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Candidato all'obitorio


di adad
14.02.2021    |    8.962    |    14 9.1
"Solo in quel momento, Jimmy si accorse di avergli infilato tutto il dito nell’ano, complice il velo di sudore che glielo aveva reso scivoloso..."
Jimmy scese dal tram 27, che da via Marcucci, dove abitava al numero 69, lo portava in via Zaniboni, sede dell’Istituto di Medicina Legale.
Tempo prima aveva superato la prima selezione del concorso per un posto di Assistente Anatomista, in pratica assistente alle autopsie, un posto non entusiasmante, certo, ma un lavoro è sempre un lavoro, come diceva sua madre, e meglio tagliare cadaveri che svuotare pozzi neri, come diceva più cinicamente suo nonno.
Alla prima selezione si erano presentati in tremilanovecento, tanto che avevano dovuto fare la prova nel Palazzetto dello Sport: ne erano rimasti in lizza cento cinquanta e stamattina era il suo turno per il colloquio.
Varcò con un po’ di tremore la soglia dell’Istituto di Medicina Legale e si diresse al banco della ricezione, dove lo accolse un moretta sorridente. Diede le sue generalità, presentò il cedolino con la convocazione e chiese dove dovesse andare. Era la prima volta che metteva piede in quell’edificio.
“E’ fortunato. – fece la moretta – C’è il dottor Alessandrini oggi a fare i colloqui, andrà bene, ne sono sicura. Prenda quelle scale laggiù e scenda al primo piano seminterrato. La porta grande in fondo al corridoio, non può sbagliare: c’è scritto Sala Autoptica. Tenga. – gli restituì il cedolino, dopo averlo registrato sul computer – Attenda lì, chiameranno loro e in bocca al lupo.”
Jimmy attraversò l’enorme ingresso, scese le scale, col cuore che gli si faceva più pesante gradino dopo gradino. Era il suo primo vero colloquio e cominciava a non capire più niente. È vero che risultare cinquantesimo fra tremilanovecento era un risultato niente male, ma un conto è affrontare un test e un altro trovarsi faccia a faccia con un esaminatore che ti pone domande, ti scruta mentre rispondi… al quale devi dimostrare che vali più dei quarantanove che ti precedono e che, se ti precedono, avranno pure i loro buoni motivi.
In certe situazioni non serve a niente avere venticinque anni e essere di bell’aspetto, come Jimmy indubbiamente era. Giunto in fondo alle scale, ebbe una voglia matta di andarsene, ma si fece forza e si avvicinò alla grande porta della Sala Autopsie. Era chiusa, su un battente un foglio A4 scritto a mano e appiccicato con lo scotch: ATTENDERE.
Jimmy si sedette ad una scomodissima sedia di plastica e attese. Dall’interno giungeva un parlottio confuso: doveva essere il candidato che lo precedeva nella graduatoria. E infatti, dopo circa dieci minuti, la porta si spalancò e ne uscì un giovanotto dall’aria imbufalita.
“Stronzo!”, mugugnò allontanandosi.
Si sentì ancora più a disagio, mentre lo seguiva con lo sguardo.
“Fanelli?”
Jimmy quasi sobbalzò, voltandosi di scatto nel sentire il suo cognome.
“Sì…”, fece, sentendosi diventare tutto rosso davanti al giovane che lo guardava dalla soglia della sala autoptica, sorridendogli con simpatia.
“Si accomodi. - disse quello, facendosi di lato, per lasciarlo passare – Prego.”, e lo precedette, sedendosi dietro una scrivania in un angolo della sala.
Jimmy si guardò nervosamente attorno: c’erano alcuni tavoli anatomici, uno dei quali con una sagoma distesa sopra, coperta da un lenzuolo bianco. Un forte odore di disinfettante pesava nell’aria.
“Si accomodi.”, fece l’altro, indicandogli una poltroncina dall’altro lato della scrivania.
Era sui trent’anni, lineamenti regolari, decisamente gradevoli. I capelli color senape boccoluti e un pizzetto da intellettuale gli davano un’aria rassicurante, anche se Jimmy era ben lontano in quel momento da sentirne gli effetti. L’altro lo fissò a lungo, il che lo rese ancora più nervoso.
