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Serva del mio Padrone - parte 3 - Finalmente schiava


di StefanieSalope
14.04.2023    |    894    |    3 9.2
"Spalancavo la bocca, cercavo di ingoiarlo, di farlo entrare tutto e con la lingua solleticare le sue palle pelose..."
Mi stavo guardando allo specchio. I miei capelli erano corti, lucenti e femminili. Il trucco esaltava i miei zigomi e il taglio degli occhi. Avevo scelto un rossetto rosa, non troppo appariscente e,
sotto quel vestito corto che non arrivava oltre la metà coscia, avevo indossato tutto ciò che la signora mi aveva ordinato. Il corsetto, che avevo portato tutta la settimana e ormai non mi dava alcun fastidio, le calze nere che rendevano le mie gambe ancora più affusolate e le mie scarpe, che mi facevano sentire veramente una donna libidinosa, una sgualdrina, e quella sensazione era ormai rassicurante.
Uscii di casa molto presto perché, prima di prendere la macchina per andare dalla mia Signora, volevo fare una passeggiata, anzi una passerella nel quartiere. Dopo pochi passi incrociai degli operai che mi guardarono senza pudore e fischiarono invitandomi in cantiere dove mi avrebbero fatto divertire. Ero impaurita e soddisfatta. Il mio passo si faceva sempre più sicuro, sculettavo con piacere, molti uomini mi spogliavano con gli occhi mentre molte donne mi guardavano con disprezzo, con insana invidia. Nessuno sembrava essersi accorto che, fino a ieri, passavo su quel marciapiede come Vittorio. Ero elettrizzata, esaltata, ma volevo un’altra prova. Mi diressi verso la pizzeria del cugino Cosimo, indossando un paio di occhiali da sole che mi aveva prestato Susanna. Al mio passaggio c’era proprio lui che parlottava con un altro signore. Quando ero ormai a pochi metri, lui cominciò a fissarmi. Mi aveva riconosciuto? Continuai, sicura di me e, quando gli fui davanti, mi diede il buongiorno. Mi disse: “buongiorno signorina. Spero di averla presto come cliente, e la prima ordinazione gliela offro io”. Io mi fermai e, cercando di imitare la Signora Stefania sia nel tono che nella voce suadente, gli dissi che sicuramente ne avrei approfittato vista la sua gentilezza”. Mentre mi allontanavo lo sentii dire al suo conoscente : “minchia che pezzo di fica. Chissà dove vive?”.
Non sentii la risposta dell’altro ma mi incamminai, continuando a sculettare, soddisfatta e felice. Finalmente Stefanie la Salope era uscita allo scoperto, e l’avrei nascosta il meno possibile.

Ero davanti alla villa della Signora all’orario prestabilito. Il tempo passava ma non ricevevo indicazioni e cominciavo a preoccuparmi. Solo alle 11:00 mi arrivò un messaggio che mi diceva di andare davanti al cancello pedonale ed attendere. In un attimo ero già dove indicato; sentii il cancello aprirsi e contemporaneamente un nuovo messaggio mi diceva di raggiungere la dependance e chiudermi dentro fino a nuovo ordine.

Più che una semplice dependance, era un vero e proprio appartamento, più grande di quello in cui abitavo ma, la cosa più affascinante, era la vista da quell’enorme vetrata. Si poteva vedere la piscina, enorme, che io avevo visto solo nei film. C’era un grande parco curatissimo con alberi e fiori a me sconosciuti, ma tutto sembrava fatto per esaltare la forma della villa. Tanta bellezza mi estasiava. Mi immaginavo girare per quella casa, vestita da cameriera, con i miei tachi 15 e un plug con una lunga coda mentre il Dottore mi ordinava cosa fare. Nella mia mente si stava materializzando l’immagine di me stessa posseduta analmente mentre leccavo e masturbavo il sesso della padrona, e ancora essere usata da più uomini che si alternavano nell’abusare di me. Fremevo e mi eccitavo, eppure non sentivo il mio uccello indurirsi. Stava forse succedendo quello che Susanna aveva predetto pochi giorni prima? Veramente il mio uccello si stava trasformando in una specie di clitoride? Eppure con la signora Eleonora aveva funzionato alla grande. Forse stavo prendendo veramente possesso del mio corpo fino in fondo?
