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Gay & Bisex

Ti racconto una storia


di corsaro200
23.01.2024    |    90    |    0 9.0
"Al mattino seguente, su sue precise indicazioni, presi il bus per andare in ospedale..."
L’annuncio, sempre lo stesso, lo lanciavo in tutti i siti di incontri che frequentavo.
- Hai una storia da raccontare? Contattami.
- Si ce l’ho
Rispose qualcuno.
- Cosa?
- Una storia, un segreto.
Se non lo racconto ho l’impressione di non averlo vissuto.
- Di che si tratta?
- Eh, parti subito in quarta. Non so perché si dice così quando esiste anche una quinta marcia. Tu lo sai?
- Prima le automobili ne avevano solo quattro, adesso c’è anche la quinta e credo la sesta, il detto però non è variato.
Ma non divaghiamo e facciamo conoscenza. Cominci tu?
- Ok.
Ho trentacinque anni, sono alto un metro e settantacinque, peso settantadue chili. Ho un bel fisico, carnagione scura e pelo nero. Una delle ragazze con cui sono stato per un paio d’anni, nei momenti intimi mi diceva che ho un bel culo e quando le stavo duro, dentro, nelle sue profondità, succedeva che mi metteva un dito nel culo e mi diceva.
- Tu a me io a te.
-Io ci ridevo ma confesso che mi sono scoperto che aspettavo lo facesse. Cosa posso aggiungere. Non sono aggressivo, certe situazioni mi intimidiscono, divento arrendevole e come dire mi faccio portare per mano.

- Si caro amico, ho capito, veniamo però al dunque. Parliamo di sesso, è quello che i miei lettori si aspettano. Dimmi anche come ti chiami, un nome vale l’altro.
- Mi chiamo Tobia.

