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Biancaneve ai Sette Nani - 2


di adad
28.10.2020    |    5.961    |    2 8.9
"Giuntogli davanti, infatti, Fottolo si chinò, prese fra le mani il volto di Martino e lo baciò a lungo sulle labbra dischiuse, intanto che Minchiolo..."
2 – Ai Sette Nani

Martino vagò a lungo nella foresta, seguendo ogni sentiero che gli si apriva davanti, ma finendo in un groviglio di rovi ogni volta più intricato. La veste femminile, che già lo ingombrava di per sé, era ridotta a brandelli per gli strappi provocati dai cespugli spinosi.
Stava ormai calando la notte, quando finalmente Martino imboccò un sentiero che lo portò ad una radura attraversata da una carrozzabile e poco lontano la sagoma di una costruzione, dalle cui finestre filtrava una fioca luce. Con un profondo respiro di sollievo, Martino si avviò in quella direzione, finché, giunto nelle vicinanze, lesse un’insegna colorata sulla porta:
LOCANDA AI SETTE NANI.
Incurante del nome strano e sopratutto del fatto di non avere in tasca una sola moneta, ma sollecitato dallo stimolo impellente della fame, Martino spinse la porta ed entrò. I tavoli erano ancora vuoti, tranne una figura solitaria che sonnecchiava in un angolo dietro un boccale di vino; ma a colpire il suo sguardo e la sua attenzione fu un giovanottone alto e robusto che stava attizzando nel grosso camino delle braci di poco più rosse del suo fulvo pelame.
Il tipo si voltò allo scricchiolio della porta che si apriva.
“E tu chi saresti?”, chiese, continuando a stizzolare le braci.
Ricordandosi in tempo delle sue vesti femminili:
“Mi chiamo Biancaneve…”, fece Martino, ricordandosi il nome di una principessa di cui gli raccontava sempre la sua balia, quand’era bambino.
Si fece avanti, avvicinandosi al grato calore del camino.
“E che ci fa madamigella Biancaneve in giro tutto da sola da queste parti? Non sai che è pericoloso andare per il bosco? Ci sono i lupi… e non solo quelli!”
“Mi… mi sono pers...a.”, balbettò Biancaneve non ancora a suo agio col nuovo genere che aveva assunto.
“Da dove vieni?”, chiese il giovane.
“Ho vagato tutto il giorno per il bosco… - evitò di rispondere Biancaneve – Sono così stanc...a e ho tanta fame…”
“Già. E scommetto che non hai nemmeno un monetina di rame per pagarti una sedia e una scodella.”, fece il giovane con una punta di ironia.
Biancaneve abbassò la testa, sentendosi diventare tutta rossa in volto.
“Vieni a scaldarti, - le disse, allora quello – e non preoccuparti, troveremo il modo di farti pagare vitto e alloggio. Io mi chiamo Fottolo e sono uno dei proprietari della locanda.”
“Uno dei proprietari?”, chiese timidamente Biancaneve.
“Sì, madamigella, siamo in sette; gli altri sono Chiavolo, Bigolo, Leccolo,Segolo, Brufolo e… ecco il settimo, Minchiolo. - disse, accennando al moretto che stava entrando giusto in quel momento. - Ci chiamano i sette nani, e lo sai perché?”
Biancaneve lo fissò senza rispondere.
“Perché siamo tutti grandi e grossi, ecco perché.”, concluse Fottolo con una risata di gusto, come se avesse detto chissà che facezia.
“Chi è la ragazza?”, chiese Minchiolo, avvicinandosi.
“Ti presento madamigella Biancaneve, appena arrivata.”
“Per essere una madamigella, è ridotta un po’ maluccio.”, esclamò il moretto, osservandola.
“Non essere impertinente, Minchiolo. Biancaneve si è persa e ha vagato tutto il giorno nella foresta, è stanca e affamata.”
“E ai Sette Nani non si nega mai una panca e un piatto di minestra a chi è stanco e affamato.”, affermò Minchiolo con un luminoso sorriso.
Mentre Biancaneve dava l’assalto al secondo piatto di minestra, ad uno ad uno giunsero gli altri cinque “nani”, tutti giovanottoni belli e aitanti, che lavoravano nella tenuta, chi alle stalle, chi nei campi, chi nell’officina. Appena la videro, le si affollarono attorno , sommergendola di domande.
