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Lui & Lei

La fotografa e la commercialista


di AndreaCork
18.04.2020    |    626    |    2 8.7
"La bocca di lui si spostò verso quella di lei, che sentì umida e calda..."
Alessia B.


“Dove vai? Dove credi di andare? Dove cazzo vai?” fece Marcella.
“Via...”
“Come via?”
Lui alzò gli occhi al cielo, sconsolato.
“VA-DO-VIA-DI-QUI…”. Scandì le parole.
“E’ il mio compleanno e tu non vai da nessuna parte è chiaro?”
Lui rise sarcastico.
“Stai scherzando? Se poi me lo dici così...”
Lei sibilò le parole, furibonda:
“Non azzardarti a uscire da quella porta, o…”
“O cosa?” disse Juri facendo la valigia.
Sembrava che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro: il suo corpo sussultava, ma la bocca sibilava minacce, gli occhi socchiusi a due fessure e il dito puntato contro di lui.
“O io...” non finì la frase: vide che la sua amica non era insieme agli altri.
“Dov’è Alessia?”
“Tanto vale che te lo dica: è giù che mi aspetta… la riporto a casa io...” disse lui con la massima indifferenza.
Lei lo schiaffeggiò con violenza. Di puro istinto, senza nemmeno pensarci. Uno schiaffo secco: non gli fece male l’affronto, gli diede solo fastidio il capriccio di lei.
“Io ti ammazzo hai capito?” gridò. Lui si tirò indietro, lei cercò di schiaffeggiarlo ancora.
Gli altri entrarono nella stanza per separarli.
“Vai vai vai!!! Andate sì che sto meglio senza di voi hai capito?”
Lui senza dire nulla finì di prendere le sue poche cose, salutò gli altri e se ne andò. Mise la sua valigia e quella di Alessia nella sua auto e partirono. Stanchi tutti e due delle intemperanze e dei capricci della padrona di casa.

Sì, era il compleanno di lei, era vero. Aveva organizzato un weekend tra amici nell'appartamento di sua proprietà. Il venerdì sera Juri aveva suonato con la sua band in un locale, e lei aveva organizzato lì la cena per il compleanno con gli amici. Poi avrebbero passato la notte e gli altri due giorni a casa di lei. Da alcuni mesi lui era l’amante di Marcella: lei tradiva con lui un fidanzato troppo coglione per farsi rispettare, al punto da diventare addirittura amico dell’uomo che gli scopava a tradimento la donna. All’inizio, quella nata come una semplice amicizia, era addirittura divertente: uscivano insieme e chiacchieravano per ore, lei gli parlava della sua passione per la fotografia, faceva l’intellettuale con citazioni letterarie di bassa lega per impressionarlo cercando di mostrarsi più tormentata di quanto non fosse in realtà. Era bella, niente da dire. Parecchio in carne ma dal viso decisamente bello. Aveva visto i suoi quadri, e aveva deciso di prenderlo proprio con la sua passione per i piedi femminili. Lo provocava di continuo indossando tacchi alti e calze come piaceva a lui. Lo aveva provocato infinite volte, lo aveva spinto a chiederle di posare per lui, fino all’inevitabile conclusione: erano diventati amanti. Lui non era innamorato di lei e non aveva nemmeno intenzione di mettersi con lei. Qualcosa gli suonava strano in quella ragazza. Non avrebbe saputo dire cosa, ma non tutti i conti gli tornavano. Col tempo si mostrò manipolatrice e accentratrice di attenzioni: tutto doveva ruotare intorno a lei. Arrivò ad arrabbiarsi con lui una volta, solo perché non aveva accettato di spostare una data della sua band per portarla a fare una gita. Una sfuriata impressionante con pianti e sceneggiate da tragedia. Aveva iniziato piano a staccarsi da lei, la frequentazione non era più tanto assidua come in principio e anche quel weekend non aveva accettato del tutto volentieri l’invito a dormire a casa sua. E per tutta la sera non aveva staccato gli occhi da Alessia, l’amica veneziana di lei. Capelli neri come la notte, occhi grandi, anche lei in carne con due seni enormi ma, contrariamente a Marcella, perfettamente proporzionata. Si erano conosciuti mesi prima durante una gita a Venezia organizzata proprio da Marcella. Si erano trovati simpatici a vicenda e avevano iniziato a sentirsi. Anche senza la benedizione di Marcella. A volte si vedevano, anche. Ed era sempre lui che si divertiva ad andare dalle parti di lei per staccare dalla sua vita e passare qualche ora in relax con una persona con cui si trovava bene. Alessia non sapeva della sua passione per i piedi femminili. O meglio, lo sapeva, ma non avevano mai affrontato bene l’argomento. Eppure, inconsciamente, passò la sera a provocarlo: una bella camicia scollata, minigonna nera che mostrava le gambe perfette, calze nere e scarpe col tacco rosse. Lo osservava suonare e spesso il suo piede usciva dalla scarpa. Lui non poteva non notare questa cosa, e di lei apprezzava il fatto che facesse certi movimenti non per provocarlo intenzionalmente ma di puro istinto: aveva quello che lui chiamava “il talento”; un conto è giocare apposta con le scarpe, un conto è farlo senza pensarci: l’effetto per lui era completamente diverso. Un talento che lei aveva, e Marcella, onestamente, no. Ma non era solo questo a far sì che lui mettesse gli occhi qu quella ragazza. Alessia non aveva bisogno di ostentare la sua femminilità. Quella usciva da sola con una semplicità disarmante. E questa spontaneità in ogni cosa che faceva o diceva lo aveva conquistato. Oltre alla bellezza del viso e del sorriso solare di una persona in pace con se stessa che non ha bisogno di indossare una maschera per apparire interessante. Juri aveva già visto i piedi di Alessia. Li adorava. E quella sera, cazzo, erano sempre in mostra. Finito di suonare, smontò le sue cose e insieme agli altri della compagnia andò a casa di Marcella.