Tre mesi fa mio padre è stato ricoverato in un ospedale del nord, all’avanguardia nel campo dell’ortopedia. Doveva essere sottoposto a un’operazione al ginocchio sinistro. Partimmo di mattina presto, arrivammo nel primo pomeriggio e andammo direttamente all’ospedale. Mio padre, a piccoli passi aiutandosi con i bastoni, e io, con un grosso zaino in spalla e un trolley al traino, ci mettemmo in fila per la pratica di ricovero. Non sono molto navigato e spigliato in certe incombenze e la responsabilità di occuparmi in prima persona di mio padre, anche impedito nei movimenti, forse mi dava l’aspetto di uno bisognoso di aiuto. Sarà stato questo o altro sta di fatto che un camice bianco mi puntò, si avvicinò e messami la mano nella schiena, mi chiese.
- Cosa dovete fare?
- Mio padre si deve ricoverare per un’operazione al ginocchio.
- Allora verrà nel mio reparto. Come si chiama?
- Ernesto Foglia
- E tu?
- Tobia
Seguirono altre domande, tipo da dove venite, che lavoro fai, sei scapolo, quanti anni hai. Mi venne chiesto anche dove sarei andato a dormire.
- Ancora non lo so – risposi – ho due indirizzi e numeri di telefono. Dopo che sarà stata assegnata la stanza a mio padre, mi occuperò del mio alloggio.
- Stai tranquillo Tobia mi troverai in reparto e vedremo il da fare.
Nel dire queste parole la sua mano dalla schiena era scesa giù alla vita e mi sentii prendere in una stretta. Immediato il mio rossore, abbassai lo sguardo ma non mi ritrassi.
È doverosa a questo punto una descrizione del tipo. Indosso, sotto il camice bianco, aveva pantaloni jeans e ai piedi comode puma. Età circa cinquanta anni, altezza uno e settanta, robusto, tatuaggi sulle braccia, orecchino, capelli rasati a zero, fitta peluria bionda, baffoni e basette lunghe. Diresti un tipo tosto a cui affidarsi e se necessario farsi proteggere. Dopo meno di mezz’ora dall’incontro, completate le operazioni di ricovero, salimmo al terzo piano. Lo trovammo davanti all’ascensore, mi prese dalle mani il foglio e ci indirizzò alla stanza in fondo al corridoio. C’erano due letti.
- Scelga signor Foglia, quello vicino alla finestra o vicino alla porta?
Mio padre scelse quello vicino alla finestra. Intanto si erano fatte le cinque del pomeriggio e dovevo ancora cercarmi un alloggio
- Dopo che hai fatto sistemare tuo padre vieni nell’infermeria, troveremo una sistemazione anche per te.
E anche stavolta, mio padre era andato in bagno, come un amico molto confidente e giocherellone, mi fece una palpeggiata a due mani, con una mi prese palle e cazzo e con l’altra mi artigliò una chiappa e io, come un ragazzino imbarazzato, non feci niente. Tanto era un gioco.
Ma quel gioco mi turbò. Non capivo la mia reazione, non sapevo sottrarmi a quei maneggiamenti. Era la prima volta che un uomo appena conosciuto mi metteva le mani addosso e in quel modo. Avevo avuto anche un inizio di erezione.
Quando mi presentai, dopo pochi minuti in infermeria, mi prese sotto braccio e mi disse.
- Tobia dammi una mano devo prendere del materiale dal nostro magazzino, in due facciamo prima.
Detto questo mi guidò verso una porta chiusa a chiave, aprì, entrammo e richiuse.
C’erano scaffali che arrivavano al soffitto e sopra tante scatole. Si sedette su uno sgabellino che sicuramente veniva usato per arrivare ai ripiani più alti e mi chiese di aprire una scatola che gli stava sopra la testa sul quarto ripiano. Per farlo mi dovetti avvicinare fino a toccargli la spalla e alzare le braccia, il ripiano era a più di due metri da terra. Con questo movimento la mia polo si alzò e misi in mostra l’ombelico, con i peli neri e lisci che gli stanno intorno, e il bottone che mi chiudeva in vita i pantaloni. Fu un istante e mi sentii liberato da questi e dagli slip. Mi irrigidii come uno stoccafisso, strinsi il culo e guardai in giù. Il mio cazzo era nella sua bocca e le mani avvinghiate alle mie chiappe.
Anche lui era immobile, attendeva che il mio cazzo gli si indurisse in bocca, il che avvenne senza la mia volontà. Poi mi spinse con le chiappe alternativamente contro di lui e quando stavo cominciando a riprendermi e partecipare, mi allontanò.
- Ricomponiti, dobbiamo uscire. Io finisco il turno tra venti minuti. Saluta tuo padre, digli che hai trovato una sistemazione che ti ho suggerito io. Ci vediamo davanti al Bar del Sole. Ho una panda bianca.
Ah, raccomanda a tuo padre di non dire ai colleghi che ti ho trovato io l’alloggio, penserebbero che chi sa cosa ci guadagno.

Fossi stato un tipo, come dire, dichiarato, potrei anche capire la sua sfacciataggine, ma ti assicuro, tu non puoi vedermi, non lo sono. Non sono neanche un maschione virile che spruzza testosterone. Come ha fatto a capire che, pur non essendo niente di tutto questo, non mi sarei opposto e mi sarei messo nelle sue mani, proprio non me lo spiego.
Dovetti aspettare un po’ prima di entrare nella stanza di mio padre, si sarebbe accorto che ero stralunato.
Lo informai, gli dissi parole tranquillizzanti e che sarei ritornato l’indomani prima dell’operazione prevista per le otto e mezza.
Feci passare i venti minuti e scesi in strada. Una panda bianca si fermò e salii.
Parlò per tutto il tragitto che non fu lungo, appena la guida glielo permetteva mi teneva la mano sulla coscia, gesto rassicurante, ma spingendosi all’inguine, anche inequivocabile.

- Caro amico, veniamo al dunque.
- Eh ma che fretta.
Va bene saltiamo l’arrivo a casa, il mettiti comodo, la cena i palpeggiamenti continui e arriviamo al dopo.
Seduti in salotto, un bicchiere pieno, musica di sottofondo.
Devo però spiegarti il “mettiti comodo”. Entrati in casa era sparito giusto pochi secondi e ricomparso con in dosso un caftano, uno lo aveva dato a me dicendomi di indossarlo. Eravamo quindi in salotto a piedi nudi nelle nostre ampie vesti. Lui se la alzò scoprendo le gambe e altro e mi disse.
- Adesso tocca a te.