“Sono il dottor Alessandrini.”, fece poi con una voce morbida che gli fluiva dalle belle labbra carnose, almeno questa fu l’impressione che ne ebbe Jimmy.
Jimmy accennò di sì.
“Lei è il signor Jimmy Fanelli, giusto?”, continuò il dottore, dopo aver sfogliato un fascicolo che aveva sul tavolo.
“Sì”, fece Jimmy con un filo di voce.
“Bene… nato ecc. – continuò a leggere l’altro – ha venticinque anni, giusto?”
“Sì”, rispose Jimmy, mentre il dottore sollevava lo sguardo a fissarlo con attenzione.
“Mi sembra un po’ nervoso.”
“Beh…”
“Ma no, stia tranquillo, nessuno le farà del male. Nessuno ha intenzione di sezionarla.”
“Cosa?”, sgranò gli occhi Jimmy.
“Scherzavo. – disse Alessandrini, con un sorriso che gli illuminò il volto – Siamo qui solo per un colloquio fra amici, giusto?”
Jimmy abbassò la testa sotto lo sguardo del dottore: quegli occhi neri sembravano penetrargli fin dentro il cervello.
Il dottore prese in mano la situazione e piano piano riuscì a scrollargli il disagio di dosso. Dopo un po’Jimmy rispondeva alle sue domande con scioltezza e decisione.
“Bene, - fece ad un certo punto il dottor Alessandrini – vedo che ha una buona competenza in materia.”
“Merito di CSI…”, scherzò Jimmy.
L’altro scoppiò a ridere.
“E’ una buona scuola, - disse – peccato che nella realtà le cose non siano sempre così semplici.”
Si alzò, avvicinandosi al tavolo su cui era distesa la sagoma coperta dal lenzuolo bianco.
“Vediamo un po’ come se la cava.”, disse, scostando il lenzuolo e scoprendo un corpo… il cadavere di un uomo.
“Prego.”, fece ancora, accennandogli di avvicinarsi.
“Co… cosa?...”, balbettò Jimmy.
“Si avvicini, - lo esortò il dottore – non la morde mica!”
“Cosa devo fare?”, disse Jimmy, più bianco del lenzuolo.
“Il primo compito di un assistente è di preparare il corpo per l’autopsia. Quindi, prima di tutto bisogna spogliarlo. Su… e cerchi di essere delicato: i vestiti potrebbero contenere delle prove, nel caso in cui si tratti di delitto.”
Jimmy allungò le mani, ma toccare un cadavere lo ripugnava.
“Non abbia paura, - gli disse gentilmente il dottore – usiamo un manichino per queste esercitazioni.”
A guardarlo bene, era infatti un manichino, ma così terribilmente realistico, che pur alquanto rassicurato, fu con una certa esitazione che Jimmy iniziò a denudarlo.
“No, no, no… - intervenne il dottor Alessandrini – mentre Jimmy si apprestava a rivoltare il corpo per togliergli la giacca – Il corpo va trattato con delicatezza, per una forma di rispetto e soprattutto per non alterare eventuali prove forensi.”
Jimmy lo fissò disperato.
“Guardi, - fece allora il dottore – facciamo una cosa, - e si diresse verso uno dei lettini vuoti – si stenda qui, le faccio vedere come si fa.”
Jimmy se ne stava lì tutto imbambolato, spostando lo sguardo alternativamente dal lettino al dottore.
“Su, si stenda, da bravo, - lo incitò l’altro – faccia il cadavere.”
Allora, Jimmy si sedette sulla sponda del lettino e goffamente si distese, senza capire neanche lui cosa stesse succedendo.
“Bene, - proseguì il dottore – adesso chiuda gli occhi. Lei è morto, giusto? Non vede, non sente, non parla.”
Jimmy cercò di accennare di sì con la testa e chiuse gli occhi, sentendosi terribilmente stupido in quella situazione. Ma non fece in tempo a fare mente locale, che sentì le mani del dottore carezzargli delicatamente i capelli.
“Povero ragazzo, - mormorò – così giovane… e così bello…”
Jimmy si sentì stringere lo stomaco: cosa diavolo stava succedendo? Un sudore freddo gli imperlò la fronte: nelle mani di quale psicopatico era caduto? Tuttavia, tenne gli occhi chiusi, ma senza poter celare un certo tremore.