Prima di dormire stettero un po' in compagnia: Alessia si intrattenne con Marcella e Juri. Marcella era già in pigiama, lei era ancora vestita di tutto punto. Era seduta sul divano e aveva tolto le scarpe. Niente, Juri non sopportava più le invadenze e l’autoritarismo di Marcella: rispondeva a monosillabi ai discorsi di lei, le dava contro in ogni cosa che diceva, cercava inconsciamente di rendersi indisponente ai suoi occhi. In compenso non riusciva a togliere gli occhi dalla bella commercialista di Venezia.

Quando la stanchezza iniziava a farsi sentire, Marcella andò nella stanza di fianco a parlare con gli altri due ragazzi della compagnia. Alessia andò a cambiarsi per la notte e Juri era sulla soglia della porta per capire dove dormire, anche se... già sapeva che avrebbe dovuto passare la notte con la festeggiata. E l’idea lo faceva sorridere ben poco. Vide Alessia di spalle che si spogliava, senza avvedersi della presenza di lui. E qui il cuore di Juri saltò due battiti: calze autoreggenti. Cazzo. Erano autoreggenti. E due bellissime culottes nere, trasparenti. Ora sì che sarebbe stato difficile non pensare a lei. Era proprio una persona di un’eleganza istintiva e fuori dal comune!!! E fica. Niente da dire, niente da fare. Era proprio fica. Non avrebbe dimenticato facilmente quel culo. Marcella si intratteneva con la coppia di amici e Juri si sdraiò nel letto nella camera in cui poco fa chiacchierava con le due ragazze e iniziò a leggere un libro. Alessia arrivò. Anche lei in pigiama, stavolta. Si mise vicino a lui, dandogli le spalle e leggendo anche lei un libro. Juri aveva in mente quanto aveva visto poco prima.
“Posso?” chiese lei.
“Certo!!!”: lei non sapeva della tresca tra lui e la padrona di casa e lui semplicemente aveva deciso di fregarsene della cosa. Non gli importava più nulla di Marcella. Ormai era chiarissimo dentro di lui.
“Complimenti...” le disse.
“Per cosa?”
“Ti ho vista mentre ti spogliavi...” disse lui. Non voleva metterla in imbarazzo ma farle un complimento sincero.
Lei la buttò in ridere, per nulla imbarazzata per essere stata vista praticamente nuda.
“Prossima volta chiudo la porta allora...”
“Se ti vesti ancora così, lasciala pure aperta!!!”
“Così come? Col pigiama?”
“No!!! Con le calze autoreggenti e le mutandine di pizzo...”
“Ah!!! Queste, intendi?”: e così dicendo, abbasso un attimo pantaloni del pigiama e gli mostrò il sedere e le mutandine.
“Sììì!!! Bel culo davvero!!!”: lei rise di gusto. Spensero la luce e scherzarono un altro po', parlando anche della serata. Juri era uno scopatore impenitente e l’avrebbe presa lì. Così, in quel momento, senza pensarci troppo. Ma anche lui aveva dei limiti: era a casa di una donna che lo voleva, anche se più per soddisfazione personale che per vero desiderio e non poteva essere così spudorato. Marcella aprì la porta e li vide sraiati vicini. Diede seccata la buonanotte ai due e se ne andò a dormire nella camera libera.
“Dici che se la sia presa?” chiese Alessia.
“Boh, forse sì… ma che se la prenda pure. Io non la sopporto più…”
“Come mai?”
“La vedi. Vuole comandare su tutti, fa i capricci, crede di essere una regina. E dai Ale, lo sai quanto mi piacciono questi atteggiamenti...”
“Pure io sono molto sicura di me...”
“No scusa, ma tu proprio non ti comporti così!!! Sarai anche sicura delle tue idee ma sai stare al tuo posto, ok?”
“Che fa di così orribile?”
“Prova a non fare quello che ti dice… quello che ti impone lei. Provaci soltanto. Poi fammi sapere, ok? Poi… cazzo... me la trovo a casa a ogni ora senza preavviso… sto per mettermi a cena e arriva lei, sto per andare a letto e mi telefona dicendomi che è sotto casa mia… sono stanco di averla intorno e nemmeno io so perché ho accettato di venire a dormire qui, ok?”
“Non la facevo così autoritaria...”
“Autoritaria? E’ invadente e capricciosa… non ne posso più di lei...”
Restarono così, vicini, tesi per la reazione di Marcella. Avrebbe voluto abbracciare Alessia, metterla con un braccio sul fianco e farla dormire così. Farle sentire che la voleva ma anche protetta. Anche se aveva un po' di soggezione di lei. Si era sempre mostrata molto attenta ai suoi spazi personali, non era mai troppo espansiva. E lui aveva un rispetto enorme per lei. Lo aveva sempre avuto, non si era mai posta come una che si svende. E lui come tale l’aveva sempre trattata, e anche quella sera l’avrebbe trattata così. E rinunciò a toccarla come gli sarebbe piaciuto fare.
Alessia sentì Marcella che sbuffando si aggirava per la casa. Sembrava una tigre in gabbia.
“Stanotte dormo di là. E domani mattina me ne vado…” disse.
“Come te ne vai?”
“Forse hai ragione, sì, la sento che è aggressiva adesso che me lo fai notare… la senti come cammina? Dai che vado di là…”
“Solo se lasci che domani ti porti a casa io...”
“Ci sto…”: Juri era felicissimo di potersi liberare da quella situazione. Anche se gli sarebbe costato un’ultima notte con Marcella. Avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di liberarsi di lei, dei suoi capricci, della sua invadenza e della sua aggressività. Così sarebbe potuto stare un po' con Alessia e gustarsi la presenza di quella ragazza elegante e raffinata. La ragazza senza dire nulla andò nella camera dove dormiva Marcella, che senza dire nulla entrò nella stanza di Juri. Si mise a letto con lui senza nascondere l’irritazione per aver visto che qualcuno cercava di portarle via il giocattolo. Lo baciò e cercò di farsi prendere da lui. Ma Juri non ne aveva alcuna voglia. Lo toccò, cercò di prenderlo nel modo che piaceva a lui. Ma lui non ce la faceva. Non trovava coerente scoparsi una donna di cui non voleva più saperne. Sì, aveva il cazzo durissimo. Ma perché pensava ad Alessia, non per le avances di quella ragazza che ormai gli dava solo fastidio. Quelle proprio non lo toccavano minimamente. Le disse con garbo che era stanco e che aveva bisogno di dormire.