Io rimasi a bocca aperta per alcuni secondi. Devo dire che da quando il mio uccello era stato nella sua, in tutta quella situazione che si era venuta a creare senza la mia volontà vedevo solo dei pro e nessun contro. Avevo risolto al meglio il problema dell’alloggio, avrei avuto tutto gratis anche il vitto. All’ospedale tutto sarebbe andato per il meglio con lui che se ne sarebbe occupato. Avrei dovuto soddisfare le sue voglie e anche quello era un pro in quanto un pompino è un pompino, che importanza può avere di chi è la bocca che lo fa.
Sentirsi dire “adesso tocca a te” mi spiazzò e non poco. Ma questa incertezza durò pochi istanti perché lui non mi diede il tempo di decidere, aveva già deciso lui che doveva andare così. Infatti finito di pronunciare quelle parole mi afferrò per i capelli e mi obbligò a inginocchiarmi davanti a lui e a prenderglielo in bocca.
Io che mi sentivo senza volontà, per non aggiungere a quel profondo disagio anche il dolore dello scotennamento, mi abbassai, la bocca era già aperta.
- Bene, bravo. Ora non avere fretta, non fare movimenti, stai fermo. Aspetta che si ingrossa. Prova a muovere solo la lingua, mettila a cucchiaio e falla ruotare intorno alla cappella. Questo favorisce, accelera l’ingrossamento. Si vai con la punta nel solco del prepuzio, vai sul buchino da dove piscio. Così. Sei bravo. Lo avevi già fatto?
Io stavo per mollare la presa per dirgli che no, che non avevo mai fatto niente di tutto questo che non ero un frocio. Ma lui prevenendo il mio gesto mi tenne ferma la testa e aggiunse.
- Non muoverti, cazzo. Si può dire si o no anche con la testa.
E io la scossi più di una volta per dire di no, che non lo avevo mai fatto.
- Adesso che è grosso vai su e giù, su e giù. Fai saliva, ma non troppa, non mi piacciono gli sbrodolamenti. Ora leccami le palle. Prendine in bocca prima una e poi l’altra, ma non tirare, massaggiale. Prova a vedere se ti entrano tutte e due.
Si bravo, hai la bocca larga. Ora riprendi l’asta e fai con calma. Ma non restare in punta, affonda, fallo passare dalla gola, arrivare alle tonsille.
Devi allenarti, prima di dare l’affondo devi respirare, così non soffochi. Che goduria quando passa nella strettoia. È lì che la bocca da il massimo. Vorrei averlo più lungo e più grosso proprio per arrivare più giù dentro l’esofago.
Ora sono pronto. Devi fare più in fretta, devi accelerare e fallo bene, altrimenti ti afferro la testa e te la muovo io. Tienila ben aperta la bocca non farmi sentire i denti.
Dai, dai accelera. Che voglia di afferratela e comandare io. Ma per te è la prima volta, mi voglio accontentare.
Dai, dai, resisti, non fermarti, continua.
Ah, ah, sborro, sborro.
Quel porco mi aveva sborrato in bocca. Al primo schizzo subito allontanai la bocca. Lo sborro, bianco vischioso, cremoso, continuò a uscire e lui continuava a dire ah, ah ah. Solo in quel momento mi resi conto che avevo sborrato anche io.
Quando finito di dire ah, ah si guardò e vide che lo sborro era da per tutto, si incazzò.
- Che cazzo hai fatto. Non potevi ingoiarlo, tenerlo in bocca. Guarda che macello. Se è andato sul divano sono cazzi.
Lui vedendo la mia espressione si ravvide.
- Va be! Non è successo niente, il caftano si lava. Per te è la prima volta, ti giustifico.
Poi vedendo che anche la mia veste era imbrattata, si mise a ridere.
- Se sei venuto anche tu, senza toccarti, vuol dire che ti è piaciuto.
Tu non lo sapevi, ora si. Ti piace il cazzo.
Ebbi tutta la notte per riflettere sulle sue parole, “ti piace il cazzo”.