Mentre tutti questi pensieri affollavano la mia mente riuscii a vedere la Signora uscire dalla casa. Mi fece un cenno ed io corsi letteralmente da lei nonostante i tacchi. I suoi occhi mi scrutarono, sembrava scavassero nella mia anima.
Mi fece entrare e mi disse velocemente dove trovare il necessario per preparare la tavola da pranzo, come sistemarla, come disporre il cibo che aveva portato e poi di tornare nella dependance. Dovevo finire tutto prima dell’arrivo del Dottore perché lui non doveva assolutamente sapere della mia presenza. Mi intimò, in modo decisamente autoritario, tanto da sembrare il Dottore, di non farmi vedere per nessuna ragione, ma che comunque dovevo guardare tra gli armadi per capire dove trovare i completi per la servitù così, se avesse deciso di farmeli indossare, li avrei trovati facilmente.
Cercai di eseguire gli ordini velocemente e di andarmene e, mentre chiudevo la vetrata, la vidi scendere le scale con una vestaglietta rossa di Victoria’s Secrets che avevo visto pochi giorni prima nel negozio della signora Francesca. Era perfetta ed avrei voluto poterla ammirare ancora per un po’ ma, con un cenno della mano, mi scacciò.
Corsi nella dependance e mi chiusi dentro, stando in un angolo. Mi sarei dovuta chiudere in una delle stanze per essere certa di non essere vista, ma la curiosità e la voglia di vedere il Dottore mi spinsero a rischiare. Dopo pochi minuti li vidi uscire con lui senza maglietta. Per la prima volta lo vedevo seminudo e l’eccitazione fu immediata. Sapevo fosse prestante, si vedeva anche da vestito, ma, nonostante la distanza, le spalle e i pettorali erano perfettamente definiti. Subito la fantasia ricominciò a correre e mi ritrovai a muovere il plug per darmi piacere.
Guardavo quelle due persone e sentivo una profonda gratitudine. Prima il Dottore mi aveva assunta, insegnato una professione pagandomi molto più di quanto potessi sperare, e poi la Signora aveva liberato il mio io donna. Li vedevo mangiare, parlare, ridere ed ero estasiata. Passò del tempo fino a quando mi accorsi che la Signora aveva completamente denudato il dottore e gli stava facendo un pompino. Ero impreparata, una scossa attraversò la mia spina dorsale. Mi sentivo eccitata ma provavo anche profonda vergogna perché percepivo in me una sorta di gelosia. Anch’io volevo poterlo avere in bocca, anch’io volevo sentire la mia testa tra quelle mani. Ma con quale coraggio provavo quei sentimenti? Se ero li, con quei tacchi, quella lingerie e quel vestito che poche ore prima aveva eccitato sconosciuti al mio passaggio, lo dovevo solo a lei. Scacciai quella sensazione! Non avevo il diritto di essere gelosa, dovevo invece essere devota e sottomessa, pronta ad esaudire i desideri del mio padrone e della mia signora. Mi resi conto che quello era ciò che volevo per me e nient’altro.
Continuai ad osservarli mentre erano in piscina che si baciavano appassionatamente e con ancora più attenzione e ammirazione lo feci mentre si scambiavano piacere sul divanetto a bordo piscina. Il dottore uscì con lei in braccio, sembrava non facesse alcuno sforzo. Da li, molto più vicino di prima, potevo ammirare quel corpo che mostrava forza, potenza, mascolinità totale, ma allo stesso tempo era delicato, attento e protettivo verso la Signora. Guardarli mi rasserenava perché erano talmente perfetti insieme da rendermi inutile. Eppure ero li, con la possibilità, o forse era solo una speranza, di essere posseduta da entrambi. La capacità di lei nell’ingoiare quell’asta veramente notevole mi esaltava. La faceva sparire, lentamente ma inesorabilmente, per poi leccarla con la punta della lingua attorno alla corona del glande e scendere fino alla base. Lo strusciava sul viso, lo leccava, lo accarezzava e poi lo ingoiava. Mi resi conto che ebbero un orgasmo simultaneo dai loro gemiti e grida di piacere. Ero esaltata e pronta a tutto per poter donare loro almeno una parte di quel piacere.