“Ma ce l’hai duro...”
“Sì ma mi si chiudono gli occhi, devo davvero dormire...”
Lei fece un sospiro di disprezzo e gli voltò le spalle in malo modo, mettendosi a dormire.
La mattina dopo Juri si svegliò che Marcella ancora dormiva.
“Dove vai?”
“A prendere un caffè” disse secco.
“Ma aspetta che veniamo anche noi!!! Andiamo tutti insieme!!!” rispose lei.
“Il caffè lo voglio adesso, non tra un’ora”
“Ma se siamo tutti insieme...”
Lui alzò le spalle.
“E allora?”: il suo spirito libero venne fuori. Il rito del primo caffè della giornata era sacro: lo prendeva da solo, leggendo il giornale e senza rivolgere la parola a nessuno. Se ne aveva voglia, invitava lui qualcuno a prendere il caffè con lui. Ma guai a proporgli di fargli compagnia. In questo era sempre molto chiaro. Non tollerava invadenze o imposizioni in questa cosa. E quel giorno non faceva differenza. Marcella uscì in fretta dal letto cercando di supplicarlo.
“Dai non fare l’asociale, aspetta gli altri!!!”: lui non ne voleva sapere e iniziava a irritarsi: aveva voglia di caffè, del suo caffè e quella persona cercava di imporgli una cosa a tutti i costi.
“No. Non ho voglia di aspettare che tutti siano vestiti lavati e truccati, voglio solo prendere un caffè da solo, ok?”: Marcella era sdegnata nel vedere che il suo giocattolo si ribellava a lei. Mentre usciva dalla stanza lei cercò di trattenerlo per il braccio.
Lui fece per liberarsi dalla presa di lei che si fece più forte. Tirò con uno strattone più deciso, senza nascondere la sua irritazione per il comportamento di lei.
“Va bene, vai, se ci tieni… ti portavo a far colazione dove fanno i muffin...”
Lui si girò e mise in chiaro le cose puntandole il dito contro.
“Mi muovo come voglio io. Se voglio prendere il caffè da solo, lo prendo da solo, altrimenti la presenza di chiunque vicino a me mi da solo fastidio. Ah, odio i muffin, mi fanno schifo i muffin, vado a far colazione dove dico io e nessun altro. Chiaro? Punto.”
Lei lo guardava a bocca aperta. Gli occhi, dapprima spalancati per lo stupore di quella reazione, si chiusero un po'. Le sopracciglia di lei si abbassarono e iniziò a giocare con le ciabatte, sapendo quanto quel gesto potesse eccitarlo, pur di indurlo a tornare sui suoi passi. Lui notò la cosa, ma dentro di sé capì che quel gesto, fatto solo per tenerlo incatenato, su di lui non sortiva più alcun effetto, se non di infastidirlo ulteriormente. Fosse stato anche solo perché veniva da lei.
Ci provò ancora a fermarlo.
“Non fare la figura del maleducato con gli altri!!!” disse severa.
“Maleducato? Non sto sputando in faccia a nessuno, vado solo a prendere un caffè, è chiaro o no?”. Detto questo, si girò e uscì di casa, soddisfatto per essersi allontanato da lei, respirando a pieni polmoni.
“Preparati ed esci che ti porto a casa” scrisse ad Alessia.
“Sono già pronta, vado con gli altri a far colazione e poi ti aspetto” rispose lei.
Ottimo. Prese il suo caffè, lesse il giornale per dare ad Alessia il tempo di muoversi e tornò a casa di Marcella per prendere le sue cose.
Scese di corsa le scale, inseguito da Marcella che urlava insulti, incurante della figura che stava facendo. Ogni due scalini lo prendeva a sberle e cercava di graffiarlo. Salì al volo in auto e scappò di corsa insieme ad Alessia.
“Hai capito adesso?” fece lui.
“Eh sì, davvero non pensavo fosse così… ma non sapevo che fossi l’amante della padrona di casa...”
“Ex amante...”
“Posso capire allora… mi dispiace...”
“Non ti devi dispiacere ok? Ha fatto di tutto per rendersi insopportabile, e ci è riuscita alla grande!!!”
Guidando si rilassarono e i discorsi, dapprima incentrati sulla loro ex amica, si erano fatti più distesi. Juri notò solo dopo un po' che Alessia era vestita come la sera prima. Immaginava che si sarebbe messa più comoda.
“Ah però!!!” disse scherzando. “Sempre elegante tu, eh?”
“Beh ho visto che ti piaceva e ho pensato di farti questo regalino!!!” disse, con la sua semplicità. Adorava come lei fosse semplice e spontanea.
“Belle anche le scarpe rosse...”
“Sì ho visto che hai apprezzato… poi vabbè i tuoi quadri parlano chiaro...”
“E che ci devo fare?”
“Niente… goditi lo show...”
“Prima o poi, poserai per me con le tue gambe...”
“E perché no?” fece lei, entusiasta della proposta.
Arrivarono a Venezia.
“Non andare a casa mia. Facciamo un giro per il parco San Giuliano...” disse Alessia.
Juri svoltò e uscì dall’autostrada, parcheggiarono l’auto e Alessia cambiò le scarpe, indossandone un paio di più comode.
“Scusa ma con i tacchi sull’erba, no eh...”
“Ci mancherebbe!!!” disse lui, ammirando lo spettacolo di lei che si metteva comoda. Camminarono e parlarono, si raccontarono ancora. Non si vedevano spesso e allora sentivano il bisogno di parlarsi. Lei si avvinghiò al suo braccio e lui fu contentissimo di quel contatto. La stagione non era ancora calda. Sedettero su una panchina a guardare la laguna e il profilo di Venezia. Gli aerei in atterraggio passavano vicini a loro. Anche con un semplice paio di ballerine Alessia non smetteva di mostrare i piedi. Juri guardava la cosa, si sentiva colpito in un punto debole. Voleva baciarla, voleva averla, ma non voleva nemmeno metterla in imbarazzo provandoci con lei. Al massimo tossicchiava imbarazzato. Ma non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. O meglio, lo faceva, ma gli costava uno sforzo immane. Si sforzava di guardare gli aerei e di perdersi con lo sguardo tra le onde della laguna. Lei tolse le scarpe.