Al mattino seguente, su sue precise indicazioni, presi il bus per andare in ospedale. La faccio breve, l’operazione a mio padre andò bene, durò due ore ma ritornò in camera all’ora di pranzo. Mi fu permesso di stargli vicino. Meno male che mio padre sonnecchiò per tutto il giorno. Io non avevo alcuna voglia di fare conversazione, ero tutto concentrato su quello che era accaduto ma non sapevo trarre conclusioni. In serata quando lui ritornò per fare il servizio notturno, il letto a fianco a mio padre non era stato occupato. Un caso o c’era stato qualche suo intervento? Mi disse che potevo usarlo e che durante la notte sarebbe venuto a trovarmi. Infatti sarà stata l’una di notte, dormivo profondamente, anche mio padre che aveva sicuramente preso dei calmanti. Mi sentii scuotere, era lui che mi invitava a seguirlo. Mi disse che aveva un desiderio da realizzare e finalmente con me lì lo avrebbe potuto fare.
Sapeva che alla una e mezza ci sarebbe stato un giro di ispezione del medico di turno. Lui aveva nella guardiola la sua postazione a mezzo busto. Chi stava dall’altra parte vedeva dalla cintola in su.
Il suo desiderio era di farsi fare un pompino mentre qualcuno veniva a chiedergli qualcosa o solamente salutarlo mente gli passava davanti, da lì a poco avrebbe fatto il giro il medico di turno e si sarebbe fermato lì davanti a dare e ricevere informazioni. Mi fece entrare nella guardiola, mi fece accucciare per terra e mi ordinò di prenderglielo in bocca. Sotto il camice i jeans erano sbottonati, cazzo e palle erano già fuori.
Quel cazzo l’avevo spompinato, le palle leccate ma non avevo avuto il tempo di esaminarli bene, nel salotto di casa c’era pure poca luce. Ora invece lo vedevo bene. Era bellamente a riposo la cappella coperta dal prepuzio, la pelle un po’ spessa, una vena in rilievo andava dalla punta alla base, sembrava in pace con sé stesso, non mostrava affatto la potenza che aveva in erezione. Mi venne istintiva la voglia di avvicinarmi e toccarlo con la lingua. Lui aveva le gambe larghe per potermi fare stare comodamente accucciato in mezzo. Nel toccarlo l’uccello cominciò a muoversi come un lombricone che si scartoccia e si distende. Che quello fosse il sesso di un maschio e io un altro maschio che ci giocava era tutto relativo, non c’entrava per niente l’omosessualità o l’eterosessualità. Era piacevole, stimolante e me lo feci sparire in bocca.
- Notte tranquilla?
- Si dottore, riempio un po’ di scartoffie.
Sentendo la conversazione sopra di me, strinsi le mascelle e gli feci sentire i denti. Come reazione mi sentii serrare dalle sue forti gambe come in una morsa e mollai, ma questo aveva causato un indurimento notevole del suo arnese e mi dedicai a un piacevole affondo.
- Hai stretto i denti, stronzetto.
- Ma se gli è piaciuto, hai visto come ha reagito. Per piacere non sborrare.
- Tranquillo lo riservo per stasera.
In mattinata mio padre era più vigile, lo salutai dicendogli che andavo un po’ a dormire. Andai via con lui che aveva finito il turno. Ritornai in ospedale verso le undici per una mezz’ora e poi nel pomeriggio con l’orario di visita. Lui, dopo la notte, aveva il riposo e aveva preparato una bella cena per viziarmi con la gola.
La prima notte, dopo il pompino avevo dormito sul divano, quella sera mi chiamò nel suo letto. Eravamo entrambi completamente nudi. Pensavo a dei bis di quello che avevamo già fatto. Non fu così. Mi fece mettere a gambe all’aria ordinandomi di tenermele con le mani. Sì, i suoi erano veramente ordini, non semplici richieste e io obbedivo con piacere, avevo scoperto una mia forte dedizione alla sottomissione. Stetti in quella posizione per parecchi secondi senza che succedesse niente. Il mio sguardo era fisso al soffitto dove si proiettava una grande e deformata ombra della sua testa. Nella posizione in cui mi aveva fatto mettere la cosa di me che stava più in alto era il buco del culo. Poi l’ombra al soffitto si avvicinò e sentii la sua lingua proprio lì. Prima ci girò attorno sfiorandomi appena, voleva farmi rilassare, farmi allentare i muscoli, se non avessi dovuto reggermi le gambe tutto il mio corpo si sarebbe smollato e lo sfintere dilatato. Dopo mi frugò dentro con la punta della lingua, il suo naso mi toccava l’attaccatura delle palle e ci stette dentro lubrificandolo con tutta la saliva che riuscì a produrre. La lingua arrivava dove poteva, l’alternativa erano le dita che si spingevano più in profondità e mi diceva di rilassami, “vedrai che è bello”. Non so se fossi consapevole di quello che sarebbe successo. Io mi sentivo aperto e pronto a qualcosa di più consistente e non dovetti aspettare tanto. Si alzò e si posizionò sopra di me all’altezza dei fianchi, con un piede per lato. Si abbassò, sfiorò con il membro il mio buchino rosato, contornato da una nera peluria e afferratosi con le mani alla mia nuca, forse per fare leva, diete un affondo netto. Sentii le carni lacerarsi ed emisi un grido di dolore. Il suo cazzo mi era entrato tutto dentro. Mi era impedito ogni movimento.
- Stai calmo, rilassati. Vedi non mi muovo
- Ma mi fa male, mi hai squartato.
- Ancora un po’ e passa, vedrai, non stringere, io non faccio niente, sto fermo, aspetto che cominci tu a muoverti.
Ed ebbe ragione. Il dolore lancinante cominciò a diminuire. Desiderai sentirlo andare su e giù, dentro e fuori e feci quei piccoli movimenti che mi erano consentiti dalla posizione. Lui li avvertì e li amplificò, a differenza di me poteva muoversi e lo fece.
Prese a pistonarmi con ritmo e con la massima escursione che il suo cazzo gli consentiva stando attendo a non farlo uscire. Si muoveva come un ginnasta che fa le flessioni, lavorando tutto di ginocchia. Alzando un po’ la testa riuscivo a vedere questo stantuffo che entrava e usciva dal mio culo dilatato che non stringevo più. Anzi per favorire la penetrazione fino a farmi toccare dalle sue palle che, andando su e giù, seguivano il ritmo, spingevo come quando devi cacare e lo stronzo è troppo grosso per il tuo budello. Io stavo a guardare il mio corpo di puttana sfondata, come fossi abituata a essere trombato, invece era la prima volta, e non fu l’ultima.

