, per assicurarmi che nessuno si accorgesse di ciò che stavo per fare, ma vidi che lui solo ci osservava compiaciuto dal tavolo accanto, con una faccia quasi estasiata, in contemplazione, pienamente consapevole di ciò che la sua donna gli stava regalando.

Passando da sotto al tavolino, feci scorrere la mano all’interno della di lei coscia, sopra le calze a rete nere, fino a sentire i peli pubici, che tirai leggermente.

“Fai pure con comodo”, mi disse ironica.

Per provocarla, allora, glieli tirai più forte, e vidi che si morse un labbro dal piacere.

Diedi infine un ultima tirata facendo parecchia forza ma lentamente: lei inarcò leggermente la schiena e trattenne a stento un gemito di piacere e dolore, facendo traballare la sedia.

La fissai dritto negli occhi e vidi che, per il dolore, improvvisamente le si eran riempiti di lacrime: anche le guance si erano arrossate in modo evidente.

Temendo di aver esagerato, ritrassi il braccio e mi apprestai a chiederle scusa, ma lei non me ne diede il tempo, perché mi afferrò la mano che ancora reggeva il giornale e ci piantò dentro le unghie:“Mi piace un po’ di dolore, e a te?”, mi chiese sottovoce diventando improvvisamente seria.

Soprassalii e feci fatica a non urlare, mi aveva fatto un male cane, colpendo anche i tendini, e quando mollò la presa la mano sanguinava:”Anche a me, un poco”, risposi mogio, sottolineando col tono di voce “un poco”. “Me lo sono meritato, scusa”, le dissi rabbuiato.

“Non essere stupido, è proprio quello che mi piace, un porco violento...”, mi rispose sottovoce con l’ennesimo sorrisetto ironico. Non capii davvero se mi stesse prendendo in giro o se fosse realmente quello il suo modo di esprimere la sessualità; in tal caso mi avrebbe fatto impazzire di piacere. La rimpiangevo già.

“Ci muoviamo?”, chiese il maritino comparendo al tavolo come se nulla fosse successo.

“Ho invitato anche lui, se non ti dispiace: Gabriele, questo è Luca, mio marito”.

“Lo avevo immaginato… piacere Gabriele, ho l’impressione che ci divertiremo, a cena”.

“Piacere mio, Marco… ma anche dopo-cena, se volete.. io ho la serata libera”, mentii alzandomi. “Arrivo subito”, dissi, e mi diressi verso il banco per riporre il giornale e pagare il conto.

“Quanto devo? Anche la consumazione dei miei amici”, dissi al barista indicandoli.

Pagato il conto, ci demmo appuntamento al ristorante vegetariano che loro mi indicarono.

Feci subito una telefonata al mio amico Ferdinando dicendogli che mi sentivo poco bene e che non me la sentivo di uscire a cena con loro quella sera: rintuzzate alcune insistenze da parte sua, gli dissi che avevo anche mal di testa, il che lo convinse definitivamente, a dimostrazione del fatto che la scusa dell’emicrania non è solo femminile.

Quando raggiunsi Luca e Annalisa al ristorante, notai che avevan preso posto in un tavolo molto appartato, poco illuminato, e ne immaginai il motivo.

Feci per sedermi accanto a Luca ma lei mi fece cenno di accomodarmi al suo fianco, spostando leggermente la sedia, cosa che accettai ben contento.

In questo modo, sembravamo noi la coppia e Luca un amico.

“Abbiamo già ordinato un aperitivo anche per te, spero non ti dispiaccia”, disse Luca amabilmente.

“No, affatto, sei gentile… ma piuttosto, mi piacerebbe considerarmi al vostro servizio, stasera, quindi vi sarei grato se mi diceste quali regole e limiti devo rispettare. Non mi piace creare malintesi o rischiare di apparire arrogante, invadente o inopportuno, cose che non sono e che detesto io stesso”.

“Nessun limite, caro! A noi piace lasciarci condurre, e tu sembri esperto anche di questi incontri, oltre che di Fisica”, mi disse lei dopo aver riso ampiamente.

“Sì, ho capito”, insistetti, “ma siccome io tendo a esagerare, non vorrei risultare poi ci fossero problemi”.

“NESSUN LIMITE”, mi ripeté lei sottolineando la locuzione con voce stentorea, stavolta seria, fissandomi negli occhi con uno sguardo quasi di sfida.

