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Lui & Lei

Nel bagno del tribunale (punizione di una collega)


di Membro VIP di Annunci69.it Alchimista980
26.07.2023    |    11.112    |    16 9.9
"E questo mi eccita ancora di più..."
“Speriamo bene, anche se temo che finirà in un bagno di sangue!”, penso mentre, trafelato e accaldato, varco a passo veloce la soglia del grande portone del tribunale.
Tra pochi minuti ho l’ultima udienza di una sanguinosa separazione e il sottoscritto, tanto per cambiare, difende un marito il quale, non solo ha messo una montagna di corna alla moglie, ma ha anche pensato bene di immortalare le proprie gesta con fotografie e video che, poi, ha poco accuratamente nascosto nel proprio personal computer, di cui la dolce consorte, guarda un po’, conosceva la password.
“Un vero coglione!”, esclamo mentalmente ricordando il momento in cui, nel visionare il fascicolo di controparte, scoprii che, ovviamente, il difensore della moglie, a sostegno della domanda di separazione con addebito, aveva depositato una ventina di fotografie e video che lasciavano davvero ben poco spazio all’immaginazione. Pompini, scopate in fica e in culo, un video girato nel bagno di un aeroporto e addirittura una gang bang! Inutile dire che in tutti questi files il “coglione” era facilmente riconoscibile, anche per via di un vistoso tatuaggio.
A peggiorare la situazione, e a farmi sprofondare ancor di più nello sconforto, c’era lei, l’avvocatessa che difendeva la moglie.
Già prima dell’inizio della causa la collega si era dimostrata un osso duro, arcigna, poco conciliante, incattivita, come se la cornificata fosse lei.
Durante tutte le precedenti udienze si era mostrata sempre prepotente, arrogante, sicura di sé e, soprattutto, certa della vittoria alla luce delle prove schiaccianti contro il mio cliente. Si prodigava spesso in battutine saccenti, sorrisi beffardi, sguardi languidi tipici di chi sa di avere le carte vincenti: insomma, una vera stronza!
Però, devo ammettere che la collega è una bella donna, bionda, un bel viso, sempre elegante nei suoi vari vestitini aderenti che mostravano un seno prorompente, due belle gambe magre e un culo niente male. Se non mi fosse stata antipatica sarebbe stata la tipica collega sulla quale, incrociata nei corridoi del tribunale, avrei fatto sicuramente pensieri osceni, come spesso mi capita.
“Eccola là!”, esclamo vedendola poco distante mentre percorro il corridoio e mi avvicino alla porta dell’aula.
Per l’occasione, per il suo “trionfo”, ha scelto un vestitino leggero che arriva poco sopra le ginocchia, il seno costretto che reclama libertà e un paio di scarpe aperte con un tacco sobrio, unghie dei piedi smaltate con un rosso Ferrari, come quelle delle mani.
“Buongiorno collega!”, esclama lei accogliendomi con il suo solito sorriso beffardo.
“Buongiorno!”, rispondo gelido per poi chiederle, mentre volgo lo sguardo dentro l’aula: “Vedo che il giudice è solo. Entriamo?”. Meglio farla finita in fretta.
Il giudice ci sente e ci chiama ad alta voce: “Prego, prego, venite pure!”.
Da gentiluomo faccio entrare prima lei, la quale mi ringrazia con il solito sorriso. Odiosa!
Ci sediamo davanti alla scrivania del giudice, un uomo tutto d’un pezzo che avrei visto meglio come impiegato al catasto piuttosto che in magistratura.
“Bene avvocati, l’udienza odierna viene per la discussione. Avvocato della ricorrente, la ascolto!”, dice il giudice rivolgendosi alla collega.
Vedo lei comporsi educatamente sulla sedia, come la scolaretta prima della classe. Sempre più odiosa!
“Signor giudice, la mia assistita insiste per l’accoglimento della domanda di addebito della separazione, alla luce della copiosa documentazione emersa nella fase istruttoria”, esclama con tono deciso, per poi lanciare un altro sorriso e un’occhiata beffarda verso di me.
“Va bene! Lei avvocato?”, stavolta rivolto a me.
“Ehm, signor giudice, io insisto per il rigetto della domanda di controparte. Le prove documentali non hanno data certa e potrebbero anche essere state prese da internet! E, poi, nel corso del giudizio il mio assitito ha ampiamente dimostrato che già da tempo il matrimonio era finito, sicchè la domanda di addebito appare infondata”, esclamo poco convinto, quasi vergognandomi della inconsistenza delle mie argomentazioni. Tutta la mia difesa, finalizzata a non far addebitare al “coglione” la separazione, era volta a dimostrare che, sì, il mio cliente “avrebbe anche potuto aver commesso dei tradimenti”, ma che, ormai, il rapporto coniugale era in crisi e che, quindi, i coniugi non si stavano separando “solo” per questioni di “corna”. Tesi ridicola, lo ammetto, ma ho il dovere di difendere al meglio il “coglione”.