Dopo l’operazione mio padre iniziò la terapia riabilitativa, potevo andarlo a trovare solo negli orari di visita, il resto del tempo, se lui era a casa, lo passavo a farmi trombare.
La settimana che avevo programmato finì e dovetti tornare al lavoro. In quella settimana, sono sicuro le ho provate tutte. Ero arrivato vergine nel corpo e più ancora nella testa, ritornavo puttana dentro e fuori e a vedermi ero sempre lo stesso.
Dopo due settimane, ritornai per riportare a casa mio padre che ancora usava i bastoni ma non per appoggiarsi. Li agitava in aria per far vedere a tutti che poteva camminare e camminare bene senza sostegni.
Passai con lui un’altra notte. I quindici giorni di astinenza mi avevano fatto venire le più pazze voglie e lui le soddisfò tutte. In una notte che cominciò alle dieci di sera e finì alle otto del mattino sborrò tre volte.
E non dire amico mio che c’è chi fa di più. Quelle furono sborrate vere.
Ora che te l’ho raccontata, quest’avventura la sento più vera. Per tutti questi giorni ho avuto l’impressione fosse capitato a un altro. Solo quando preda del desiderio mi toccavo il buco del culo avevo la conferma che era capitata a me. Infatti, al mio tocco lo sfintere cominciava a dilatarsi come fa l’affamato che, appena vede il cucchiaio di minestra avvicinarsi, apre la bocca.




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