Incoraggiato, le presi la mano e me la misi sul pene, ridiventato immediatamente duro dopo quella presa di posizione così radicale da parte sua.

Me lo strinse con tale forza, seppur attraverso i pantaloni, da farmi quasi male: e più stringeva, più diventava duro, fino al massimo possibile. Mi comunicò così la sua voglia, e io la mia.

“Sei grosso, come piace a me”, mi sussurrò all’orecchio quasi volgarmente.

Sorseggiando l’aperitivo, iniziammo a parlare della volgarità e del suo utilizzo nel contesto sessuale: anche su questo, lei ed io eravamo perfettamente d’accordo, mentre Luca era meno convinto che un linguaggio triviale potesse aumentare l’eccitazione: secondo lui, anzi, era vero il contrario, e apprezzava molto il contrasto tra la gentilezza, la buona educazione, lo stile e lo scatenarsi fisico dei sensi.

“Forse allora ti posso dire che l’unica cosa che Luca soffre è quando mi chiamano troia”.

“Non lo farò, nessun c’è nessun problema”, dissi in modo esageratamente accondiscendente.

“Ma a me piace molto!”, disse lei tornando a fissarmi con sguardo di sfida.

Luca sorrise e fece un gesto come per dire che si arrendeva al volere della sua dea: avevo già immaginato che lui fosse succube di lei, e questa era forse una conferma.

“Siete allora sicuri che posso fare qual che mi sento? Ovviamente nei limiti di igiene e salute compatibili con questi giochi, minimizzando i rischi…”, chiesi.

“Sì, per noi va bene, inventa tu le situazioni, noi ti seguiamo”.

Appena terminata la frase, mollai ad Annalisa un ceffone forte in pieno viso; il rumore ci attirò gli sguardi degli altri avventori che cenavano ai tavoli più vicini, ma non fecero in tempo a rendersi conto di cosa fosse successo e non reagirono se non con qualche mormorio di sconcerto.

Annalisa si era sorretta al mio braccio per non cadere, e dopo aver gridato, respirò un paio di volte a fondo prima di parlare; eravamo entrambi curiosi di capire cosa avrebbe detto, e Luca sembrò un pochino preoccupato. Sulla guancia portava ora i segni delle mie dita.

“Hai fatto bene, me lo merito”, disse lei infine piuttosto seriamente.

Mi concentrai allora a sviluppare un dialogo in cui farle ammettere che era una cagna sottomessa, facendole ripetere dopo di me frasi sconce, anche per il piacere di Luca, che si era tranquillizzato e stava ad ascoltare beato.

“Quindi lo ammetti che sei una troia sottomessa?”.

“Sì lo ammetto”, sussurrò.

“Ripetilo bene: sono una troia sottomessa”.

“Sono una troia sottomessa”, disse con voce un pochino più alta.

“Sono una lurida cagna che si fa usare dai maschi”, suggerii.

“Sono una lurida cagna che si fa usare dai maschi”.

“Mi piace prenderle”, proposi.

Stavolta abbassò gli occhi: “Mi piace prenderle”, ammise con un filo di voce.

“Adesso rilassiamoci e mangiamo con calma, altrimenti non riusciremo a goderci il cibo”, disse Luca.

“A me sta bene, ma Annalisa dovrà aprire le gambe ogni volta che le accarezzerò le cosce”, dissi a lui fissando lei, che le aprì subito, come per chiarire che era assolutamente d’accordo.

Andai quindi di nuovo con la mano a cercarle la figa, e stavolta ci infilai dentro un dito, deciso: la troia era un lago, totalmente fradicia, segno che aveva apprezzato molto il ceffone che aveva appena preso.

Dentro di me decisi che quella sera l’avrei menata senza ritegno.

Terminammo la cena facendo tutti e tre molti sforzi per non lasciarci andare all’eccitazione più imbarazzante, quindi, pagato il conto “alla romana”, chiesi loro come volevano concludere la serata.

“Volevamo andare in discoteca, ma non so se…”, disse Luca.

“Io temo che per divertirci come piace a noi ci voglia molto tempo, quindi vi propongo di venire da me, invece”, dissi.

“No, preferisco che sia tu a venire da noi, perché se sei bravo come sembri, poi sarei stanca a dover tornare di notte a casa”, disse seriamente concentrata, con un’espressione un po’ da mamma che cerca di far ragionare un bambino.

“Mi sta bene, vi seguo allora”.

