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Ricattata dal gioco (2)


di solisoli59
01.06.2023    |    1.101    |    1 9.3
"“Non sono pi uno studentello!” Rendendosi conto del perfido trabocchetto nel quale era caduta, Irene si spaventò talmente che dovette appoggiarsi al muro..."
“Queste mutandine mi sembrano un po’ troppo piccole. Le stringono la fica in maniera veramente indecente.”
Mentre diceva queste parole, Bonsal si divertiva a passare la punta del tagliacarte sulla stoffa dello slip dall’alto in basso nel senso del taglio verticale della figa. Quando sentì che la lama si insinuava sotto il bordo ricamato delle mutandine sollevandolo leggermente, Irene trattenne il fiato.
“Confesso che sono ansioso di vedere se ho vinto la scommessa...”
Irene indietreggiò di colpo. Con sua grande sorpresa e vergogna, le manipolazioni dell’usuraio stavano provocando in lei una reazione fisica inattesa ed incontrollabile. Sentiva che, suo mal grado, la sua vagina si inumidiva. Era come se il corpo la tradisse ed una febbre malsana si stesse impossessando di lei....
“Non abbiamo fatto alcuna scommessa,” disse con voce tre mante. Poi afferrò di nuovo il questionario e aggiunse: “Su, passiamo alla domanda seguente in maniera da finirla con questa storia... - Lei si masturba?”
“Appunto... lei si masturba? Sì o no?” fece l’usuraio con un sorriso odioso.
Di nuovo un brivido di umiliazione attraversò la schiena della donna mentre sentiva che la sua vagina si bagnava ancora di più. Nervosamente sottolineò la risposta No. Bonsal le strappò di mano il foglio.
“Lei si prende gioco di me!” disse aggrottando le ciglia cespugliose. “Detesto le menzogne!”
“Ma le giuro che...”
“Una borghese come lei che non si masturba non è credibile!” Irene lo fulminò con lo sguardo ma era diventata rossa come un pomodoro. Non si faceva alcuna illusione. Prima o poi le dita di quell’uomo disgustoso l’avrebbero toccata... avrebbero scoperto il vergognoso segreto che lei nascondeva sotto la fragile barriera delle mutandine: era tutta bagnata! Grosse gocce tiepide stavano colando dalla sua figa come lacrime di sporcizia.
“Andiamo, non faccia la commedia!” insistette l’odioso personaggio. “Confessi di essere come tutte le altre puttanelle dei quartieri alti. Confessi di farsi venire i calli alle dita a forza di triturarsi il grilletto! Lei si masturba, non è vero, signora?”
Irene vacillò. Le gambe non la reggevano più. Fece un gesto affermativo.
“A volte... mi capita.”
“Tutti i giorni?”
“N...no! Oh, no!”
Con una mossa improvvisa, l’usuraio infilò una mano sotto la gonna di Irene e le pizzicò una coscia. La donna si lasciò sfuggire un gemito.
“Finiscila di mentire, troia! Ammetti, una buona volta, che ti masturbi tutti i giorni!”
Un secondo pizzicotto, questa volta con le unghie, ebbe ragione dell’orgoglio di Irene.
“Quasi tutti i giorni.., no, non mi faccia più male! Confesso tutto ciò che vuole.”
“Quante volte al giorno? Avanti, basta con queste moine...”
“Questo... questo dipende!”
“Si alzi la gonna e continuiamo. Da cosa dipenderebbe?”
Come una sonnambula, Irene si sollevò la gonna fino alle anche. Il vecchio vizioso allungò avidamente una mano e, afferrato l’elastico delle sue mutandine, lo tirò con forza verso l’alto in modo che la stoffa del cavallo si attorcigliasse come uno spago penetrando nella fessura del sesso. Con l’altra mano, l’afferrò all’anca e si piegò sudi lei sgranando gli occhi su quella fica succosa, il naso che quasi le toccava i peli del pube. Da quella distanza poteva vederle tutto: da una parte e all’altra del cordone attorcigliato delle mutandine che divideva in due la figa, i peli bagnati sottolineavano l’oscenità di quella lunga fessura di carne rossa. Bonsal si mise ad inspirare con le narici ed Irene, le gote in fiamme, capì che stava annusandola. L’annusava come un cane annusa una cagna, inebriandosi dell’odore che esalava dal suo sesso, con un piacere bestiale. Le tempie che le pulsavano selvaggia mente, la giovane donna credette di essere sul punto di svenire. L’usuraio ridacchiò.