“Lo so che i piedi sono il tuo punto debole ma ho le calze messe male…” fece lei, sistemando la cucitura sulle dita.
“Sì lo sono. E che ti devo dire? Tu mostri, io guardo...”
“Se mostro, vuol dire che no ho problemi, o no?”: la tipica logica di Alessia. Essenziale ma che non faceva una piega. Il pomeriggio passava veloce con lei. La silhouette di Venezia iniziava a mostrare le prime timide luci della sera.
“Andiamo a casa?” disse lei a un certo punto. Iniziava a tremare dal freddo.
“Sì, andiamo…”
“Ti fermi da me?” Lui valutò la cosa. No, non la valutò. Non voleva disturbare ma voleva fermarsi da lei, anzi... sperava di sentirselo chiedere. Anche durante il tragitto in auto lui non riusciva a non guardarle le gambe. Arrivarono a casa di lei. Alessia si mise subito comoda sul divano e aprì due birre. Lui le si sedette vicino e accese il telefono per curiosità. Decine di chiamate da parte di lei, decine di messaggi: alcuni di una cattiveria inimmaginabile, altri patetici. Parlarono di quanto successo quella mattina.
“Non ne potevo più di essere comandato a bacchetta da lei. Va benissimo così: non posso davvero avere a che fare con una persona del genere!!! Ti sembra il caso di comportarsi così???”
“No, non mi sembra il caso...”
Juri non aveva alcuna voglia di parlare di Marcella in quel momento.

Decise di osare, anche se l’avrebbe messa in imbarazzo. Mal che vada se ne sarebbe tornato a casa, da perdere non aveva nulla.
“Senti Alessia io non ce la faccio più… posso darti un bacio... a quei piedi?” disse lui nel suo dialetto.
Lei scoppiò a ridere come non l’aveva mai sentita. Una risata sincera e libera.
“Ok… capito...” fece lui.
“Ci sei rimasto male?”
Non ci era rimasto male. Assolutamente. Era contento di non averla messa in imbarazzo, sperava in un sì, ma non se l’era presa assolutamente. Non si poteva avere tutto.
“Fai finta che non ti abbia chiesto niente, ok?” disse Juri alzando le mani in segno di resa.
“Ma cos’hai capito?”
“Eh… beh... non ti va...”
“E chi te lo ha detto?”
“Sei scoppiata a ridere, mi sembra chiaro...”
“Guarda che io sono scoppiata a ridere per come me lo hai chiesto, non perché me lo hai chiesto…!!!” e rise ancora, prendendolo in giro ripetendo la richiesta di lui in dialetto ma con il suo accento veneziano. Non smetteva di ridere.
“Senti… ho le calze di ieri sera e ho tenuto le scarpe tutto il giorno... cioè, se a te non dà fastidio...” fece lei. A lui non parve vero. Era eccitatissimo.
“Figurati!!!” disse.
“Come facciamo? Togli tu o tolgo io?” chiese lei, girandosi e mettendogli i piedi in faccia.
Senza dire nulla, tolsero una scarpa a testa. Da quella posizione poteva vedere l’elastico delle calze di lei.
“Allora, posso...”
Per tutta risposta Alessia gli mosse i piedi sotto il viso.
“Sì!!!”: tremando per l’emozione, Juri baciò quei piedi, li baciò con dolcezza e sentì anche l’odore di lei, un odore che lo mandò in estasi. Juri stava impazzendo ma non volle osare ancora con i baci. Si fermò.
“Grazie...”
“Ma figurati!!! Spero solo che non puzzino...”
“Hai un odore buonissimo, fidati di me...”
Smorzarono la tensione.
“Vuoi cenare?” chiese lei. “Ti preparo qualcosa?”
“Solo se ti fai aiutare da me, altrimenti no...”
“Faccio io e tu mi fai compagnia, altrimenti torni a casa!!!” rispose Alessia.
“Non oso contraddirti!!!”
“Bravissimo ragazzo!!!”: poi andò in anticamera e mise le ciabattine da casa. Juri era ancora più contento, poteva vedere i talloni di lei per tutto il tempo. Lei vide che lui guardava.
“Non dirmi che anche così ti piacciono i miei piedi?”
“A dire il vero… sì...”
“Sei proprio matto, tu, eh?”
“Se fossi normale avrei fatto il geometra o il ragioniere e non l’artista, non credi?”
“Hai ragione in questo… comunque oggi era divertentissimo vederti imbarazzato. Ora però sei più tranquillo, vero?”
“Un po' di più...”
Alessia preparò un piatto di pasta. Era più un pretesto per un momento in compagnia che per un reale appetito. Non si sedettero di fronte l’uno con l’altra ma vicini. Si guardavano negli occhi mentre mangiavano. Sentiva le gambe di lei muoversi sotto il tavolo. Juri fece finta di sistemarsi i jeans per vedere se riusciva a sfiorarle. Vi riuscì per una frazione di secondo. Sentì sul dorso della mano il contatto con lei. Alessia si avvicinò di pochissimi centimetri, anche lei facendo finta di nulla, come se avesse solamente cambiato posizione per mettersi più comoda.

“Poseresti per me? Vorrei fare dei quadri con le tue gambe...” Non sapeva che risposta aspettarsi da lei, ma dato che gli aveva permesso di baciargli i piedi, magari avrebbe detto sì. Tanto valeva provarci.
Lo guardò stranita.
“Addirittura?” disse, bevendo un goccio di vino.
“Addirittura” confermò lui.
“E quando?”
Fu preso in contropiede. Si aspettava un sì o un no. Cercò di prendere tempo.
“Boh, vedi un po' tu...”