Giunti nel loro grande appartamento in centro città, mi offrirono da bere e mi misero a mio agio, consegnandomi una specie di kit con ciabatte e vestaglia, in modo che potessi riporre le scarpe nell’ingresso senza doverle usare in casa, un segno di cura dell’igiene che apprezzo molto anche io.

Annalisa sparì in toilette e vi si trattenne parecchio, mentre Luca ed io, dopo esserci cambiati e aver indossato le rispettive vestaglie, discutemmo sul divano del suo lavoro di medico alle prime armi. Scoprii così che si eran conosciuti a Boston, negli USA, dove entrambi studiavano Medicina; poi lui si era specializzato in oculistica e lei in pediatria. Avevano entrambi 32 anni, e Luca si schernì dicendo che abitualmente nessuno gli dava l’età che aveva realmente.

Chiesi a Luca se giocavano spesso in quel modo, e lui rispose, con mia sorpresa, che questa era solo la seconda volta, dopo una prima esperienza deludente in Francia.

Ammise che a lui piaceva di solito molto la parte di regista e spettatore, e che al bar era stata Annalisa a proporgli di fare un tentativo con me, perché le piaceva la mia aria pulita e franca, quindi lui aveva solo acconsentito.

“Vai a chiamarla, e dille che non si pulisca se ha pisciato”, gli chiesi.

Quando lei arrivò, lavata e profumata, con indosso solo un babydoll trasparente nero, si sistemò subito sul divano in mezzo a noi, che iniziammo ad accarezzarla e baciarla ognuno dalla sua parte.

Lo spettacolo di una bella donna seduta quasi nuda in mezzo a due maschi, vale da sola la serata.

Le baciai con una pressione leggerissima delle labbra la spalla e poi il tratto di collo che arriva all’orecchio, notando che le piaceva assai, provocandole dei piccoli brividi di piacere che le fecero venire la pelle d’oca sul braccio.

Le presi un senso stringendolo con fermezza, poi afferrai il bel capezzolo pronunciato tra le labbra e iniziai a leccarglielo piano, molto dolcemente: appena mi mise la mano sulla testa, glielo morsicai con forza, non esagerata ma dolorosa, il che la fece trasalire allontanando il busto dallo schienale.

Luca le stava nel frattempo lavorando la figa con le dita, e lei gli aveva aperto bene le gambe per facilitarne l’intrusione, spingendo anche il bacino verso il bordo.

Il piacere iniziava a possederla, e lei ci si lasciava andare con molta naturalezza, senza alcun ritegno.

Mi slacciai la cintura, sbottonai i pantaloni e le misi in mano il grosso cazzo, che lei iniziò lentamente a masturbare, del tutto a suo agio.

Le diedi un secondo ceffone forte:”Ti avevo detto di non pulirti la figa, dopo aver pisciato”, le dissi duro, con tono accusatorio, in modo che sentisse anche lui.

“Non l’ho fatto!”, esclamò lei abbassando lo sguardo. “Però temo che tu sia arrivato tardi”, aggiunse.

Non capii a cosa si riferisse finché non notai che il marito era passato a leccargliela tenacemente.

“La dovrai rifare per me”, le dissi. “Appena riesco, va bene”, mi disse con sguardo divertito, tenendomi la mano.

Dopo pochi minuti ebbe il suo primo, rumoroso orgasmo, che le provocò, oltre a gemiti forti, anche dei sussulti notevoli, che le fecero sbattere la schiena sul divano, alzando anche il culo dal sedile.

Immediatamente dopo, sentii la bocca di lui infilarsi tutta la mia verga dentro, fino in gola, e questo aggiunse un tassello per me ancora incognito.

Senza alcun indugio, gli presi la testa e gliela premetti sul cazzo, per farlo andare oltre i due terzi che era riuscito fino ad allora a prendere dentro: questo gli causò dei conati di vomito prima lievi poi evidenti, accompagnati da abbondante uscita di saliva, che Annalisa scese a bere.

Alternai lungamente l’introduzione del mio cazzo nelle due bocche , veramente fameliche, ma purtroppo nessuna delle due riuscì a farlo entrare completamente. Mentre mi concentravo sul piacere dei due che si alternavano sul membro, sentii un dito presentarsi sull’uscio dell’ano: dopo qualche pressione su tutta la zona periferica, per lubrificarmelo bene, mi entrò in modo deciso fino in fondo, facendomi mugolare di piacere.

Col cazzo bene infilato nella bocca avida di Luca, mi alzai e mi piegai per baciare Annalisa per la prima volta, mente lei continuava a far andare avanti e indietro il dito medio nel mio culo.

