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Sonia - L’odore del sesso 2 (racconto)


di Membro VIP di Annunci69.it ToroRm2020
07.06.2021    |    7.000    |    3 9.9
"«Cioè?» chiese Bea, la più intraprendente del gruppo, che Sonia trovava parecchio attraente..."
«Ho dei programmi per te» le mormorò all’orecchio Anita, leccandole piano il lobo mentre aspettavano che il bagno si liberasse. Sonia ebbe un brivido e si bagnò istantaneamente. «Ma tu devi fare la brava cagnetta.»
«Sì, padrona» rispose, con un filo di voce.
«Non vuoi sapere di che si tratta?»
«Farò tutto quello che vorrai.»
In quel momento il bagno si liberò ed entrambe entrarono nel cubicolo. Fra ragazze era comune condividere anche quei momenti, ma il rapporto tra lei e Anita non era affatto normale.
Appena dentro, Anita abbassò i leggings neri attillati e il perizoma bianco, ma fu Sonia a sedersi sulla tavoletta di plastica bianca. L’altra si voltò e appoggiò entrambe le mani alla porta di legno coperta di graffiti e scritte tracciate con il pennarello, sporgendo indietro i glutei tonici.
«Fai il tuo dovere, cagna» le ordinò.
Sonia non aspettava altro. Cominciò a leccare la pelle liscia e profumata della compagna con passione, spostandosi gradualmente verso lo sfintere.
Da settimane era diventata il giocattolo sessuale di Anita, che la usava come e quando ne aveva voglia. Non aveva ancora mantenuto la promessa di cederla alle amiche, Sonia sapeva che era combattuta, ma mentre le lappava il culo, strappandole gemiti strozzati, pensava, e in fondo sperava, che presto sarebbe accaduto.
«Ti piacerebbe vedermi servire le tue amiche?» le chiese, dopo aver fatto correre la lingua per l’intera lunghezza della fessura.
Anita non rispose, se non con un brivido, ma a Sonia non servivano le parole per sapere cosa passava per la testa della sua padrona.
Aveva percepito il profumo metallico della rabbia, mescolato a quello più dolce della gelosia e all’afrore di giungla tropicale della passione sessuale, quest’ultimo in parte dovuto al suo lavoro di lingua.
L’idea la eccitava, ma aveva paura di perderla e la cosa la faceva infuriare con se stessa perché era una forma di debolezza.
«Tu sei la mia padrona» riprese, mentre le leccava lo sfintere con la punta della lingua e infilava due dita in vagina. «Sarò sempre tua.»
«Vuoi sentire che sapore hanno le fregne di quelle stronze?» la stuzzicò Anita, senza neanche tentare di mascherare il fastidio che provava.
«Voglio far vedere loro che schiava ubbidiente che hai.»
«Ma rimarrai solo mia?»
«Solo tua.»
«E potrò sempre farti quello che voglio?»
«Sempre.»
«Fammi godere, cagna.»
Sonia si concentrò sul piacere di Anita con attenzione rinnovata e la portò all’orgasmo in pochi minuti, tenendola sull’orlo del piacere più a lungo del necessario, poi si leccò avidamente le dita da cui colavano le dense secrezioni vaginali ovulatorie della ragazza.
«Se proprio vuoi fare la cagna» disse mentre si tirava su i leggings. «Ti farò fare la cagna.»

Nel salone della casa di Anita c’erano sei ragazze, oltre a Sonia e alla sua padrona. Si trattava del gruppo ristretto, l’élite della classe, che Anita aveva invitato per l’occasione.
Griffate e nervose come cavalle di razza nei loro short aderenti, erano circondate da nuvole di profumi di marca che non impedivano a Sonia di percepire i loro aromi naturali, molto più stimolanti.
«La mia schiava vuole servirvi» esordì Anita, nel tentativo di sconvolgerle.
«Cioè?» chiese Bea, la più intraprendente del gruppo, che Sonia trovava parecchio attraente.
«Sonia è molto servizievole.»
«È uno scherzo? Se lo è non è divertente.»
«Non è uno scherzo.»
«Sei sul serio la sua schiava?» intervenne Marghe, una rossa dalla pelle chiarissima, rivolgendosi a Sonia.
«Anita è la mia padrona» confermò lei, con un piccolo inchino.
Bea sorrise, sollevando solo un angolo della bocca.
«Ordinale di leccarmi i piedi» disse, sfidando Anita con lo sguardo. Il gruppo non era affatto coeso, e spesso Sonia aveva percepito le correnti sotterranee che lo attraversavano.
«Hai sentito, cagna?» la incitò la padrona.
Sonia si avvicinò a Bea e si mise a quattro zampe, avvicinando la bocca alle décolleté Gucci della ragazza.