Mentre finisco di parlare vedo il giudice assorto sullo schermo del suo computer. Dietro di lui, appeso sulla parete a mezza altezza, c’è un televisore nel quale gli avvocati possono vedere, tramite il mirroring, quello che accade sullo schermo del computer del giudice.
Eccole lì, le fotografie e i video che il giudice, chissà per quale motivo, sta visionando. Si passa da un gustoso pompino con il mio cliente che si inquadra il viso, ad un rapporto anale dove si vede il fatidico tatuaggio, per poi arrivare alla gang con una donna e cinque uomini, tra cui il “coglione”, fino alla fantastica scopata nel bagno dell’aeroporto, con il volto del mio cliente ben riflesso nello specchio.
Lo sguardo del giudice è imperturbabile, indifferente, quasi fosse abituato a guardare certe scene nell’aula del tribunale.
Rivolgo per un istante il mio sguardo verso la collega, certo di trovarla tronfia e all’apice del successo.
Invece no.
Con mio stupore la colgo intenta a gustarsi le immagini della scopata in aeroporto, mentre si mordicchia un labbro, le gambe ben strette e le mani nervosamente serrate sul ventre.
“Hai capito la collega! Si è eccitata!”, esclamo tra me e me divertito.
Lei si accorge dei miei occhi su di sé, si ricompone, si rilassa e mi lancia il solito sorrisino.
“Beh, avvocato – dice il giudice alzando lo sguardo dal monitor e volgendolo verso di me – direi che possiamo trattenere la causa in decisione”. Ovviamente il senso della sua frase è palese: “Avvocato, ma dove vuole andare a parare?! Il suo cliente è fottuto!”.
Entrambi ci alziamo e salutiamo il giudice, avviandoci verso la porta.
Stavolta è la collega a farmi strada, quasi a concedermi l’onore delle armi.
Mentre la supero e varco la soglia la sento sussurrare al mio orecchio: “Te l’avevo detto che sarebbe stato meglio metterci d’accordo prima della causa! Ora la vedo dura per il tuo assistito!”, accompagnando la frase con la solita risata fastidiosa e impertinente, quasi sguaiata.
“Senti, collega, non prendo lezioni da nessuno, tanto meno da te! Quindi, evita pure questo atteggiamento fastidioso. Arrivederci!”, esclamo ad alta voce, guardandola fissa negli occhi, mentre mi avvio nel corridoio per andarmene.
Ma lei mi segue, mi resta alle calcagne.
“Beh, d’altronde se un marito fa le cose che ha fatto il tuo assitito, come può finire questa separazione?!”, sento lei da dietro con tono malizioso.
“Collega, ho fretta. Ti saluto!”, rispondo sgarbatamente allungando il passo. Ma avrei voluto dirle: “Hai rotto il cazzo! Vattene e non rompermi i coglioni!”.
Ma lei continua a seguirmi, indomita e non ancora soddisfatta.
“Hai visto le foto e i video? Roba forte eh?! Ma, dico io, come si fa?! Come?!”, incalza lei falsamente sconvolta, per poi ridere di nuovo.
“Ora basta!”, penso, ma, fatto un bel respiro, decido di ignorarla e di non rispondere.
Sento la rabbia montare dentro di me.
Sono quasi arrivato alla fine del corridoio e intravedo le scale, dove spero che lei finalmente mollerà l’osso.
“Comunque, ora attendiamo la sentenza. Ovviamente mi farò viva. Aspetta mie notizie!”, esclama in tono minaccioso ma sempre con quel sorriso arrogante.
Poco prima delle scale intravedo il bagno del pubblico e decido di infilarmici. “Vediamo se questa stronza mi segue pure qui dentro!”, penso mentre apro velocemente la porta.
Mi giro verso di lei, certo di vederla andare via.
Ma lei entra con me; forse nella sua trance agonistica nemmeno si è accorta che mi ha seguito in un bagno.
La porta si richiude dietro di noi, ora siamo soli e ci troviamo l’uno di fronte all’altra.
Sto scoppiando: “Senti, ora hai rotto il cazzo. Finiscila!”, le urlo in faccia.
Finalmente il suo volto cambia. Finalmente sparisce quel suo sorriso antipatico. Finalmente capisce di aver esagerato. Finalmente si rende conto che ci troviamo, da soli, in un bagno del tribunale.
Lei resta senza parole. Le mie parole urlate l’hanno destabilizzata.
Decido di sfogarmi: “Se le mogli fossero tutte come te, acide e antipatiche, direi che il mio cliente ha fatto bene a scopare a destra e manca”, urlo ancora.
Lei sta accusando il colpo delle mie parole. Mi guarda in silenzio, seriosa, ma con un velo di tristezza negli occhi.
Voglio prendermi la rivincita e continuo: “Ti ho vista come ti sei eccitata prima mentre guardavi il video dell’aeroporto eh?!”, le dico malizioso per stuzzicarla.
“Ma…ma…come ti permetti?”, risponde con un filo di voce e abbassando lo sguardo.
“Dai, mentre il mio cliente scopava la fica della sua amichetta ho visto che ti mordevi le labbra e tenevi le gambe strette! Se fossi stata da sola ti saresti toccata eh?!”, insisto con voce melliflua.