Le diedi alcuni ceffoni forti, poi le afferrai il polso e la costrinsi a succhiare il dito che mi aveva penetrato, cosa che fece con gusto.

“Ficcalo dentro di nuovo, troia, e poi fallo succhiare al porco!”.

Il dito entrò nuovamente e stavolta fu lui a prenderlo in bocca, senza alcun ritegno: notai che lei lo aveva afferrato tirandogli i capelli per staccarlo dal mio cazzo, senza tanti complimenti, e capii che le piaceva fargli male; non sapevo però se avrebbe gradito prenderle anche da me, quindi non ci provai nemmeno.

Presi la troia per i capelli e la feci mettere alla pecorina; Luca mi aiutò a metterle sotto le ginocchia un cuscino, in modo che non si facesse male. Dopo aver infilato un profilattico, le entrai con tutto lo slancio che avevo, facendola gridare, e iniziai a montarla selvaggiamente, tirandola per i capelli e mollandole di tanto in tanto una sberla, sia in faccia che su culo, sul quale mi accanii con molta più forza rispetto al viso, lasciandole subito le belle chiappe rosse. Le sue grida non facevano che aumentare la potenza dei colpi coi quali la penetravo.

Ad un certo punto sentii la lingua di lui da dietro, prima passare sui sui testicoli gonfi, poi che cercava di entrarmi nel culo. Tentai di facilitargli il compito allargandomi le natiche con le mani, ma i movimenti dell’amplesso con sua moglie ci ostacolavano. Decisi allora di rallentare i colpi a lei e di lasciare che lui mi succhiasse per bene l’ano, come gli riusciva egregiamente.

Raramente mi viene voglia di scopare un uomo, ma quella era una di quelle occasioni, perché erano entrambi troppo eccitanti per riuscire a non pensare alle porcate più assolute.

Mi resi conto che aveva ragione Annalisa: nessun limite!

Mi presi una attimo di pausa e mi servii un po’ d’acqua fresca, così loro due iniziarono a scopare forsennatamente sul divano, lui sopra di lei.

Mentre aveva dentro suo marito, le feci bere un bicchiere d’acqua, cosa che riuscì a fare solo in parte, dato che il colpi di lui le causavano dei movimenti che facevan cadere parte dell’acqua sul tappeto.

Quando lui la girò per prenderla da dietro, le infilai di nuovo il cazzo in bocca e lo spinsi sempre più a fondo. Alternai colpi profondi a ceffoni di media intensità, fin a che a un certo punto mi decisi di entrare in lei talmente a fondo che non poté far altro che vomitare. La afferrai per i capelli e le mollai altri forti ceffoni, sentendola sussultare nel suo secondo orgasmo di quella sera, mentre lui da dietro continuava a sbatterla.

“Adesso pulisci tutto, lurida troia!”, le gridai in faccia mentre veniva.

Anche Luca, da dietro, con un colpo formidabile si svuotò dentro di lei, ansimando.

La cosa bella fu che nella pausa dei sensi che segue naturalmente l’orgasmo, ci venne naturale accoccolarci tutti e tre abbracciati sul divano, accarezzarci dolcemente, senza nemmeno sapere chi stesse toccando chi, né cosa. Probabilmente mi addormentai anche per un momento, nemmeno breve, perché al risveglio loro non c’erano più: intravidi una luce dalla porta di una camera da letto socchiusa, e mi avvicinai per sbirciare, cercando di non farmi sentire. Lo spettacolo del bellissimo corpo di Annalisa abbandonato sul letto, girato all’insù, e di lui che la baciava dolcemente, mi intenerì molto.

Mi allontanai per andare in bagno a mia volta: mi diedi una rinfrescata, e stavo per fare la pipì quando lei entrò e mi abbracciò da dietro:”Vuoi che faccia ciò che mi avevi chiesto prima?”, mi chiese maliziosamente.

“No, facciamo così, entri nella vasca e bevi un sorso della mia”.

Lei obbedì e aprì la bocca meravigliosamente: ci pisciai dentro con vero piacere, godendomi il rumore che il getto faceva nelle piccola pozza che le si era formata in bocca. Di colpo mi fermai e le ordinai di bere, cosa che lei fece con una smorfia di disgusto. Probabilmente sapeva che se non avesse obbedito sarebbero arrivati, immancabili, altri ceffoni, ma io non ero più dell’umore giusto per svolgere solo il ruolo del duro, cosa che lei non poteva però sapere.