«Posso?» chiese, guardandola dal basso verso l’alto come un bastardino timido. Bea sfilò il piede dalla scarpa e Sonia prese a leccarlo piano partendo dalle dita. Sapeva di sudore femminile e di cuoio, una miscela che trovava gradevole. Quasi istantaneamente si aggiunse il profumo dell’eccitazione sessuale, che le fece girare la testa.
«La sa usare bene la lingua» commentò Bea con un risolino, «Lecca solo i piedi?»
Sonia non rispose, non direttamente, lasciando alla sua padrona l’onere di farlo. Le schiave non parlavano se non interrogate direttamente. Anita si sedette su una delle poltrone Le Fablier in pelle color crema e spalancò le cosce. Indossava una mini in pelle nera, con niente sotto, proprio per quell’eventualità. La fica rasata era già umida di rugiada.
«Mostra a tutte quanto sei cagna» disse. Sonia lo interpretò come un ordine. Smise di leccare il piede di Bea e, camminando a quattro zampe, affondò la faccia tra le gambe della padrona, cominciando a baciarle il sesso sotto gli occhi delle altre.
Mentre infilava la lingua tra le piccole labbra roride sentì che qualcuno le tirava su la gonnellina corta a pieghe sotto cui, per ordine della padrona, non aveva indossato niente. Riconobbe il profumo.
Bea. O meglio, il piede nudo di Bea, ancora umido della sua saliva, che le strofinava la fica gocciolante.
«Guardate come cola la troietta» disse ridendo.
Sonia si sentiva una direttrice d’orchestra: usava i gesti e la lingua per dirigere il gruppo nella direzione lasciva che desiderava, schiava e padrona assoluta allo stesso tempo. I profumi delle ragazze si stavano allineando a formare l’overture di una perfetta sinfonia odofonica diretta verso la più sfrenata lussuria.
L’alluce di Bea si infilò in vagina quasi interamente.
Sonia cominciò a sculettare per provocarla, mugolando con la bocca incollata al sesso di Anita.
Poi arrivò la nota stonata, che alterò l’equilibrio in modo quasi doloroso.
«Non mi piace questa cosa» intervenne Lucrezia, solitamente la più silenziosa del gruppo, in cui secondo Sonia era sempre stata fuori posto. «Io me ne vado.»
Il profumo di lussuria fu in parte coperto da quello dell’imbarazzo e del senso di colpa.
No!, pensò Sonia, con rabbia. Non adesso.
Doveva intervenire in qualche modo.
Accelerò il ritmo per far godere Anita e, nonostante la fretta, le procurò un orgasmo incredibile, reso ancora più intenso dal contesto insolito.
Con le labbra umide di secrezioni si voltò verso Lucrezia.
Le ci volle un momento per metterla a fuoco. Era eccitata, forse più eccitata di tutte le altre, sentiva il profumo di sesso che arrivava a ondate dall’interno delle sue cosce, ma c’erano anche paura e imbarazzo. Al di sotto, sottile ma inequivocabile, Sonia percepì un altro odore, finora perfettamente nascosto, grazie al quale tutto le divenne chiaro.
Era una sottomessa, esattamente come lei, e vederla comportarsi da cagna l’aveva fatta bagnare come mai prima, ma tale presa di coscienza l’aveva mandata nel panico. Non era facile rendersi conto di voler essere un oggetto nelle mani di qualcun altro.
Lucrezia stava per fuggire a gambe levate nonostante fosse terribilmente eccitata, condannandosi a rimanere frustrata e infelice.
«Sei preoccupata per la cagnetta?» le chiese Bea. «Guarda che gode molto più di te.»
Lucrezia scosse la testa, troppe volte e troppo in fretta, i tendini del collo tesi come cime di ancoraggio durante un fortunale.
Sonia capì che era il momento di intervenire, e lo fece a modo suo.
Si alzò in piedi e guardò Lucrezia negli occhi senza dire nulla, da pari a pari, le mani giunte posate in grembo, un messaggio criptico che per una padrona, o per un’altra schiava, sarebbe stato chiaro come la luce del giorno.
Come si aspettava, qualcuno comprese.
«Aspetta, aspetta, aspetta…» intervenne Marghe, portandosi dietro Lucrezia e abbracciandola stretta con il sinistro, la mano stretta sul seno destro piccolo e sodo. «Devo controllare una cosa.»
Posò la mano destra, aperta, sulla pancia piatta di Lucrezia. La pelle bianchissima, da rossa naturale, sembrava quasi brillare di luce propria su quella leggermente abbronzata dell’altra, lasciata scoperta dal top corto.
«Mi dici sempre che Maurizio ti fa male quando fate roba perché ti bagni poco…» riprese, a voce sufficientemente alta da farsi sentire da tutte le altre, facendo scivolare la mano verso il basso, dentro il pantaloncino e le mutandine.
