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Gay & Bisex

Ti porto in sauna


di corsaro200
31.01.2024    |    109    |    0 8.0
"Cominciamo a divorarlo come prima con il cibo..."
Ti porto in sauna
Appena infili la scala a chiocciola che porta al piano di sopra, tenendo la schiena e la testa abbassata per non sbattere contro le travi di sostegno, la prima cosa che ti colpisce è l’odore, un misto di tante essenze, sgradevoli, di origine corporali, stagnanti in locali non arieggiati, chiusi e bui, emanate dalle tante persone che vi si trovano.
A questo odore, che arriva al naso e subito al cervello, Giacomo, che insieme al suo compagno di vita Michele frequenta questo posto nelle occasioni in cui viene a Milano, associa il sesso brutale, le fantasie più sfrenate dell’animale uomo. Il buio quasi totale è rotto da fasci di luce rossa, emanati da lampade posizionate in modo da consentire di muoversi senza sbattere contro punti fissi o sagome in movimento. Anche questo vedo non vedo allenta i freni e fa sparire le inibizioni, non guardi con gli occhi ma col desiderio. Il buio pareggia tutti, i belli e i brutti, ti affida al tatto ed all’olfatto e conferma quello che dice quel filosofo antico, “di notte tutte le vacche sono nere”. Qui tutti toccano e il livello di toccamento viaggia a circa settanta ottanta centimetri da terra. I vestiti non sono di impedimento perché sono stati riposti in armadietti chiusi a chiave e sostituiti da un telo che avvolge i fianchi.
Ci troviamo in una sauna gay milanese, sotto ci sono i servizi: spogliatoio ed armadietti, bar per intrattenimento e socializzazione, bagno turco, sauna finlandese, docce ed un locale massaggi. Sopra ci sono le cabine “relax”. Un intrigo di corridoi consente l’accesso ai singoli box, tutti costruiti in legno. Ogni cabina è occupata quasi totalmente da un lettino con un rivestimento in finta pelle rossa. Alcune hanno la porta chiusa, si sta consumando, qualcuna è vuota, in altre il suo occupante mostra la merce ed ammicca sulla sua specialità, non come nei lupanari di Pompei con disegni sulla porta, ma “alive”
Qua un cazzo in erezione, ma è attaccato così male.
Là una testa già all’altezza giusta, con la bocca semi aperta e la lingua che umetta il labro superiore,
Nell’altra un culo guizza e stringe le chiappe appena avverte che due occhi vi si sono posati sopra.
In un locale con panche per sedere, una TV accesa mostra film pornografici i cui protagonisti, fortunati, fanno quello che tutti gli spettatori vorrebbero fare ma che non possono per mancanza di materia prima: Cazzi in erezione.
I nostri due amici girano nei corridoi come fossero legati, uno segue l’altro ad una distanza consentita dalla lunghezza dall’ipotetica corda che li unisce, non bisogna perdere il contatto; se c’è interesse per qualcuno, bisogna subito far capire le proprie intenzioni, “due al posto di uno”. Gli occhi entrano in ogni camerino a soppesare l’occupante, che si ritrae se disdegna, viceversa ostenta se gradisce. Andando avanti c’è l’area fumatori con un’altra TV che trasmette gli stessi film porno, due servizi igienici con lavandino per abluzioni rapide, e a finire ci sono le zone speciali.
Tre camerini piccoli, ci si può stare solo in piedi o acquattati alla turca, sono disposti ad L. Almeno su un lato, quello comunicante con un camerino adiacente, c’è un buco largo circa dieci centimetri e lungo venti, messo all’altezza giusta. Quello centrale, sempre occupato, di pareti col buco ne ha addirittura due.
Una cabina più grande ospita un comodo sedile in cuoio, dondolante, sorretto ai quattro angoli da catene, ti ci puoi sdraiare di schiena e, se alzi le gambe, metterai in mostra quello che, stretto tra due montagnole, normalmente sta nascosto. Il tuo buchino, in quella posizione potrà subire una dilatazione adeguata al calibro di entrata.
C’è anche una camera buia, ma proprio buia, come un buco nero. Vedi solo gente che vi entra, inghiottita, ogni tanto qualcuno ne esce stravolto e sconquassato. Dentro divinità indiane dalle cento mani si mescolano a voraci Cerberi dalle cento bocche.
Ho usato in precedenza l’espressione, altezza giusta. In un uomo, escludendo ovviamente i bambini, i nani, quelli con le gambe molto corte, quelli che superano i due metri (che poi si possono anche adattare piegando ed allargando le gambe), l’altezza giusta è al cavallo, vale a dire l’attaccatura delle gambe, che varia dai settanta ai novanta centimetri. Questa è l’altezza che io chiamo giusta, perché è lì che penzola a chi poco a chi tanto il gioiello maschile: il cazzo. Se giri pagina è posizionato lì anche quel buco nero, dove non batte il sole.
Entriamo in uno dei due camerini laterali, il centrale come già detto è occupato. Dentro non c’è niente, sulla parete divisoria c’è il buco che ho già descritto. Per segnalare la presenza l’occupante si toglie il telo e lo poggia sulla parete divisoria che non arriva al soffitto. Chi ha la vivanda pronta la fa passare attraverso il buco, fiducioso che ci sia dall’altra parte uno che la gradisca.
Anche il sedile dondolante in cuoio, nella cabina più grande, è messo all’altezza giusta. Entriamo a fare da guardoni ad una performance in corso. Un misero moncherino sta pistonando una grande voragine che lo ha inghiottito. L’odore di popper, che l’occupante del dondolo tiene costantemente attaccato a una narice, ha riempito lo spazio. Tutti i presenti partecipano ognuno a modo suo a quello che sta avvenendo. Poi senza preavviso per i presenti, il moncherino con la mano che vi è attaccata viene rigettato e la voragine si chiude, fine.
Una room, definita dark come un buco nero astronomico, ingoia gente, la si vede entrare. Lo facciamo anche noi e le mille mani della dea Kaly indiana ci brancicano da per tutto, i turchi, perchè stanno agguattati alla turca, spalancano la bocca come piante carnivore e ingoiano tutto. Riuscire a vincere il risucchio e uscire non è impresa semplice.