“Sei venuto a trovarti su questo tavolo nel momento più brutto della tua breve vita… non possiamo ridarti quello che hai perduto, ma faremo di tutto per renderti almeno giustizia.”
Mentre diceva queste parole con voce dolce, le mani del dottore cominciarono a muoversi sapienti e delicate sul corpo di Jimmy, slacciandogli i vestiti, togliendogli le scarpe… e ogni gesto era più leggero di una carezza. In breve, Jimmy rimase in mutande; poi, e lui non riuscì mai a capire come, anche quelle gli furono sfilate e rimase compòletamente nudo sul lettino di dissezione.
“Tutto bene, signor Fanelli?”, chiese il dottore.
“Sì…”, rispose lui senza aprire gli occhi, non tanto per continuare la sua finzione, quanto per l’imbarazzo di trovarsi nudo, disteso sul lettino in un sala di autopsie.
Cosa diavolo ci faceva lì, si chiedeva nella sua mente vorticante, e che intenzione aveva il dottore? Il fatto però di essere libero, di poter schizzare via in qualsiasi momento la situazione si facesse pesante, gli dava un sia pur minimo senso di rassicurazione.
“La prima cosa, come ha visto, - riprese l’altro – è togliere i vestiti al cadavere. Poi, si passa all’esame esterno, per controllare come si presenta il corpo, se ci sono ferite, ematomi…”, e mentre spiegava, le sue mani si muovevano sul corpo di Jimmy, ne sfioravano i punti salienti: sul volto, sul collo, sul petto… sollevando le braccia per controllare sotto le ascelle… e poi l’addome… i fianchi…
Jimmy non poteva negare il brivido di piacere che quelle mani sapienti, quelle dita delicate gli procuravano, ogni volta che gli sfioravano la pelle… Sembravano le carezze di un amante appassionato, più che le mani indagatrici di un patologo.
Non si accorse che il cazzo gli era diventato duro, se non quando il dottore, glielo prese in mano, dopo avergli esaminato con leggerezza le palle.
“In teoria, questo non dovrebbe succedere … - disse scherzosamente, tirando giù il prepuzio e scoprendo del tutto il glande già sbavato – In effetti, non succede mai con i cadaveri morti… Ma già che si siamo…”, e si chinò, prendendoglielo in bocca.
La sorpresa e il piacere istantaneo fecero sobbalzare il povero Jimmy, che per un po’ rimase fermo e immobile, più che altro non sapendo come reagire: decisamente, la situazione aveva preso una piega che non avrebbe mai supposto, né immaginato: non che gli dispiacesse o lo scandalizzasse, diciamo che si sentiva spiazzato. Era andato lì per sostenere un colloquio di lavoro e si ritrovava nudo con l’uccello in bocca all’esaminatore: neanche Boccaccio avrebbe saputo escogitare una situazione così paradossale.
Però, ci sapeva fare il dottore: la sua lingua massaggiava con destrezza il glande snudato, raccogliendo il sugo che sgorgava copioso, mentre la bocca viaggiava su e giù, ingoiando una buona parte della mazza, prima di sfilarsela fuori.
Il piacere si fece più coinvolgente: alla goduria derivante dal pompino, cominciò a intrecciarsi quella più sottile, esibizionistica, di essere esposto nudo e inerme, in un luogo pubblico, mentre un esponente a tutti gli effetti dell’autorità si affannava a succhiargli l’uccello.
Jimmy iniziò a fremere, a contrarre e tendere i muscoli alle fitte sempre più frequenti di piacere, che lo attraversavano, come scariche elettriche; poi, inconsapevolmente, allungò il braccio e cercò il fondoschiena del dottore. Fu una carezza quasi impalpabile, ma quello la sentì e non vi si sottrasse, anzi sembrò spostarsi più alla portata di quella mano indiscreta, mentre accresceva la foga con cui si stava lavorando il bel cazzo di Jimmy. Reso più audace dalla tacita acquiescenza, dopo aver preso a palpare con decisione il sedere del dottor Alessandrini, Jimmy gli scivolò con la mano sotto il camice e riprese i suoi palpeggi sulle sode rotondità dell’esaminatore, che ne sembrava tutt’altro che disturbato.