“Piano, piano, non la soffocate. - intervenne allora Fottolo, che doveva essere una sorta di direttore
della compagnia – Madamigella si fermerà con noi per qualche giorno a ripagarsi il vitto e l’alloggio, giusto, signorina?”
Biancaneve accennò di sì con la testa, non avendo la minima idea di cosa avrebbe dovuto occuparsi.
“Si sente la mancanza di una mano femminile…”, ghignò Bigolo, il più piccolo della compagnia.
Più tardi, quando la locanda cominciò a svuotarsi, Fottolo dirottò Biancaneve nel retrocucina e lavare piatti e boccali, compito che dopo un primo momento di panico, cominciò a svolgere con scrupolo e diligenza. Era giusto lì che rimestava alcune scodelle nell’acquaio colmo di acqua saponosa, quando qualcuno scivolò dentro e le venne alle spalle.
“Sei carina, sai?”, sentì bisbigliare da una voce che riconobbe per quella di Minchiolo.
Biancaneve capì subito cosa volesse e si sentì torcere lo stomaco al pensiero che il suo travestimento rischiava di essere smascherato. Così fece spallucce e continuò il suo lavoro. Ma Minchiolo non demorse, era tutta la sera che ci fantasticava sopra e si sentiva le palle brontolare dalla voglia di scaricarsi. Così le si fece più accosto e le sfiorò la nuca con un dito.
Biancaneve non poté reprimere un brivido di piacere, ma fece spallucce, sperando di scoraggiarlo; quello però, ormai partito per la tangente, le andò dietro e la cinse fra le braccia, premendole forte il bacino sul fondoschiena.
“Mi piaci da morire… - le mormorò all’orecchio – dai che ci divertiamo…”
“Lasciami”, disse flebilmente Biancaneve, che tutto voleva, tranne che attirare l’attenzione degli altri di fuori.
“Lasciarti? - bisbigliò Minchiolo, mordendole il lobo dell’orecchio – E come potrei, piccola, è tutta la sera che ti penso… Non sai che è diritto del padrone insidiare le servette? Ah... mi fai perdere la testa…”, e nella foga della sua fregola, la stringeva a sé le carezzava il petto, le…
“Ma… dove sono finite le tette!”, esclamò ad un tratto, realizzando che al posto di due morbidi seni, stava impastando con le mani la solidità di due pettorali.
Continuò a tastare attorno, poi come folgorato da un’improvvisa illuminazione corse con la destra a palparle il basso ventre, trovandoci quello che era inevitabile che ci fosse. Allora si trasse indietro precipitosamente:
“Ma chi cazzo sei?”, fece.
Biancaneve si girò a guardarlo: avrebbe voluto spiegargli, ma temette di essere riconosciuto e denunciato, così abbassò la testa, senza dire niente.
“Sei un travestito?”, esclamò Minchiolo, equivocandone il silenzio e arrivando a conclusioni tutte sue.
Ancora una volta, Biancaneve non disse niente; il che non fece altro che avvalorare l’opinione di Minchiolo, che d’un tratto avvampò in volto e:
“Cazzo, sì! Sei un travestito! - fece con gli occhi accesi di lussuria – Dai, fammi vedere, dai, non mi sono mai fatto un travestito!”
E incapace di resistere oltre, in preda ad una frenesia che quasi incontrollabile, il giovane cominciò a strappargli di dosso i vestiti, fino a spogliarlo del tutto. Una volta nudo, Martino cercò di coprirsi l’inguine con le mani come poteva, ma l’altro lo rigirò e prese a lisciargli golosamente le natiche lisce.
“Cazzo, che bello… - mormorava – che bello…”, e incapace di resistere oltre, si cavò frettolosamente l’uccello dalle braghe e glielo fece scivolare nel solco e fra le cosce, mugolando ai brividi di piacere, che quel caldo contatto gli procurava.