“Ti piacerebbe che lo facessi ora, magari? Tipo vedermi così...”: mise i piedi sulla tavola, come se fosse stata la direttrice di una grande azienda che si prende un momento di relax durante l’orario d’ufficio. Juri aveva di nuovo le piante di lei a pochi centimetri dal viso. Vedeva quelle belle gambe spuntare dalla gonna corta e iniziò a tremare impercettibilmente.
“Sì, tipo così...” disse lui, non sapendo più dove mettere le mani.
“Facciamo così. Mi accompagni in centro a prendere un caffè, e intanto ci penso su, ok?”
“Ok...”.
La osservò andare in anticamera e rimettere le scarpe col tacco rosse che lo avevano fatto impazzire. Le guardò il sedere formoso. Iniziò a essere stanco di quell’erezione continua che aveva da quando era salita in auto con lui. Aveva bisogno di farsi una sega. Ma sapeva che non sarebbe riuscito a farsela tanto presto.
“Che fai? Hai finito di guardarmi il culo?” disse lei. “Usciamo o no?”
“Sì… sì...” fece lui, ipnotizzato da lei.
Presero due caffè al bar, senza sedersi. Alessia non smise di rapirlo: era incantato dal suo sorriso e dai suoi racconti sulla scuola di ballo che frequentava, sul suo lavoro, sulla sua attività parallela di animatrice per i campi scuola, dei suoi studi per ottenere il master post laurea. Era rapito dal modo in cui lei lo torturava continuando a giocare con le scarpe e gli piaceva vederla nel suo paese, nel suo ambiente, salutando le persone che conosceva.
“Torniamo?” fece lei. “O vuoi stare in giro fino a mattina?”
“Torniamo…”: non aveva intenzione di tornare però sulla proposta che le aveva fatto durante la cena. Conosceva Alessia e sapeva che non si era dimenticata della cosa. Non voleva pressarla e sapeva benissimo che sarebbe stata lei a offrirsi se la cosa le avesse fatto davvero piacere. Come sapeva benissimo che se non le avesse fatto piacere fino in fondo di sicuro non si sarebbe prestata come modella.

Rientrarono in casa e lei andò in bagno.
“Prendi due birre dal frigo...” gli disse attraverso la porta a vetri. “E aprile!!!”
Juri tornò con le birre aperte. Lei battè sul cuscino vicino a lei.
“Qui!!!” fece, come si fa con un cagnolino.
Si sedette vicino a lei che di nuovo accavallò le gambe. Un tallone uscì dalla scarpa.
“Insomma vorresti vedermi così… in questa posa… e farmi un ritratto?”
Il gioco ormai era a carte scoperte.
“Te ne farei dieci, di ritratti… non scherzo!!!”
“E come faresti? Ci vuole del tempo, lo sai...”
“Foto. Lavorerei dalle foto che ti farei...”
“Quindi vuoi pure delle mie foto… Magari mentre sto messa così?” disse bevendo dalla bottiglia. Lasciò cadere la scarpa, allungò la gamba e se la accarezzò.
“Anche...”
“Oppure mentre sistemo la calza… così? Perchè no?”: fece finta di sistemare la calza sul piede, tirandola. Juri stava per esplodere.
“Eh… perché no?”
Mise di nuovo la scarpa, si appoggiò a una delle sedie attorno al tavolo e la sfilò, accarezzandosi la gamba col collo del piede.
“Anche questa è una bella posa, come se avessi i piedi stanchi...”
“Quella posa è stupenda Alessia...”
“E perché non stai scattando?” chiese lei.
“Non avevo il tuo permesso… poi magari ti infastidivi...”
“Hai il mio permesso!!! Scatta, coraggio!!!” ordinò lei.
Lui non se lo fece ripetere. Non aveva bisogno di dirle come mettersi. Lei aveva davvero il talento: apparentemente senza averne coscienza alcuna, sapeva come usare i suoi piedi e le sue gambe per sedurre. Dandogli le spalle, sbottonò il primo bottone della camicetta. Girò una sedia e vi si sedette, sporgendosi verso di lui. Tolse le scarpe e restò a piedi nudi. Sistemò i capelli per scoprire il viso e abbassò gli occhiali sul naso, dandosi un’aria severa da professoressa. Appoggiò le braccia alle ginocchia e lasciò che lo sguardo di lui si insinuasse nella scollatura. Fece uno sguardo di severa malizia che Juri catturò col telefono. Mostrò la lingua, prima sull’angolo della bocca, sempre con malizia, poi gli fece una linguaccia. Lui guardava tutta la sua figura, ogni centimetro di quella elegante e seducente bellezza, mai volgare. Sapeva irretire anche scherzando e facendo smorfie di simpatia. Accavallò le gambe e mostrò l’elastico delle calze. Questa volta intenzionalmente.
“Ti piace quello che vedi?”
Lui sudava e tremava incantato da quel gioco. Solo ogni tanto le sistemava le scarpe per rendere meglio le pose cui lei si prestava. Ovviamente la sua mano scivolava sull’arco del piede, accarezzandolo. A ogni tocco di lui, lei chiudeva gli occhi reclinando la testa all’indietro e respirando profondamente. Vedeva quel collo liscio che lo invitava ai baci. E allora era lui, a chiudere gli occhi. Era una modella favolosa, Alessia.
“Adoro quello che vedo...” le disse.
“Aspetta... questa te la regalo io…” disse lei.
Si mise sul divano, in ginocchio, mostrandogli il fondoschiena. Aprì le gambe.
“Scatta...” disse. Lui scattò due o tre foto di lei in quella posizione, prendendola da diverse angolazioni.
“Alt...” fece lei. Alzò la gonna. L’elastico delle calze era ancora visibile. “Forse ora va meglio...”
Lui deglutì.
“Va meglio sì!!! Posso scattare tutto?”
“Tutto tuo...” disse lei. Scattò ancora. Lei alzò ancora la gonna.