“Caspita, mia cara, se lei si sta bagnando sotto! Adesso non ci sono più dubbi.., sarà anche una donna di classe, ma è certamente una viziosa... !”
Infilandole un dito sotto le mutandine, l’usuraio ne sollevò leggermente la stoffa evidenziando una larga macchia umida. Irene girò la testa dall’altra parte. Il cuore le batteva all’impazzata. Sconvolta, si stava rendendo conto che qualcosa di odioso, di inconcepibile per una donna come lei, stava per accadere e lottava con tutte le sue forze per evitarlo... Il dito dell’usuraio toccò la sua carne intima fra le grandi labbra e si introdusse nella vagina bruciate. Irene si sentì soffocare. Bonsal ritirò il dito bagnato e poi lo forzò di nuovo dentro di lei.
“Non le hanno mai detto, cara signora, che ha una vulva molto grande?”
La voce le mancò e lei fu costretta, all’improvviso, gli occhi rivoltati nelle orbite e la bocca spalancata, a piegarsi sulla tavola scossa da un orgasmo violento. Un istante dopo scoppiò in sin ghiozzi sotto Io sguardo beffardo dell’usuraio.
“Che succede mia cara... non si vergognerà di aver goduto, spero?”
Senza distogliere lo sguardo da Irene, Bonsal si rovesciò sulla sua vecchia poltrona di pelle allungando le gambe sopra al ripiano della scrivania. Paralizzata dalla vergogna, Irene non si preoccupava neppure di asciugarsi le lacrime che le colavano sul volto disfatto.
“Quello che è accaduto si spiega facilmente,” disse l’usuraio. “A lei, cara signora, piace godere... dopo essere stata umiliata. Sempre questa morale borghese... come tutte le femmine viziose che non conoscono i propri desideri lei è attirata dalle cose sporche. L’oscenità la disgusta ma, nello stesso tempo, la eccita terribilmente.”
“Adesso basta!” gridò Irene con una voce adirata ma che suonava falsa. “Ha avuto ciò che voleva. Ora mi paghi e chiudiamo la faccenda!”
“Lei scherza, mia cara. Non penserà sul serio che io le dia tutti questi soldi per una volgare.., per una volgare parte di un bottoncino.. . ?” fece con un sogghigno. “Non sono pi uno studentello!”
Rendendosi conto del perfido trabocchetto nel quale era caduta, Irene si spaventò talmente che dovette appoggiarsi al muro tanto le gambe le tremavano. Quel mostro l’aveva in pugno.., avrebbe dovuto bere l’amaro calice fino in fondo!
“Si è già dimenticata del nostro contratto, signora de Sentier?” Di colpo, la giovane donna si rivide mentre firmava il riconoscimento del suo debito al direttore del casinò. Senza cessare di spiarla, Bonsal faceva brillare gli smeraldi della collana tra le sue dita. Irene rinunciò ad ogni tentativo di ribellione.
“ N….no! “ balbettò pateticamente senza sapere neppure lei cosa dicesse.
Bonsal prese di nuovo la lente di ingrandimento usandola, questa volta, per esaminare alla luce della lampada quei peletti che aveva strappato dal pube della giovane donna quando l’aveva pizzicata con le unghie. Poi, con tono severo, disse:
“E l’ultima bizza che le perdono. Da ora in avanti esigo da lei un’ubbidienza ed una sottomissione totali. Che cosa contano, alla fin fine, poche ore nella vita di una persona? Io sono l’uomo del l’ultima possibilità, cara Irene, e grazie a me lei riuscirà a pagare il suo debito. In più potrà fare una straordinaria esperienza.”
Irene cercò di protestare ma l’uomo la tacitò bruscamente.