Quello che seguì fu un crescendo a dir poco rossiniano: entrambi erano ormai fuori di testa; il dottor Alessandrini succhiava, leccava, sniffava il magnifico randello di Jimmy, grufolandogli con il muso fra le cosce, masticandogli lo scroto, sbavandoglielo di saliva, slinguandogli la mazza in tutta la sua lunghezza, ingoiandola fin quasi alla radice; Jimmy, dal canto suo, tremando ormai incontrollabilmente sull’angusto lettino, palpava le chiappe del dottore, gli strattonava giù i pantaloni, gli infilava la mano sotto le mutande, impastando le carni sode, graffiando la pelle levigata, scivolando con le dita nello spacco del culo, fino a cercare impudicamente il buco.
Infine, con un grugnito animalesco, Jimmy si contrasse tutto e sborrò il suo carico libidinoso nella bocca non meno libidinosa del dottore, che lo ingoiò con evidente soddisfazione, succhiando e leccando il cazzo stretto nel suo pugno, finché non si ridusse ad un bigolino molliccio.
“Puoi togliermi il dito, adesso.”, mormorò il dottore dopo un po’, sorridendo e staccando la mano bagnata dal sesso ormai esausto.
Solo in quel momento, Jimmy si accorse di avergli infilato tutto il dito nell’ano, complice il velo di sudore che glielo aveva reso scivoloso.
“Mi scusi…”, mormorò, avvampando e affrettandosi a tirar via la mano.
“Sei straordinario!”, disse invece il dottore, fissandolo con gli occhi brillanti, mentre si ricomponeva, tirandosi su i pantaloni.
Jimmy non rispose, ma si affrettò a scendere dal lettino, immaginando che l’esercitazione fosse finita; quindi, raccolse le mutande e cominciò a rivestirsi.
Il dottore tornò alla scrivania e si sedette. Poco dopo, Jimmy lo raggiunse, sedendosi a sua volta. Si sentiva imbarazzato e se prima ci credeva poco di poter ottenere quel posto, adesso ci credeva ancora meno. Il dottore lo fissò, aveva un’espressione seria.
“Senta, - fece, cercando di assumere un tono formale – forse devo scusarmi con lei per quello che è successo.”
“No… - balbettò Jimmy, sconcertato da quel cambio di atteggiamento – non credo…”
“Potrei dirle che mi dispiace, - continuò l’altro - che non so cosa mi sia preso, ma mentirei: lei era… è troppo bello per poterle resistere… Ma le giuro che non era preordinato. Non sono un maniaco depravato, mi creda, e non ho l’abitudine di mettere le mani addosso a nessuno. Ma con lei… il suo corpo è un’esplosione di sensualità… è stato più forte di me.”
Jimmy avvampò, mai nessuno gli aveva detto quelle cose.
“E’ stato divertente.”, disse con un sorriso che sapeva d’amaro, già immaginando come sarebbe finita.
E infatti:
“Lei capirà, - riprese il dottore – che dopo quanto è successo, non posso prenderla in considerazione per il posto di assistente. Rischierei come minimo di mettermi nei guai con la giustizia… e credo che né io, né lei lo vogliamo.”
Jimmy abbassò la testa: se lo aspettava, ma il colpo era duro lo stesso. Intuendo quello che gli passava per la testa, Alessandrini si alzò e andò a sedergli di fronte, sull’orlo della scrivania.
“Non fraintendermi, Jimmy, - fece, tornando al tu – io vorrei che tu fossi… molto di più di un assistente… Quando ti ho visto disteso su quel lettino, io… - si chinò a prendergli la mano, stringendola fra le sue – Che ne dici se andiamo a pranzo e ne parliamo?”
“Ma… e gli altri colloqui?”, balbettò stupidamente Jimmy, frastornato e nello stesso tempo contento per l’invito inatteso.
“Stamattina, eri l’ultimo, per fortuna.”
“Ah... ok… va bene, dottore. Telefono ai miei che resto fuori e la raggiungo.”, fece Jimmy, voltandosi per avviarsi all’uscita.
Ma l’altro lo prese per un braccio e lo trattenne.
“Ezio… ti prego, chiamami Ezio.”, e lo attirò fra le braccia sfiorandogli le labbra in un rapido bacio.

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