“Quindi queste mutandine ti erano piaciute...” disse, mostrando il sedere coperto solo dal pizzo nero quasi del tutto trasparente. Tolse del tutto la gonna, rimase con la camicetta, le calze e le mutandine. Si rimise in ginocchio sul divano, con una mano sul sedere. Sempre più maliziosa.
“Scatta ancora...” Lui scattò. Quelle mutandine lasciavano vedere alcuni dettagli dell’intimità di lei. Si avvicinò. Sentì l’odore di quel corpo che desidervava.
“Posso baciarti ancora i piedi?” le chiese.
“Fallo...”: lei appoggiò la testa alle braccia come se riposasse. Lui baciò i suoi piedi, accarezzò le sue gambe, le baciò fino ad arrivare alle natiche.
“Cosa fai?” chiese lei.
“Cosa faccio? Ti adoro… ecco cosa faccio!!!” disse Juri, baciandole il sedere.
“Grazie...” sospirò lei.
“Sei… cazzo, sei bellissima...” disse lui. “Girati adesso… voglio il tuo viso…”
Lei si girò. Lui vide che lei aveva un’espressione divertita ma con la bocca semiaperta.
“Stai andando via di testa, eh?” gli chiese. Lui non rispose.
“Apri la camicia… se ti va...”
Lei si girò verso di lui e piano piano aprì i bottoni che separavano gli occhi di lui dalla vista dei suoi seni.
Solo il velo del pizzo gli impediva di vederle distintamente i capezzoli.
“Metti un dito tra le labbra...”: lei obbedì. La fotografò ancora. Si sedette vicino a lei per fotografare nel dettaglio le sue labbra. Le tolse il dito dalla bocca per sistemarlo meglio. Una goccia della saliva di lei colava dalla punta.
“Posso fare una cosa?” chiese lui.
“Cosa?”
Lui raccolse quella goccia e se la portò alla bocca. La sua saliva… aveva un sapore meraviglioso.
“Sei proprio matto!!!” disse lei, ridendo.
“Lo farei ancora...”
Alessia si mise di nuovo il dito in bocca e glielo puntò sul viso, ancora più bagnato di prima.
“Vediamo!!!” lui prese il dito direttamente in bocca. Lo succhiò e ne assaporò il gusto.
Lei guardò i suoi occhi. Lui si avvicinò a lei.
“Posso ringraziarti a modo mio per tutto questo, Alessia?”
“E come faresti… sentiamo...” disse lei.
“Ti do un bacio...” disse con lo stesso candore che avrebbe usato lei.

Le mise la mano destra tra i capelli, sulla nuca, con l’altra le prese il viso. Con le labbra, le diede un bacio sulla guancia. Lungo. Un altro più vicino all’orecchio, ma più delicato, senza schiocco: posò le labbra semichiuse sulla sua pelle e la mordicchiò senza usare i denti. Un altro bacio sulla guancia morbida, un altro ancora vicino all’angolo della bocca.
“Juri...” disse lei, con la voce ridotta a un sospiro.
“Ale...” disse lui, sospirando a sua volta, mentre le labbra pizzicavano con dolcezza l’angolo della bocca della ragazza.
Stettero fermi così per alcuni secondi. Lei stranita da quella vicinanza che non aveva preventivato ma che sconvolgeva i suoi sensi, lui inebriato dall’odore di quella giovane donna. La bocca di lui si spostò verso quella di lei, che sentì umida e calda. Le loro labbra si toccarono, le mani di lei si arrampicarono fino alla testa di lui, prendendolo e trattenendolo a sé. Le labbra si schiusero e le lingue di entrambi iniziarono timidamente a giocare rincorrendosi. Juri non ce la faceva più, doveva accarezzare il corpo di lei. Sentì i fianchi, la pancia, la schiena di lei, le gambe e si soffermò ad accarezzarle il viso con tutto il dolce desiderio che aveva di lei, covato per troppo tempo.
Le baciò le labbra con la lingua, le prese tra le sue, lei ricambiò esplorando la bocca di lui.
“alt!!! Qui c’è qualcosa che non va...” disse lei interrompendo quel lungo bacio, sempre tenendolo per il viso.
“Che succede?”
“Alzati in piedi… coraggio!!!” fece lei.
Lui si mise in piedi e anche lei fece altrettanto.
“Io praticamente nuda, e tu…?”: senza lasciar passare un secondo lei gli mise le mani dentro la maglietta scoprendogli il torace. Lo accarezzò, gli passò le mani sulla schiena procurandogli brividi che non aveva mai provato prima. Si alzò in piedi di fronte a lui e gli sfilò del tutto la maglia nera attillata. Gli baciò il petto. Le prese la testa abbracciandola con dolcezza finché fu lei a fargli sentire la lingua sul collo. Le scompigliò i capelli e fece per slacciarle il reggiseno. La guardò negli occhi prima di proseguire.
“Fallo...” disse Alessia baciandolo con dolcezza. Slacciò il reggiseno e lo lasciò cadere a terra sfiorandole le braccia. Restò incantato a guardare i suoi enormi seni, ornati dai capezzoli induriti dall’eccitazione. La abbracciò e la strinse a se, fino a sentire che premeva su di lui. La accarezzò ancora baciandola tenendole il viso tra le mani, si abbassò a succhiarle i capezzoli, accarezzandole il seno come fosse una delicata opera d’arte. Le mani di lei andarono alla cintura dei jeans. Lui stette fermo a guardarla mentre lo denudava. La strinse di nuovo a se, il pene che puntava e strusciava contro il pube di lei.
“Ti voglio...” le sussurrò baciandole la testa. “Ho una voglia pazzesca di te, di prenderti… voglio fare l’amore con te...”
Alessia lo prese per mano con dolcezza.
“Vieni in camera...”
Si sedette sul letto e lo tirò piano di fronte a sé. Lo prese in mano, sentì quanto era duro e lo baciò piano. Riempì il glande di baci e lo prese in bocca. Lui si sentì bagnato da lei e iniziò ad accarezzarle i capelli.
“Alessia...” mormorò lui. La testa di lei si muoveva piano avanti e indietro, giocando con la lingua dentro la bocca per dargli piacere. Lo portò vicino all’orgasmo, solo con la sua bocca. Non era faciel farlo godere così, ma lei ci stava riuscendo. E ci riuscì.