In questo posto votato al sesso si incappa in quello mercenario. Il tipo consueto è: giovane nero o di pelle scura, ben fatto, che ti guarda ammiccante. Esibisce sotto il telo un attrezzo notevole, già in tiro che, se sei audace, riesci anche a tastare per un assaggio. Il giovane ti sorride e palpandoti il culo ti dice: lo faccio per soldi, ma da te solo un regalino, quello che vuoi, non chiedo tanto.
Questa impressione l’ho avuta quando, sentendomi tirare per la corda, il legame col mio compagno, mi giro e vedo Michele fermo davanti ad un nero, notevole per tutto, altezza più della nostra, giovane intorno ai trenta, magro e scattante come un ghepardo. Mi avvicino e comincio a toccare, prima che tutto finisca con la richiesta di soldi ma, pur nella poca luce, avverto una nota in disaccordo con il clichè della marchetta descritta, il giovane ha uno sguardo dolce e morbido e tocca anche lui. Geir, così dice di chiamarsi, parla bene l’italiano ed è del Senegal, in Italia da qualche anno, ha vissuto e studiato a Marsiglia. Anche noi ci presentiamo e rispondiamo alle domande mentre le nostre sei mani toccano, ci esponiamo anche allo sfregamento voluto e/o obbligato degli altri che devono passare nello stretto corridoio, stiamo ostruendo il passaggio.
La proposta di appartarci in un camerino e la storia continua. Geir è dolcissimo e risponde ad entrambi con uguale trasporto, peccato che le cose essenziali in lui, come in tutti noi, sono uniche mentre lui ne ha a disposizione due, le mie e quelle di Michele. Ed allora ce lo dividiamo, se io mi gingillo col cazzo, il mio amico impegna la sua bocca, e poi ci scambiamo. Geir si alterna sui nostri cazzi e le nostre bocche che si conoscono bene e non smettono di cercarsi anche quando la novità prevale, si uniscono intorno al totem e se lo passano da una all’altra. E’ un rapporto alla pari in cui, chi più ha, più mette a disposizione e quello di Geir è notevole e resistente, anche lui gode di noi, il triangolo è perfetto. Appagati i sensi, ci accorgiamo che il piacere di stare insieme non è finito, si va alla scoperta del chi siamo, con la voglia di conoscersi affondo.
Così questo incontro ha un seguito, in privato. Geir viene invitato, per la sera dopo, a cena, a casa. Si presenta con indosso un maglioncino bianco candido, anche per il contrasto col colore della pelle, aderente, di buona fattura e qualità, una borsa a tracolla di cuoio marrone e dei pantaloni jeans anche questi attillati ad esaltare le sue fattezze. Con nostra sorpresa non è venuto a mani vuote, gli penzola dall’indice e medio un pacchetto, legato con un cordino.
- Ho portato i dolcetti.
- Che caro, non dovevi.
Sei già tu il nostro dolce.
Grazie.
La cena si svolge in un modo piacevole, alla familiarità di una cena con un amico, si assomma la complicità di un incontro per sesso, avete sicuramente dei ricordi vostri. Si mangia e si fa altro, nell’ intervallo tra una pietanza e l’altra. Io in piedi ai fornelli mi sento Geir dietro che mi stringe e mi fa sentire il suo gonfiore e dietro di lui Michele lo bacia sul collo e con le braccia stringe entrambi. Al tavolo rotondo con Geir in mezzo e noi ai lati ci tocchiamo sopra e sotto. Finita la cena ci andiamo a mangiare i pasticcini nella tana, che è la zona notte con un letto ampio e comodo per fare tutte le capriole che in tre viene in mente di fare. Non vedevamo l’ora di toglierci i panni di dosso. Il corpo nudo di Geir è uno scrigno di libidine, elegante e snello ed è una continua sorpresa il suo enorme e dritto totem, già naturalmente pronto, senza stimolarlo. È certamente la sua giovane età ma ci piace pensare che lo ecciti anche il desiderio di noi. Si stende supino sul letto con le braccia aperte per riceverci uno a destra ed uno a sinistra. Cominciamo a divorarlo come prima con il cibo. I capezzoli sono giusti, uno a testa, la lingua lecca e titilla, i denti stringono, il mugolio di piacere che esce dalle labbra di Geir ci invoglia a continuare. Qualche capriola e la sua bocca non è più vuota, Michele gliel’ha riempita col suo pene, che conosco molto bene. Cosa è successo dopo, immaginatelo, mettendovi al posto di chi volete. L’equilibrio è stato perfetto, nessuno si è risparmiato, preso senza dare, dato senza prendere.
Quando è venuto il momento, ci siamo salutati e gli abbiamo chiesto:
- Ci rivedremo?
Eloquente è stata la risposta di Geir:
- Inchallah.

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