Di li a poco se ne andarono e la visione del Dottore che portava la sua donna in braccio, nudo, con quella schiena muscolosa e quelle spalle possenti mi diedero una nuova scossa di piacere, quasi un orgasmo che faticai a trattenere, ma dovevo farlo perché non mi era ancora stato dato il permesso.

Ormai era buio ed avevo già esplorato tutta le dependance trovando quanto indicatomi dalla Signora. C’erano completini da cameriera veramente meravigliosi nel loro essere spudoratamente sexy oltre a molti altri più da giochi sadomaso che da altro. Avrei voluto provarli tutti ma non mi era stato dato il permesso per cui mi sedetti su una sedia, ad aspettare.
Finalmente arrivò un messaggio dalla Signora che mi diceva di entrare in casa e di salire le scale, chiudendomi nella prima stanza a sinistra e di fare silenzio. Corsi, questa volta togliendomi le scarpe perché temevo di far rumore e raggiunsi la stanza. La illuminai con il telefono per accorgermi che era una cabina armadio. Rimasi li, seduta su una panchetta, indossando nuovamente le scarpe, in religioso silenzio. Ero tesa, eccitata, ed ogni rumore mi faceva trasalire. Quando sentii la voce del Dottore e della Signora trattenni il respiro. Io ero al buio e quando la Signora entrò accendendo la luce, i miei occhi furono abbagliati.
Mi ordinò di andare in bagno, sciacquarmi velocemente e tornare da lei. In quei pochi minuti aveva già indossato uno splendido corsetto in latex nero e degli stivali in pelle nera, alti fino al ginocchio e con un tacco a spillo in metallo tempestato di brillanti. Era meravigliosa. La aiutai a pettinarsi e poi lei mi truccò in modo molto più appariscente ma che mi faceva sentire ancora più donna ed ancora più sgualdrina.
Mi disse di seguirla, di non parlare se non interpellata e di guardare sempre in basso. Se qualcuno mi avesse voluto guardare in faccia, me lo avrebbe detto.
Mentre scendevo le scale dietro alla mia Signora bruciavo di eccitazione e di paura. Continuavo a dirmi che era impossibile che il Dottore volesse essere il mio padrone. Cosa potevo dargli io che già non avesse? Ma la speranza che la Signora mi aveva dato rimaneva più forte. Avrei fatto tutto per esaudire il mio sogno ed ormai era troppo vicina.

Il Dottore mi girava attorno, silenzioso, mentre io ero in piedi, immobile, lo sguardo fisso sulle punte delle mie scarpe e le mani unite davanti il mio inguine. Potevo sentire il suo respiro, il suo odore di maschio e quando mi sfiorò la prima volta, un leggero fremito scosse il mio corpo. Mi mordicchiavo il labbro, ero eccitata, tesa, spaventata e non avevo il coraggio di aprire gli occhi. Improvvisamente un sibilo anticipò un dolore penetrante. Mi aveva appena frustato la natica e il dolore mi eccitò a tal punto che la mia lingua cominciò a leccare le labbra. Ne arrivò un’altra molto più forte e dolorosa della prima ma, appena percepii la mano del Dottore sul mio sederino, prima accarezzandolo li dove mi aveva colpito e poi palpandolo con lussuria, sentivo che il fuoco della passione ardeva come un incendio. Passò il frustino tra le mie cosce e per un attimo mi sentii mancare per il piacere. Salì lungo tutto il mio corpo finché non mi alzò la testa e potei mostrarmi a lui. Sentivo le lacrime pronte a scendere e il mio uccellino pronto ad eiaculare. I suoi occhi erano ardenti, sembravano quelli di un demone ed io cominciavo a sperare. Mi chiese qual’era il mio nome e io risposi: Stefanie la Salope padrone”.
Ancora un sibilo e poi un dolore lancinante sulle cosce. Più del dolore mi raggelarono le sue parole; mi disse che non aveva ancora deciso se prendermi come schiava e che non potevo chiamarlo padrone. La paura di non essere abbastanza per lui tornò ad opprimermi.