“Inutile discutere. Si tolga la gonna... per cominciare. Non c’è altro da dire.”
Non aveva più scelta. Gli occhi bassi, la donna cominciò a far scivolare giù la sottana lungo le sue cosce tornite con un eccitante movimento dei fianchi, cosa che non mancò di divertire l’usuraio. La gonna le cadde intorno alle caviglie e lei rimase così, in mutandine e giarrettiere, immobile, il petto stretto nella giacca nera del tailleur, tremante di vergogna ed in attesa degli ordini del l’usuraio. Quest’ultimo la fissò viziosamente e poi fece schiocca re le dita.
“Mutandine a mezza coscia. Non più in basso...!”
Il rossore che colorava le guance della bella borghese si estese a tutto il suo volto. Tuttavia, lei ubbidì e gli occhi di Bonsal par vero uscire dalle orbite quando apparve alla vista il pube rigonfio e peloso di Irene. Poi le mutandine scesero ancora più in giù rivelando la carne rosata della fessura vulvare.
“Lo sapevo. Nello stesso istante in cui sei entrata in questa stanza con la tua aria superba ho capito che avevi una fica da troia. Pelosa e umida. Non ti dai più tante arie adesso, eh?”, disse l’usuraio dandole del tu.
Stranamente, Irene si rese conto che le oscenità dell’usuraio non la toccavano più. Era come in un sogno assurdo e come tutti i sogni apparteneva solo a lei! Nessuno avrebbe mai scoperto l’immondo segreto del suo incontro con Bonsal. Così non ebbe alcuna reazione quando il vecchio vizioso, il naso quasi sepolto nei peli del suo pube, posò le dita nodose sui bordi della fessura e le aprì la vulva.
“proprio come pensavo: hai la clitoride di una che si masturba.” Irene sentì che i capezzoli le si indurivano. Eccitata da questo contatto ripugnante, la sua vulva aveva preso a pulsare oscenamente. Capiva adesso perché Gilberta avesse paragonato l’usuraio al diavolo: quell’uomo era brutto, sporco, vizioso ed avido ma appena toccava una donna...
Di colpo, si lasciò sfuggire un gridolino scandalizzato: Bonsal aveva avvicinato la lente alla sua figa spalancata. Il fiato corto, il volto contorto in una smorfia, l’uomo si piegò per esaminare le pieghe di quella carne umida. Il suo occhio iniettato di sangue, smisuratamente ingrandito dal vetro, gli conferiva l’aspetto di una creatura da film dell’orrore.
“Su via un po’ di buona volontà.., aiutami invece di fissarmi come una stupida. Apriti bene la vulva.., sì, così, con le dita! Hai forse paura di sporcarti?”
Irene allungò timidamente una mano e, afferrati i bordi delle grandi labbra, le aprì mostrando l’interno del suo calice.
“Ancora di più, fammi vedere tutto... così!”
Lei abbassò lo sguardo sul suo basso ventre. Era orribile! Si poteva vedere veramente tutto, adesso: dall’alto della fenditura dove si trovava la sua clitoride all’apertura della vagina che si arrotondava contro la sua volontà lasciando colare grosse gocce umore. Con la lente in mano, Bonsal si estasiava dello spettacolo osservando affascinato questo fiore di carne osceno.
“Ooooh... mio Dio...!” farfugliò la poveretta, ma non si mosse lasciando che le dita dell’usuraio continuassero ad esplorarle il sesso dal quale un odore pungente saliva alle sue narici.
“Accidenti, che meraviglia!” esclamò Bonsal puntando la lente sulla clitoride che si stava ingrossando a vista d’occhio. “Parola mia, è enorme! Una vera clitoride da sporcacciona borghese! “
Avvicinando il pollice e l’indice, l’uomo le strinse con forza il bottone di carne. Irene sussultò poi, automaticamente, spinse il pube in avanti. Le sue cosce tremavano. Il suo ventre pulsava ferocemente. Dopo un poco l’usuraio allontanò il volto dalle sue Cosce e la fissò con aria divertita.
“Adesso si volti,” le disse tornando a darle del lei, “e mi faccia vedere l’altro orifizio.”