Anche lei doveva urinare, quindi si sedette sul WC e si svuotò rumorosamente; come facilmente prevedibile, al termine la pulii per bene con la lingua, mentre, divertita, mi premette la testa contro, muovendo anche il bacino.

Veramente una splendida troia.

La presi per mano e la condussi in camera da letto: Luca ci accolse con un sorriso, immaginando che nella lunga pausa in bagno dovessimo esserci divertiti.

“Girati!”, gli ordinò lei, di colpo severa.

Luca si mise a quattro zampe e rivolse il culo verso di noi: lei si mise in ginocchio dietro di lui e iniziò a leccarglielo per bene, umettandolo con molta saliva ed entrando sapientemente un pochino dentro con la punta indurita della lingua ogni tanto. Gli mise poi nell’ano una crema con effetto leggermente anestetico, per rendergli meno dolorosa la penetrazione cui lo stava evidentemente predisponendo. Il culo di lui comunque era già aperto da precedenti penetrazioni, si notava subito.

“Sai quello che devi fare”, mi disse decisa, porgendomi un condom.

Non mi feci pregare, e cercai di penetrare Luca lentamente, premendo poco a poco e guadagnando a ogni spinta pochi millimetri. Lui si mise ad ansimare in modo esasperato, irrigidendo le natiche e ostacolandomi nella penetrazione. Mi ritrassi e chiesi ad Annalisa di lubrificarlo meglio, cosa che lei fece con dell’olio di mandorla che aveva sul tavolino.

A quel punto non c’eran più scuse, e penetrai quindi il porco fino ai testicoli, entrando deciso: gli diedi prima dei colpi lenti ma profondi, poi sempre più veloci ed energici, mentre lui ansimava e gridava ad ogni mia spinta.

“Non ha mai preso un cazzo così grosso”, mi sussurrò lei all’orecchio. "Spingilo forte! Inculalo, mi piace vedere che soffre!”, mi incitò, eccitata, con voce più forte, in modo che anche lui sentisse.

Nel giro di pochi minuti vidi che Annalisa andò a succhiargli il cazzo, fintanto che Luca finalmente venne, col mio pene profondamente inserito: non era molto dotato, ma sborrò abbondantemente nella bocca della moglie, rantolando rumorosamente.

Mi tolsi il profilattico e presi lei per i capelli, mettendomela davanti in ginocchio: le chiesi di infilarmi due dita nel culo di nuovo e menandomi il cazzo le venni in faccia, sporcandola tutta fino ai capelli. Mi pulì la cappella e i testicoli leccandoli bene, poi venne ancora una volta masturbandosi davanti a me, in ginocchio, tenendosi alle mie gambe.
Di nuovo rotolammo tutti e tre sul letto, e ci addormentammo abbracciati come se fossimo un trio affiatato da sempre, invece che dei semi-sconosciuti che si eran per caso trovati insieme al bar qualche ora prima.
L’ultima cosa che dissi ad Annalisa prima di addormentarmi, guardandola negli occhi, fu semplicemente:”Grazie”.
Lei mi ripagò accecandomi con uno dei suoi strabilianti sorrisi, che mi condusse direttamente nella braccia di Morfeo fino al giorno dopo.

Quando al pomeriggio incontrai nuovamente Ferdinando, il mio amico nonché medico di base con cui avrei dovuto trascorrere la serata precedente insieme ad altri, che passeggiava a braccetto della bella moglie, si disse molto dispiaciuto che non fossi potuto andare con loro, e mi chiese se mi fosse passato il mal di testa.
"Sì, ora sto meglio, grazie", gli dissi mentendo di nuovo. "Alla fine dove voi siete andati?", chiesi distrattamente.
"Al vegetariano vicino a piazza Vittorio", rispose con uno strano tono di voce.
Mi venne un colpo!
Poi, guardandomi dritto negli occhi con un sorriso di complicità maschile misto a bonario paternalismo, mi disse:"Proprio non sapevo che l'emicrania si curasse anche con le strafighe bionde", lasciandomi di sasso. La moglie rise a sua volta alla battuta del marito, segno che anche lei sapeva tutto... o quasi. Me ne vergognati un pochino.

Ancora adesso ci capita di ridere insieme dei miei mal di testa, e sono certo che stavolta farebbe fatica a credermi se gli chiedessi di curarmene uno reale.
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