A quel punto Lucrezia avrebbe potuto ribellarsi e andarsene, invece rimase immobile come una volpe inchiodata dai fari di una macchina in avvicinamento.
Sonia percepì l’odore di sottomissione farsi più intenso e ricco, più… consapevole. Anche quello di Marghe virò, in direzione esattamente opposta.
Sonia stava assistendo a un evento raro e prezioso.
L’espressione di puro piacere che comparve sul volto di Lucrezia mentre l’altra le infilava le dita dentro la fica, reclamandola di fatto come sua proprietà, rese evidente quello che fino a quel momento solo una mistress naturale come Marghe aveva capito: la schiava aveva finalmente trovato la sua padrona.
«Mmmm» commentò la rossa. «Problema risolto, a quanto pare. C’è un lago qua sotto.»
«Ti prego, non…» miagolò Lucrezia, senza concludere la frase.
«”Non” cosa?» ribatté Marghe, decisa. «Non farlo? Non smettere?»
«Non…» riprese Lucrezia, fermandosi di nuovo prima di completare il pensiero.
«Lo senti quanto sei cagna?» le chiese Marghe. «Maurizio ti fa bagnare così?»
«No.» La risposta arrivò a voce alta, quasi con rabbia.
«Quante volte sei venuta scopando con lui?»
«Neanche una» mugolò.
«E quante volte hai goduto in vita tua? Dillo alle ragazze.»
Stavolta la risposta richiese più tempo, come se farla emergere richiedesse un grande sforzo fisico.
«Neanche una» mormorò infine.
«La piccola non ha mai goduto» disse Marghe, continuando a muovere le dita.
Ora però stava per farlo. Sonia sentì l’odore di giungla dell’orgasmo arrivare caldo come un monsone. Era questione di pochi instanti… Ma in quel momento, con tempismo perfetto, Marghe si fermò.
«Non hai il permesso di godere, cagna» la redarguì. «Hai capito?»
«S-sì…»
«Sì cosa?»
«Sì… padrona.»
Sfilò la mano dalle mutandine di Lucrezia e mostrò le dita lucide di secrezioni, tanto abbondanti da filare. Poi le avvicinò al volto della ragazza.
«Sai cosa piace tanto alle cagne?» chiese, rivolta più al gruppo che a Lucrezia.
«No.»
«Si che lo sai, cagna.»
«Leccare» ammise infine lei con un filo di voce.
«Allora lecca.»
Si sporse in avanti e le prese in bocca, cominciando a succhiarle. Sonia sentì l’imbarazzo e la paura scemare fino a svanire del tutto mentre ripuliva dai suoi umori le dita fradice della sua padrona. Aveva accettato il suo ruolo.
«Ora mettetevi in ginocchio, tutte e due» disse loro Marghe. Lucrezia obbedì senza discutere, Sonia guardò Anita, che annuì.
«Una cagnetta per sette di noi era un po’ poco» commentò Bea slacciando il primo bottone dello short. «Sei contro due va decisamente meglio.»
Fianco a fianco, stando sulle ginocchia, Sonia e Lucrezia guardarono le ragazze spogliarsi fino a mostrare i sessi depilati o parzialmente rasati. La fica di Marghe era un incendio di rosso che fece venire l’acquolina in bocca a Sonia.
«Leccami la fregna» ordinò lei alla sua sottomessa. Lucrezia obbedì di slancio, come se non aspettasse altro da anni. Cominciò a baciare le piccole labbra, molto evidenti e turgide, poi incollò la bocca al clitoride, guardando verso l’alto per ottenere l’approvazione della sua mistress.
Portò la mano tra le sue cosce, ma appena vide sguardo severo di Marghe la tolse immediatamente.
«Ti dirò io se e quando potrai godere» mormorò, soddisfatta della lingua che frugava tra le sue cosce. Era entrata nel ruolo di dominatrice in modo del tutto naturale, così come Lucrezia in quello di schiava. Guardarle provocò a Sonia una colata liquida tra le cosce.
Fu il segnale di via libera per tutte altre.
Le saltarono addosso in quattro, forzandola a leccare loro le fiche fradice senza un attimo di respiro, mentre le sditalinava furiosamente. Ogni profumo la inebriava ed ebbe due orgasmi consecutivi senza neanche toccarsi.
«Ohhh mioohhh Diooohhhh» gemette Bea, devastata dalla lingua magica di Sonia, mentre il corpo veniva scosso da brividi violenti.
Le squirtò in faccia riempiendole la bocca di liquido caldo e insapore.
Sonia si chiese cosa avrebbe provato a ingoiare la pipì di tutte loro e l’idea la eccitò da morire. Sì immaginò sdraiata mentre tutte e sei le padrone, a turno, si accosciavano e la obbligavano a bere i loro getti caldissimi. Bastò il pensiero per procurarle un terzo orgasmo e fu grata ad Anita per averle concesso quell’opportunità favolosa.