“No!”
“L’altro orifizio.., per favore, cara!”
Rossa di vergogna, Irene si girò lentamente offrendo all’uomo la visione del suo posteriore carnoso. Con una leggera pressione sulle reni Bonsal le fece capire che cosa si aspettava da lei che, sempre più confusa, si piegò in avanti, le gambe leggermente divaricate a causa delle mutandine attorcigliate alle caviglie. Il fiato tiepido dell’usuraio le carezzò la pelle. Un attimo dopo Bonsal afferrò con le mani i due grossi globi di carne allargandoli oscenamente. Anche senza vedere, Irene si rendeva conto dell’impudicizia della sua posizione: le natiche completamente divaricate che rivelavano il bocciolo violaceo dell’ano mentre, più in basso, c’era il taglio umido della vagina fra le grandi labbra che si aprivano in modo osceno.
“Lei permette?”
Senza aspettare la risposta ad una domanda che la giovane donna non avrebbe potuto capire, Bonsal posò la punta dell’indice al centro del suo ano grinzoso. Sconvolta, lei si lasciò sfuggire un grido rauco. L’usuraio si annusò il dito.
“Non c’è traccia di profumo da queste parti... una borghese che traspira dal culo, come resistere!”
Allargandole ancora di più le natiche, le immerse il volto nel solco del sedere e poi si mise, voracemente, a leccare il cerchietto plissettato dell’ano. La sua lingua saettava sul caldo buchetto come quella di una lucertola viziosa. Malgrado ogni sforzo, Irene sentì che il suo orifizio si dischiudeva. La voce dell’usuraio le giunse attraverso una nebbia di vergogna:
“Le piace alla porca... eccome se le piace di farsi leccare il culo! “ L’istante dopo, la lingua rasposa dell’uomo si infilò nel retto della signora de Sentier.
“Lei è pazzo!” protestò la poveretta, molto debolmente.
Ma poi piegò ubbidiente i fianchi protendendo il culo all’indietro ed offrendosi all’infame carezza che faceva nascere, nel suo ventre, un piacere malsano ma delizioso... Uncinato alle sue natiche Bonsal le leccava l’ano introducendole sempre di più la lingua nel retto. Dalla posizione, a testa in giù, umiliante e oscena nella quale si trovava. Irene poteva vedere il mento dell’uomo, umido degli umori che le colavano dalla vagina, muoversi fra le sue cosce. Lui le stava succhiando il buco con grandi rumori di risucchio l’enorme pomo di Adamo proteso oltre il collo lercio della camicia.
Trafitta dalla vergogna rialzò il capo, sforzandosi di concentrarsi sulla carta da parati con la quale era tappezzato lo studio mentre l’usuraio ricominciava a palparle la figa con la punta delle dita. Intanto quella lingua volgare le penetrava nel retto sempre di più... sempre di più! Pensò che sarebbe impazzita.
Separando le labbra colanti del suo sesso, il pollice di Bonsal le toccò la clitoride indecentemente eretta. Lei spalancò la bocca come un pesce fuor d’acqua.
Visibilmente compiaciuto, Bonsal si ritrasse.
“Può rimettersi dritta, mia cara. Inutile restare con la faccia al muro come una scolaretta viziosa.., si volti verso di me...”
Sempre più sconvolta, Irene ubbidì ma non senza proteggersi la fica con le mani per cercare di salvare ciò che poteva del suo pudore. Il volto dell’usuraio si illuminò di un sorriso vizioso.
“Ah, che ne è stato della giovane signora borghese piena di superbia che è entrata in questa stanza non più di un’ora fa? Se lei potesse guardarsi in faccia, mia cara.., per non parlare del resto. Tiri via subito le mani da lì e mi faccia vedere la figa.. .”
“Lei mi disgusta!”
Bonsal le rispose con una risata di disprezzo.
“Non ho difficoltà ad ammetterlo! Tuttavia la realtà è questa:
disgusto o meno lei muore dalla voglia che io glielo infili nella passera. D’altra parte nello stato in cui è qualunque uccello le andrebbe comunque bene, non è vero? E, dato che stiamo parlando di affari...”