Mi disse che il nome era perfetto, che sembravo proprio una sgualdrina fatta per essere scopata come una cagna. Non sapevo più dov’ero e mi lasciai guidare solo dall’istinto.
Mi chiese se ero sicura di voler essere la sua schiava, perché mi avrebbe usata come meglio credeva ed io dovevo essere sempre pronta e disponibile, mi avrebbe potuto dare ad altri per divertirsi con me oppure usarmi come moneta di scambio. Mentre lo faceva mi colpiva con quel frustino ma io non sentivo alcun dolore, continuavo a rispondere che volevo essere la sua schiava e che ero pronta a tutto.
Mi colpì di nuovo da dietro, a metà tra culetto e ginocchia, fortissimo, e subito dopo mi fece inginocchiare. Lui era dietro di me. Sentii il rumore di una campanellina e poi qualcosa stringersi attorno al mio collo. Era un collare? Ma allora mi voleva, stavo diventando la sua schiava? Veramente ero la sua cagnetta al guinzaglio?
Mi disse che da quel momento ero la sua schiava, il suo giocattolo, un oggetto nelle sue mani e io gli risposi che non desideravo altro.
Il mio padrone si tolse l’asciugamano e il suo grande e bellissimo pene era davanti a me. Avrei potuto prenderlo tra le mie labbra in un attimo, la lussuria era padrona della mia anima ma, con ancora un barlume di lucidità, rimasi ferma e socchiusi leggermente la bocca sperando di sentirlo entrare.
Il Padrone e la Signora si guardarono e quando la sentii dire che era ora di dissetarmi sapevo che il momento era arrivato, di li a poco avrei potuto bere il frutto del piacere del mio padrone diventando una sua proprietà esclusiva.

Mi portò, strattonandomi con il guinzaglio, al centro del salotto e mi disse che adesso dovevo mostrargli se sapevo farlo godere. Lo presi in mano e stavo per leccarlo quando un violento schiaffo mi colpì. Non mi aveva dato il permesso di toccarlo con le mani, dopo tutto io ero una schiava, non avevo alcun diritto di toccarlo senza permesso. Tornai con la bocca ad avvicinarmi fino a sentire tra le mie labbra quell’uccello meraviglioso. Lo assaporavo con la lingua, lo succhiavo e lo sentivo crescere. Finalmente stavo dando piacere al mio padrone e cercai di usare tutti gli insegnamenti di quei giorni. Spalancavo la bocca, cercavo di ingoiarlo, di farlo entrare tutto e con la lingua solleticare le sue palle pelose. Aveva un fantastico gusto di vero maschio, di quel genere di uomini che sai essere padroni di te, ma che allo stesso tempo ti fanno sentire al sicuro da tutti e da tutto. Senti che con loro il mondo non può far paura, ed io ormai non ne avevo più. Volevo solo sentire il suo godimento, volevo nutrirmi di lui.
Improvvisamente le sue mani afferrarono i miei capelli, per una attimo mi fermò per sputare nella mia bocca spalancata e poi infilò il suo potente membro nella mia bocca, fino in gola. Mi chiamava puttana, sgualdrina, cagna ma io sentivo solo le sue mani sulla mia testa. Mi stava toccando, mi stava scopando la bocca, mi stava usando come tante volte avrà fatto con altre donne. Ero finalmente sua e le lacrime di gioia si mescolarono a quelle per i piccoli conati che quella furia, quell’uomo meraviglioso a cui ero devota, il mio Padrone, mi procuravano. Aspettavo solo il suo nettare ma mi sbagliavo. Non era ancora il momento. Prima un’altra parte del mio sogno si stava per avverare. Guidandomi con il guinzaglio mi fece girare, mi sbatté la testa a terra, girata verso il divano su cui la ma mia Signora si stava masturbando. Lei era eccitata mentre il Padrone mi usava e, quando lo sentii dire che voleva provare se il mio culetto era fatto per essere scopato, cominciai a godere. Strappò il plug dalla mia rosellina, senza che il dolore diminuisse il mio piacere e, appena lo sentii entrare dentro di me, quando percepii la sua potenza sfondarmi, aprirsi la strada nel mio culetto, volevo solo godere. Mi penetrava con forza, lo sentivo dentro fin nelle viscere e il suo piede era li davanti a me e volevo leccarlo, succhiarlo, dimostrargli la mia totale devozione. Quando mi ordinò di farlo mi ci avventai sopra, anche se ero schiacciata dalla sua potenza lo volevo in bocca. Volevo godere ma non dovevo, non potevo, non avevo il permesso. Sentivo che ero sempre più accogliente, che la mia rosellina era totalmente aperta e dilatata per ricevere tutto il mio Padrone e sentivo che ero sempre più umida dentro.