Pur senza volerlo, Martino non poté fare a meno di riscaldarsi anche lui: stavolta non era il fratellastro che gli faceva violenza, stavolta era un amante appassionato, che lo desiderava… che smaniava per lui… Rispondendo sospiro a sospiro e muovendosi impercettibilmente, Martino fece in modo che Minchiolo gli poggiasse sull’orifizio con il becco dell’uccello; quindi diede un leggero rinculo e si fece scivolare dentro il glande sbavato.
“Oh!…”, squittì Minchiolo che si trovava a scopare un culo per la prima volta ed era sorpreso, quanto estasiato, dalla strettezza del pertugio.
“Oh!…”, sospirò Martino, che per la prima volta scopriva quanto fosse piacevole quello che finora era stato per lui solo umiliazione e violenza.
Ed entrambi, avvinghiati, si abbandonarono ad una travolgente penetrazione.
“Cazzo, che bello!…”, sospirarono insieme, all’unisono.
“Ma che sta succedendo qui dentro?”, risuonò alle loro spalle.
Entrambi si voltarono e si trovarono davanti Fottolo, che li osservava dalla soglia, gli occhi sbarrati, con indosso solo un camicione da notte, lungo fino ai ginocchi.
“Cazzo, Fottolo! - esclamò Minchiolo al colmo della sua esaltazione erotica – Non è una ragazza: Biancaneve è un travestito! Guarda.”, e si girò, sempre stringendolo forte e con il cazzo profondamente infisso nel suo culo.
Allibito, Fottolo osservò a bocca aperta l’inequivocabile appartenenza sessuale di Martino, rappresentata da un uccello semiduro e due coglioni di tutto rispetto.
“Non ci posso credere…”, mormorò allora incredulo.
“Che ne dici? Che ne dici, eh?”, mormorò Minchiolo all’orecchio di Martino, accennando con la testa in direzione del fratello.
Martino fece cenno di sì, leccandosi le labbra alla vista del punzone che si andava sollevando sotto il camicione dell’altro.
“Vieni, dai, - disse allora Minchiolo al fratello – unisciti a noi… vedrai che strafantastico fottere nel culo!”
E dopo un momento di esitazione, quello si fece avanti con passo esitante, quasi impacciato dalla formidabile erezione che gli sollevava il camicione come il palo di una tenda. L’erotismo impregnava con i suoi effluvi il minuscolo retrocucina, come i fumi di una droga inebriante, e sconvolse le loro menti, portandoli ad agire come se non fossero più se stessi. Giuntogli davanti, infatti, Fottolo si chinò, prese fra le mani il volto di Martino e lo baciò a lungo sulle labbra dischiuse, intanto che Minchiolo prendeva a scoparlo con foga; poi si sfilò il camicione e Martino non perse tempo ad afferrare al volo il suo poderoso randello: lo scappellò, estraendo interamente il glande dal fodero del prepuzio, e dopo un paio di leccate, lo accolse in bocca con un sospiro gaudioso. Era la prima volta che lo faceva, ma non ebbe esitazione, né ripugnanza: il sapore e l’odore del cazzo gli piacquero fin dal primo momento, come dimostrarono i suoi vigorosi, immediati risucchi. Sembrava che Martino non avesse fatto altro nella sua vita e altro non avesse
aspettato che il momento di imboccarsi quel manico vigoroso.
Dopo qualche istante di rodaggio, i tre presero a muoversi come i perfetti ingranaggi di una macchina con Minchiolo che stantuffava gagliardamente nel culo di Martino, il quale roteava il bacino per accoglierne meglio il cazzo e frullava la lingua attorno al glande di Fottolo, che a sua volta gli teneva ferma la testa con entrambe le mani e gli scopava la bocca con movimenti lenti e misurati per non ingozzarlo.
“Ah, che goduria fottergli il culo…”, ansimava Minchiolo con gli occhi accesi di libidine, dandoci dentro.
“Dovresti sentire la bocca… e chi se la sognava una pompa così…”, gli faceva eco Fottolo, con acceso languore.