Leccò fregne, culi e capezzoli senza soluzione di continuità per quelle che le parvero ore. Le ragazze non erano mai sazie, e godevano a ripetizione. Bea affermò di aver perso il conto degli orgasmi e squirtò altre due volte. Quando ormai ogni freno inibitore era caduto da tempo, volle leccarle la fica a sua volta, e fu dolcissimo.
L’orgia si protrasse per tutto il pomeriggio. Alla fine l’aria era satura del profumo di sesso, tanto che Anita fu costretta a spalancare le finestre per cercare di attenuarlo, con dispiacere di Sonia che si sentiva coccolata e sicura in quel nido olfattivo.
Lucrezia era esausta, con la faccia impiastrata dalle secrezioni vaginali di parecchie delle padrone, ma più felice di quanto fosse mai stata in vita sua.
Quando Sandra, la madre di Anita, rientrò a casa, le trovò sedute sul divano.
«Dovete esservi divertite parecchio» commentò con un sorriso malizioso, notando le occhiaie profonde di alcune di loro.
«Posso chiederti un favore?» aggiunse poi rivolgendosi a Sonia.
«Sì, signora. Certamente.»
«Mi daresti una mano a fare una medicazione? Anita mi ha detto che a volte fai la volontaria in ospedale. Immagino che tu sia abbastanza pratica di queste cose.»
Non lo era, ma non avrebbe mai contraddetto una potenziale padrona.
«Un po’, signora.»
«Anita, se vede una goccia di sangue, sviene» disse ancora, provocando una smorfia dell’interessata. Dall’odore della sua padrona, Sonia capì che non c’era solo fastidio in quell’espressione. C’era anche gelosia.
Seguì in bagno la mamma di Anita, che chiuse la porta dietro di sé, provocandole un languore tra le cosce.
«Dove si è ferita?» chiese Sonia, compita.
«Ora ti faccio vedere» rispose lei, sedendosi sul bordo del lavandino. «Siediti qui sul bidet, così vedi bene.»
Sonia obbedì. Era direttamente di fronte al lavandino cui era appoggiata Sandra, col viso all’altezza del pube, da cui veniva un profumo caldo e intenso di secrezioni vaginali, mescolato a quello di sperma maschile. Aveva scopato da poco, e la vagina era probabilmente ancora piena della sborra del suo amante venticinquenne.
Con un gesto deliberatamente lento tirò su la gonna corta, scoprendo un perizoma minuscolo bagnato fradicio di fluidi corporei.
«Proprio qui» disse, spalancando le cosce. «Oggi il ragazzino mi ha sfondato la fregna: era arrapato come un toro, sai?»
«Come posso aiutarla?» mormorò lei, guardandola dal basso.
«Puliscimela. Mio marito è un coglione, ma se lascio una scia di sborra sul pavimento perfino lui capirà quanto è cornuto.»
«Sì, signora.»
Le sfilò l’indumento fradicio e cominciò a leccare quella fica gonfia e profumata, completamente depilata e liscia come seta. Rivoli densi di sperma le finirono sulla lingua e in bocca. Si chiese se Sandra l’avesse intenzionalmente trattenuto per farglielo ingoiare, ma non le parve probabile.
«Lecchi in modo divino» disse lei, carezzandole la testa. «Ora capisco perché Anita da qualche settimana ha la pelle così bella. Lecchi anche la sua, vero?»
«Anita è la mia padrona» mise in chiaro, smettendo per un attimo di slinguare la fessura umida.
«Cioè?»
«Io sono di sua proprietà. La servo e obbedisco ai suoi ordini.»
«Ma ora stai leccando la mia fregna.»
Il discorso si stava facendo spinoso, quindi Sonia tagliò corto concentrandosi sul dare piacere a Sandra e togliendole ogni velleità di indagare ulteriormente.
Mentre godeva, la donna le afferrò la testa quasi volesse infilarsela per intero nella fica, togliendole il respiro.
«Non ho mai goduto così tanto» mormorò dopo un po’, guardandola con espressione agrodolce. «Quella piccola stronza è fortunata. Me la leccherai ancora?»
«Sì, signora.»
«E se Anita ti ordinasse di non farlo più?»
«La convincerei a lasciarmelo fare.»
«Dobbiamo uscire, è troppo che siamo qui dentro, anche se, conoscendola, sicuramente immaginerà che abbiamo fatto sesso. È una vera zoccola.»
«Sì, signora.»
«Se dici di nuovo “Sì, signora” te la sbatto in faccia immediatamente.»
Sonia sorrise, ma non disse nulla. Era il momento di tornare dalla sua padrona.


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