“Alessia… vego se fai così… fermati...”: lei aumentò il ritmo. Lui le riempì la bocca di liquido che colava piano dalle sue labbra fino a bagnarle i seni. Juri la guardava incantato, bagnata del suo piacere e della sua stessa saliva. Sorrideva, Alessia, compiaciuta di averlo portato a godere in così poco tempo. Si sdraiò e tolse le mutandine.
“Non pensi di avere qualcosa da fare anche tu, qui?” disse aprendo le gambe e mostrandogli la vagina coperta di pelo. La aprì con le dita e si mostrò a lui. Bagnatissima. Juri si mise di fianco a lei. La baciò: anche se era sporca del suo sperma non gli diede fastidio, la accarezzava sui seni, si prendeva le sue gambe e impazziva ai sospiri di desiderio di lei. Sentiva i loro odori mescolati nel collo di lei, e Alessia lo abbracciò forte nel momento in cui la mano di lui si insinuò nella sua intimità. Sentì il clitoride eretto e duro, lo stuzzicò a lungo, prima sfiorandolo con dolcezza poi prendendolo tra la punta delle dita mentre con la bocca le torturava i capezzoli. La penetrò con le dita, lei si sentì bagnare ancora di più mentre la masturbava premendo sul suo punto G. E nonostante avesse la sensazione che lui volesse sollevarla dal materasso solo tirandola per la vagina, lei sentiva tutta la dolcezza del suo gesto, teso solo a regalarle piacere. Impazzì, la sua vagina faceva rumori osceni, ma godeva, spruzzava umori come pochissime volte le era successo. Si sentiva come se fosse stata attaccata alla corrente elettrica: le gambe tremavano, i seni ballavano alle spinte della mano di lui, la schiena non aveva più il controllo del corpo. Avevano le bocche vicinissime e i loro respiri si mescolavano, si guardavano negli occhi con aria di sfida, mentre il desiderio che covava in loro stava diventando feroce. Alessia lo prese in mano di nuovo mentre si rilassava piano piano.
“Oh… vedo che è ancora pronto...”
“Sì...” sussurrò lui al tocco di lei.
Infilò il viso tra i suoi seni.
“Dammelo… prendimi…”
“No. Dovrai aspettare...”
“Cosa? Cosa? Cosa?” disse lei all’ennesima carezza di lui.

Lui scese con la bocca. La baciò in ogni centimetro di pelle. Scese fino al pube, sentendo l’odore di lei. E impazzì. Impazzì mentre si prendeva quel gusto che voleva, la baciò, la leccò, bevve da lei ogni goccia di piacere. La leccava, la succhiava, e ancora le godette piantando le unghie nella testa di lui. Lo tirava a sé facendogli quasi male. Quando si rilassò lui la guardò, aperta e bagnata, vdie il triangolo di pelo e fu allora che la prese. Entrò in lei. E fecero l’amore. E scoparono. Poi fecero ancora l’amore. Alzò le gambe di lei all’indietro, spingendo con tutta la forza che aveva. Si mise in faccia i piedi di lei, annusando e baciando le piante che adorava: Alessia pensava che gliele avrebbe spezzate le gambe, finché non sentì ancora il glande di lui sollecitarle il punto G e con immenso stupore schizzò ancora su di lui un orgasmo lunghissimo. Un orgasmo simultaneo a quello di lui, che si precipitò a baciarle il viso come se non ci fosse stato un domani. Crollò esausto, Juri. Abbracciato da lei. Le metteva le mani tra i capelli col cuore che batteva forsennatamente. Non aveva il coraggio di uscire da quella donna meravigliosa. Ma la voleva ancora. La voleva… tutta. Uscì. Scese col viso, la guardò incantata: la sua vagina era contratta dagli ultimi spasmi di orgasmo e espelleva i loro piaceri. E lui baciò e bevve ancora.
“Ma cosa fai???” disse lei. Ma rideva. Era stupita di quanto fosse libero Juri.
“Ti bevo...”
Lei si mise le mani tra i capelli e chiuse gli occhi, inarcando il bacino per aiutarlo a baciarla.
La lasciò in pace solo quando ebbe finito di ripulirla completamente, sdraiandosi vicino a lei e accarezzandola. Lei si girò sul fianco dandogli le spalle, e lui la abbracciò. Aggrappato ai suoi seni e baciava la schiena, col pene insinuato tra le sue natiche. La voleva ancora. Lei lo sentiva, quanto era pronto a prenderla. E istintivamente si muoveva piano strofinandosi su di lui. Le mise un dito in bocca. Sentiva la sua lingua giocare, lui la mordicchiava. Stettero a giocare così per alcuni minuti. Lui le leccò la schiena e glielo chiese.
“Vorresti sederti sul mio viso?”
Alessia rise. Rideva ogni volta che lui le chiedeva qualcosa.
Gli diede uno spintone facendolo mettere a pancia in su e si girò verso di lui. Gli accarezzò i capelli e gli sfiorò il viso con l’indice, come si fa con un bambino che fa troppe richieste.
“Non pensi che un pochino debba fare anche quello che voglio io?” gli chiese. Lo toccò, lo accarezzò sul petto. Gli passò i piedi sul viso e sul corpo.
“Sì… in effetti è divertente avere un uomo che adora i tuoi piedi...” considerò, mentre lui le annusava le piante.
Lo prese in bocca, strofinando ogni tanto i seni su quel pene ancora durissimo dal desiderio di lei. Lo guardava negli occhi mentre lo faceva impazzire di baci. Lo masturbò con i piedi.
“Ti prego Ale, fallo...”
Rise ancora. Quella risata lo faceva impazzire della voglia di lei. Perchè era innocente e spontanea, e non rideva di lui ma con lui. E anche se avesse riso di lui l’effetto sarebbe stato lo stesso. Strofinando ancora i grossi seni su di lui risalì e si sedette sul suo pezzo di carne. Lo prese in mano e fece quel gesto che lo aveva sempre affascinato, tipico delle donne che sanno quello che vogliono: lo prese in mano e se lo infilò dentro. Si chinò a baciarlo e iniziò a cavalcarlo lentamente. Non lo faceva uscire… erano un corpo dentro l’altro, tenendosi le mani a vicenda e guardandosi negli occhi. Era vicina a un altro orgasmo, la bocca aperta su quella di lui. La saliva di lei colava mentre godeva.