I due fratelli si eccitavano l’un l’altro, ad ogni loro commento infiammando ulteriormente Martino, che si dibatteva fra i due come un pollo allo spiedo. Se pure meditavano di farlo, Fottolo e Minchiolo non riuscirono a scambiarsi di posto, perché il primo non resistette a lungo alle fameliche slurpate di Martino e, sussultando, gli riempì la bocca di sperma denso e asprigno, che quello deglutì senza esitazione, continuando a succhiare e leccare, finché non ebbe fra le labbra un cazzo del tutto moscio e svuotato. Vedere il fratello abbandonarsi al piacere con volto stralunato, fu il colpo di grazia che spinse oltre il limite anche Minchiolo, per quanto riluttante ad abbandonare così presto un piacere tanto intenso. Il che portò al piacere pure Martino, la cui prostata non resistette alle pulsazioni martellanti del cazzo in eiaculazione e gli scatenò un orgasmo anale di tale portata che il giovane si ritrovò a pisciolare sborra tutt’attorno, senza neanche toccarsi.
Una volta scaricata la tensione erotica, i tre si divisero e si ricomposero, continuando a sogguardarsi con occhiate tinte di vergogna, ma anche di ironia. Finché, fu Minchiolo a rompere il silenzio:
“Va bene, - disse – lo abbiamo fatto e mi è piaciuto.”
“E’ un travestito…”, mugugnò Fottolo, sentendosi prendere da un senso di riprovazione.
“E allora? Lo hai baciato, mi sembra, e te lo sei fatto succhiare…”
“Non so cosa mi è preso…”, cercò di giustificarsi Fottolo.
“Ragazzi, - fece allora Martino, che nel frattempo si era rivestito col suo abito sbrindellato – calmatevi, qual è il problema? Vi andava di farlo e lo avete fatto; e io ve l’ho lasciato fare, perché mi andava: che non fossi una donna, non ha significato niente: vi è piaciuto e avete goduto come due somari… Volete dare la colpa a me? Datemela pure, se vi fa sentire meglio… e se volete posso andarmene anche adesso…”
“Andartene? Ma sei impazzito? - fece Minchiolo ridendo – E dove lo trovo un altro culetto come il
tuo? Adesso che l’ho assaggiato, e chi può farne più a meno?”
“Dovremo procurarti un vestito nuovo…”, mugugnò allora Fottolo, abbracciandolo e dandogli un veloce bacio a stampo.
E così, vestita con una magnifica gonnella colorata e una camicia ricamata, Biancaneve rimase con i sette fratelli, aiutandoli di giorno nella locanda e di notte nei loro letti, a volte singolarmente, a volte in due o anche più, visto che uno alla volta anche gli altri si erano uniti alla compagnia, non essendo certo passati inosservati i loro sollazzi.
***
Ma, come si dice, se fa le pentole, il diavolo non fa i coperchi… non sappiamo per quale motivo ciò accada: sarebbe, però, ora che rimediasse, questo è certo,visti i danni che tale mancanza ci procura.
Accortosi di essere stato raggirato, il principe Valfrido aveva sguinzagliato in giro le sue spie, per cercare le tracce sia di Martino, che del traditore Carlotto.
Un giorno capitò Ai Sette Nani una compagnia di saltimbanchi, che si fermarono lì a pranzo, prima di proseguire il loro viaggio. Era una bellissima giornata calda e assolata, per cui la tavola era stata apparecchiata sotto una magnifica pergola di glicine fiorito. Mentre quelli si godevano il fresco, chiacchierando e scherzando, intanto che davano fondo alle bottiglie, Biancaneve venne colta da un’urgenza impellente. Allora si allontanò dalla compagnia che stava servendo e, arrivata in prossimità di un cespuglio, invece di accosciarsi, come avrebbe dovuto, si alzò la gonna e procedette alla bisogna.
Caso volle che uno dei saltimbanchi la scorgesse con la coda dell’occhio e trovasse strano che una donzella faceva la pipì in piedi come un maschietto. Allora sgattaiolò via zitto zitto, si avvicinò, facendo un lungo giro per non farsi accorgere, e scoprì senza ombra di dubbio di che natura fosse la sorgente da cui scaturiva il getto.
Non ancora contento, il caso volle che quel saltimbanco fosse una delle spie al servizio del principe Valfrido; alla quale spia saltò subito la mosca al naso e si disse: “Accidenti, qui gatta ci cova!”.
Così senza perdere tempo si mise la strada sotto i piedi e corse a riferire al suo padrone.

(continua)
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