Improvviso, come un lampo, arrivò un ordine inaspettato: “voglio sentire come gode una cagna”.
Potevo godere, potevo dimostrare quanto piacere provassi per essere usata da lui, per essere sfondata senza pietà mentre leccavo i suoi piedi. Cominciai a sentire aumentare il piacere nel mio culetto ed allo stesso tempo stavo eiaculando, senza erezione. Immaginavo che quella fosse la sensazione più simile ad un orgasmo femminile. Stavo provando l’orgasmo anale di cui Susanna e Ginevra mi avevano parlato e che io credevo fosse solo una leggenda per schernirmi. Ero in estasi e urlavo che stavo godendo, che volevo che mi sfondasse. Ringraziavo il mio Padrone e godevo in un orgasmo che sembrava non avere fine. Ero già oltre il culmine e sentivo le mie forze scemare quando sentii il mio ano completamente libero, senza quel cazzo che si muoveva dentro di me mi sentii vuota, quasi inutile. Ma sbagliavo, perché stava arrivando il momento di ricevere il simbolo della mia sottomissione. La cagnetta che ero stava per essere dissetata. Lo risentii di nuovo tra le mie labbra, e godevo per il suo sapore di maschio mescolato ai miei umori anali, le sue mani che muovevano la mia testa erano piacere assoluto. Ero abbandonata e felice perché anche la mia Signora era li. Sentivo il suo pube spingermi ad ingoiare il mio padrone e vedevo le loro lingue intrecciarsi sopra di me. Dovevo solo stare attenta a non ingoiare subito il suo nettare che quando arrivò era caldo e cremoso, quasi dolce e fu una sensazione completamente diversa da quanto provato quella sera con Alberto. Adesso mi sentivo in pace, nel posto a me destinato, giusta.
I getti erano potenti, schizzavano nella mia bocca ed io avrei voluto ingoiare tutto ma ormai sapevo che l’attesa mi avrebbe regalato qualcosa. Il Padrone mi fece aprire la bocca e sentivo il suo sperma tutto sulla mia lingua. In quel momento mi disse che era l’ultima possibilità per tornare indietro, che se avessi ingoiato il suo sperma, che per me era un nettare prelibato, sarei stata completamente sua. Io non attesi neppure che finisse di parlare. Sapevo che potevo essere punita, ma avevo atteso quel momento da troppo tempo. Forse, senza rendermene conto, lo aspettavo da tutta la vita.
Mentre lo sentivo scendere in gola ero la donna più felice del mondo. Si ero una donna, ed avevo un Padrone che adoravo. Non sentivo il bisogno di avere altro, ma mi sbagliavo. Quando il Padrone mi ordinò di leccare la mia Signora capii che potevo avere di più. Mi avventai su quella meravigliosa rosa. La leccavo, la succhiavo, la penetravo con le mani. Volevo rendere una piccola parte del piacere che solo grazie a lei avevo provato quella sera. L’apice fu quando il Padrone, vedendo la sua donna pronta a godere, mi bloccò la testa ordinandomi di tenere la bocca aperta. Potenti getti di godimento mi raggiunsero riempiendomi la bocca, il volto, le mani. Era un onda di piacere che mi colpiva. Mi fu ordinato di ingoiare quel mare di piacere, di leccarlo e succhiarlo dal pavimento. In quel momento, quando sentii il Padrone dirmi che ero la sua schiava ed anche la serva della mia Signora, sapevo che non avrei più avuto sogni da realizzare. Mi accoccolai tra i loro piedi, mentre li sentivo parlare tra di loro. Sarei rimasta li per sempre, senza sapere che, quel piacere, quel sentirmi finalmente giusta, in pace con il mondo, era solo l’inizio.
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