“Allora… dunque vuoi un sessantanove con l’Alessia, eh?” chiese.
“Sì… lo voglio con tutto me stesso… ti prego… fammi questo regalo...”
“Solo perché me lo hai chiesto tu...”: si sfilò da lui, e con grazia si sedette sul suo viso. Lo lasciò leccare, baciare, penetrare. Le accarezzava i piedi. E pure lei si stupiva di quanto si stesse lasciando andare a quei giochi, senza domandarsi niente ma solo gustandosi il momento e gli orgasmi che lui le regalava. Godeva di quelle attenzioni oscene ma dolci. Le piaceva come la faceva sentire deisderata con le parole, con i gesti, con la sua erezione continua. Adorava come giocava con le su gambe, come le accarezzava i piedi mentre si dedicava a lei. E lo masturbò ancora con le mani e con le labbramorbide e accoglienti. Lo sentì che iniziava a leccarle l’ano.
“Beh? Anche quello vuoi?”
“E’ stupendo… e buono...”: la lingua di lui la tormentava anche lì senza sosta.
“Aspetta...”: si mise a pecorina e si allargò le natiche mostrandosi del tutto indifesa. “Forse così vai meglio...”: doveva essere impazzita. Addirittura rendere facili le cose a un uomo che voleva il suo culo…
Lui si chinò su di lei. Leccò ancora, la penetrò col dito mentre con l’altra mano le solleticava il clitoride per non crearle fastidio. Ma lei non sentiva fastidio, solo brividi e brividi e brividi di piacere.
“Aspetta… prendo l’olio da massaggi...”
No no no!!! Cosa stava dicendo??? Avrebbe dovuto dirgli che poteva solo leccarla, e invece lo voleva anche lì!!!
Lui riempì l’ano di lei di olio alla ciliegia, la penetrò con un dito
“Ah...”
“Ti faccio male? Smetto?”
“No… continua...”: ma intanto prese lei a masturbarsi.
Le dita di lui divennero due, ma le inserì con una dolcezza infinita. La voleva, ma non voleva farle male. Alessia sentiva questa premura da parte di lui e chiuse gli occhi dal piacere. Sentiva le dita muoversi avanti e indietro, piano piano, per rilassarla e abituarla al gioco. Lubrificò il suo pene e piano la penetrò: si appoggiò a lei, solo il glande.
“Ah...hzzz...” sospirò. Stringeva un pò i denti.
“Smetto se vuoi, sai?”: in tutta risposta lei spinse contro di lui. Il glande era dentro. Alessia spinse ancora, insieme a lui. Piano, piano… lo sentiva entrare nell’ano lubrificato. Le piaceva. Le piaceva!!! E non poco!!! Dolore e piacere insieme, iniziò a muoversi avanti e indietro. Non credeva alle reazioni del suo corpo, era lei che si stava sodomizzando ora. Ed era terribilmente eccitata dalla cosa. Anche lui adesso iniziava a spingere… lo sentiva, lo aveva dentro di sé. Tutto. Durissimo. La stava scopando nell’ano… no. Nel culo. Si stava facendo proprio inculare da lui. Ma cazzo!!! Lei non pensava così!!!
“Scopami!!! Inculami!!! Dai!!!” disse. Fu lui ora a essere stupito dal linguaggio di lei, di solito così posata e pragmatica. Eccitato, spinse di più. Dentro tutto. La scopava, giocava con lei, accarezzandole la schiena. Duro nel culo ma tenero col resto. Sentiva un’immensa eccitazione mista a tenerezza nei confronti di Alessia. E godettero ancora: lei con le dita, lui con l’ano di lei, rilassato dalle premure e dalla dolcezza con cui la metteva a proprio agio. Solo ora si rilassarono del tutto. Si accasciarono sul letto guardandosi negli occhi, senza dire una parola. Sul fianco, faccia a faccia. Le mise le mani tra i capelli. I respiri piano piano si fecero più sommessi, all’unisono. I visi vicini vicini, chiusero gli occhi. Lei aveva il sorriso sulle labbra, lui il cuore che batteva. Presero sonno insieme.

Scese dall’auto per un caffè nell’ultimo autogrill prima dell’uscita. Un bambino in braccio ai genitori austriaci gli fece ciao con la manina, una corriera di turisti in pausa durante un viaggio in Italia, nell’aria l’odore della pioggia appena caduta. Lo stesso odore e le stesse sensazioni di quando, da bambino, andava in vacanza con i suoi genitori. E adesso ricordava quella notte con lei, in quella grigia mattina estiva. Faceva sempre così quando la vedeva, era come un rito: prolungava il piacere dell’attesa di qualche minuto con una pausa nel viaggio. Tanto lo sapeva di essere in anticipo, aveva tempo. E nei giorni in cui si incontravano, voleva godersi tutto. Pensò a Marcella, agli ultimi audio che lei gli aveva mandato mesi addietro: alcuni minacciosi, altri con la voce sottile di una bambina capricciosa che piange, alcune foto in compagnia del suo ormai ex fidanzato, troppo coglione per farsi rispettare, troppo coglione da non lasciarsi manipolare ancora da lei, troppo stupido da mandarla a farsi fottere al punto da accettare che lei continuasse ad approfittarsi di lui senza nemmeno dover fare la fatica di dargli la fica, con cui cercava di ingelosirlo inutilmente. Un messaggio di Alessia interruppe i suoi pensieri: un video. Faceva ballare i seni coperti solo dalla canottiera. E un breve testo:
“Ti aspetto…”
E decise che era ora di prolungare l’attesa di qualche altro minuto, prima di ripartire verso quegli occhi vispi che lo avevano stregato.
Fine.












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