L’usuraio alzò il telefono e compose un numero di due cifre.
“Sì, credo che sia proprio venuto il momento di stimolare un po’ la sua libido.,. ah, Mirella.,. può avere la gentilezza di portarmi la mia valigetta? Sì... per una transazione... diciamo un po’ Speciale e, già che c’è, prepari anche del tè... a lei piace il tè, non Vero signora de Sentier?”
Irene annuì senza riflettere. Il terribile supplizio era finito! Fra Pochi minuti avrebbe potuto lasciare quel sordido luogo... Si sta già piegando per raccogliere la gonna e riassumere un aspetto decente prima che la segretaria entrasse, quando la voce di Bonsal la gelò.
“Ma che sta facendo? Chi le ha dato l’autorizzazione di rivestirsi !”
“Pensavo... “ balbettò la poveretta immobilizzandosi.
Bonsal balzò su dalla sua poltrona come il diavolo dall’ inferno. Il viso rosso di collera si precipitò su Irene e le assestò, prima che lei potesse proteggersi, due violenti ceffoni. Senza fiato, la donna vacillò.
“Nessuno le ha permesso di prendere questa iniziativa!”
Tremante, Irene si rifugiò in un angolo, fra il muro e la scrivania. Sapeva già di trovarsi davanti ad un maniaco sessuale. Ora, però, aveva veramente paura... quest’uomo era un forsennato pericoloso. Intanto, l’usuraio sembrava aver ritrovato una carta calma.
“Le tette,” disse con tono severo.
“Che cosa?”
“La smetta una buona volta di fare la stupida. Lei sa bene che c’è ancora qualcosa che mi deve mostrare.”
“D’accordo... ma la supplico, non mi picchi più...”
Con mano tremante, si sbottonò la giacca e se la fece scivolare di dosso. Poi si tolse anche la camicetta ed suoi grossi seni a pera, dalle punte erette, apparvero stretti nel reggipetto di seta che lei si tolse sfilandoselo dalla testa. Nel movimento i due grossi globi di carne, dalle areole enormi di color viola, sballottarono dì qua e di là oscenamente. Un ghigno di lussuria deformò il volto dell’usuraio.
“Lo vede che, quando la si punisce come si deve, sa essere ubbidiente.”
Nello stesso istante, la porta dell’ufficio si aprì ed apparve una ragazza bruna di circa vent’ anni. Più sexy che bella aveva I’ aspetto ed il portamento di una zingara. Non mostrò alcun stupore vedendo una donna nuda nell’ufficio del suo principale come, pensò Irene, se fosse la cosa più naturale del mondo che le clienti si spogliassero davanti a lui.
Pudicamente, la povera signora si protesse i seni con un braccio mentre tornava a mettersi una mano davanti al pube per coprirlo. Bonsal reagì, però, immediatamente. Con un sorriso malvagio le si avvicinò e le afferrò un capezzolo stringendoglielo con forza fra due dita, tanto da strapparle un urlo di dolore.
“Si mostri alla mia segretaria,” le ordinò con tono secco. “Mani dietro la nuca e faccia in alto.”
Pallida, Irene assunse la posizione che le era stata ordinata. I suoi seni tremavano lievemente a causa del respiro affannoso e questo provocò un sorriso perverso della segretaria che, deposta sulla scrivania una valigetta di cuoio consunto, si avvicinò alla giovane borghese gettando uno sguardo di disprezzo ai seni che continuavano a sussultare al ritmo della profonda respirazione. Il pizzicotto dell’usuraio aveva lasciato un segno rossastro proprio sotto il capezzolo. Lo sguardo della segretaria si posò però più in basso, sulla foresta di peli del pube che contornavano, umidi di umore, il solco della vulva.
Ci fu un interminabile silenzio durante il quale la giovane segretaria esaminò attentamente il corpo di Irene. Poi, senza pronunciare una parola, la donna uscì di nuovo dall’ufficio ma per tornare, subito dopo, con un vassoio sul quale si trovavano tre tazze ed una grossa teiera fumante. L’usuraio indicò ad Irene la sua Stessa poltrona.
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