Lei non risponde, e allora prendo il sopravvento: “Mi sa che non scopi da un bel po’ eh?! Ti manca il cazzo, secondo me!”, dico, ormai svestito dai panni dell’avvocato integerrimo.
Lei volge lo sguardo verso il basso, diventa rossa in volto. Percepisco di aver colto nel segno.
Questa strana situazione mi sta eccitando. Il mio stato d’animo è passato in pochi minuti dallo sconforto sull’esito della causa all’arrabbiatura provocatami dal comportamento della collega, fino alla voglia di rivalsa: ora ho il cazzo duro.
“Anche noi ora siamo in un bagno!”, le sussurro ad un orecchio avvicinandomi al suo capo.
Senza preavviso la mia mano si insinua tra le sue gambe, alza la gonna e si ferma prepotentemente sulla sua fica. Ne percepisco il calore al di sopra delle mutandine.
Con il mio corpo schiaccio il suo contro la porta.
“Cosa stai facendo?”, chiede confusa con un lamento flebile.
“Ora non fai più la saccente e l’arrogante eh?!”, le chiedo mentre due mie dita scansano le mutandine e si infilano nella fica, trovandola liscia e depilata.
“Guarda come sei bagnata!”, esclamo mentre le dita iniziano a scoparla.
La collega non riesce più a proferire parola: ormai è inerme, ha perso tutta la precedente sicurezza di sé. E questo mi eccita ancora di più.
Tiro fuori le dita dalla fica e, con un gesto autoritario, gliele infilo in bocca senza alcuna difficoltà.
Lei chiude gli occhi e le lecca voracemente, emettendo un gemito di gustoso piacere.
Con l’altra mano mi abbasso la cerniera dei pantaloni e concedo libertà al mio cazzo, duro come la pietra.
Senza dire una parola tiro fuori le dita dalla bocca, posiziono la mano sulla sua nuca, faccio un passo indietro e le abbasso la testa verso il basso, costringendola ad inginocchiarsi.
“Ora prendimelo in bocca, da brava troia!”, esclamo sempre più eccitato.
Ormai lei è diventata un automa ed esegue tutti i miei ordini.
Con una mano stringe forte il cazzo e inizia a leccarlo con vigoria e passione, come se non facesse un pompino da tempo immemore. Continua a tenere gli occhi chiusi.
Riposiziono la mia mano dietro la sua testa e gliela spingo con forza per assecondare le pompate.
Ogni tanto la costringo a prendermelo tutto in gola, fino a farle perdere il respiro.
Un fiume di saliva esce dalla sua bocca e le cola sulla gonna.
Le scopo forte la bocca, senza ritegno, con egosimo, con cattiveria, solo per il mio mero soddisfacimento personale.
“Sei una troia, lo sai?!”, le chiedo con l’intento di insultarla.
“Sì, sono una troia!”, risponde nel breve momento in cui le consento di respirare.
Riprendo a riempirle la bocca. La sua mano, ormai, ha perso la presa sul mio cazzo e la sua lingua e le sue labbra me lo avvolgono solo dietro le mie spinte alternate del bacino e della mia mano dietro la sua nuca.
Mi sento un animale e sto godendo di ciò.
Ora entrambe le mie mani sono dietro la sua testa e la tengono ferma. Il mio cazzo entra ed esce solo a seguito delle mie spinte, come se la sua bocca fosse un involucro da riempire.
Il cazzo è inondato di saliva, mi sembra quasi di non percepire più la lingua e le labbra sulla pelle.
Sento che sto per venire. Potrei anche decidere di fermare il pompino e di scoparmi la collega ma, no, non se lo merita, deve essere punita per la sua arroganza e supponenza.
Quindi mi preparo a godere, deve essere un finale memorabile.
Le vene del cazzo pulsano, inizio a percepire le prime contrazioni nel basso ventre.
È il momento.
Senza dire nulla tiro fuori il cazzo dalla sua bocca e lo stringo forte con una mano. Lo direziono verso il suo viso ed esplodo in copiosi schizzi di sperma che le ricoprono oscenamente gli occhi, il naso e persino i capelli.
Riesco a stento a trattenere i miei grugniti, ma godo nel vederla in quella posizione, in ginocchio, il viso pieno del mio sperma, che cola anche giù sulla gonna, unendosi alla saliva.
Lei mi guarda inebetita, in attesa.
“Puliscilo bene, forza!”, ordino.
Lei esegue. Con delicatezza lecca il cazzo, ripulendolo delle gocce di sperma.
Sono soddisfatto.
Con una mano rimetto il cazzo dentro i pantaloni, mi giro verso lo specchio alle mie spalle per ricompormi, mi lavo le mani.
Lei è ancora in ginocchio dietro di me, quasi priva di sensi, piena di sperma e saliva.
Le giro intorno, apro la porta e, senza nemmeno guardarla, le dico beffardamente: “Arrivederci collega, chiamami quando verrà pubblicata la sentenza”.
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