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Il Battaglione Sacro - 1


di adad
10.03.2022    |    7.886    |    9 9.9
"Incurante della situazione tuttora drammatica, il suo grosso cazzo si erse in pieno turgore, il prepuzio si aprì come un bocciolo, ritraendosi e lasciando..."
[Nota dell’Autore: agli inizi del IV sec. a.C. nell’esercito Tebano venne costituito un reparto speciale, detto “battaglione sacro”, costituito unicamente da guerrieri amanti. La motivazione era che ognuno avrebbe combattuto fino alla morte pur di difendere il proprio compagno. A questa iniziativa si ispira il presente racconto.]

Appena il cavallo lanciato al galoppo fu alla sua altezza, Cleonte lo afferrò per la criniera, prese il balzo e atterrò sulla groppa con un grido sotto di pura gioia… che si mutò all’istante in un urlo di dolore straziante, non appena si ritrovò con le palle schiacciate sotto di lui.
Non ci provò neanche a rimanere in sella, ma si lasciò scivolare a terra, rotolando lontano, mentre il cavallo sfrecciava via nella sua corsa. I compagni, che gareggiavano con lui, sul momento scoppiarono a ridere e proseguirono la competizione; ma un attimo dopo, voltandosi a dare un’occhiata, Xantos lo vide raggomitolato a terra: allora, lanciato un avvertimento ai compagni, voltò il cavallo e tornò indietro a prestare soccorso.
Smontato d’un balzo, mentre il cavallo era ancora lanciato al galoppo, Xantos si avvide subito che le condizioni di Cleonte erano serie: l’amico, infatti, se ne stava raggomitolato sul fianco e sguaiolava con le mani entrambe strette all’inguine. Era nudo, come i compagni, che a differenza sua indossavano però le necessarie protezioni inguinali.
“Stupido ragazzo! – lo rimproverò Xantos, inginocchiandogli al fianco – Te lo avevo detto di mettere il reggipalle, ma tu niente, testardo peggio di un mulo! Fammi vedere.”
Xantos e Cleonte erano coetanei, diciottenni, avevano iniziato da poco l’addestramento militare e quel giorno era in programma una corsa a cavallo. Come consuetudine, i giovani si allenavano nudi, salvo una protezione inguinale, che però Cleonte non indossava, sentendosi più libero e sciolto a gareggiare con le palle al vento. In realtà, lo faceva per suscitare l’attenzione dei guerrieri adulti, e in particolare di Euristos, che vedeva seguirlo con occhio interessato durante le esercitazioni.
Del resto, Cleonte attirava facilmente lo sguardo: bello di volto, com’era, con i capelli biondi inanellati, il fisico armonioso e un apparato fra le gambe forse più grande della sua età. Tutto in lui trasudava energia, grazia e armonia: le doti che, appunto, si richiedevano ad un giovane che stava per entrare nel pieno della vita.
“Fammi vedere.”, ripeté Xantos, riuscendo a far girare Cleonte e staccandogli con forza le mani dall’inguine.
Lo scroto era gonfio e violaceo, sotto le leggera peluria, e Cleonte ululò di dolore, quando l’altro glielo tastò con delicatezza, per verificare i danni.
“Portiamolo dentro.”, disse ai compagni, che erano smontati e si avvicinavano a vedere e a prestare soccorso.
L’istruttore, intanto, arrivava di corsa.
“Stupido ragazzo!”, sibilò, sollevandolo di peso fra le braccia e portandolo verso il suo capanno annesso alle stalle.
Lo depose sul lettuccio, poi:
“Cosa fate ancora qui? – sbraitò alla volta dei ragazzi che lo avevano seguito – Tornate ai vostri esercizi. Via, via!”, e li spinse fuori, quasi fossero un branco di polletti chiassosi.
“Tu resta qui, - continuò rivolto a Xantos – vedi se ha bisogno di qualcosa. Vado a cercare il medico.”
“Non serve, - disse una voce profonda da fuori la porta – ci penso io. Tu torna pure dai ragazzi.”
Xantos si voltò, giusto in tempo per vedere un uomo sui trent’anni, completamente nudo, che, varcato l’ingresso, si avvicinava al lettuccio. Il grosso sesso carnoso gli oscillava pesante ad ogni passo: Euristos, il maestro a cui Cleonte agognava. Xantos fremette, quando ne percepì il sentore caldo e dolciastro. Si fece da parte per lasciare spazio all’uomo, che si sedette sulla sponda del lettuccio, chinandosi su Cleonte, che continuava a lamentarsi sommessamente ad occhi chiusi, come estraniato da quello che gli succedeva intorno.
“Cosa gli è successo, stavolta?”, chiese.
“E’ saltato sul cavallo in corsa… senza la protezione…”, rispose Xantos.
“E si è schiacciato le palle…”, era una constatazione, più che una domanda.
“Sì…”
Euristos sorrise e scosse la testa con aria di commiserazione.
“Tipico di lui… - commentò – Perché si comporta così?”
“Perché… - iniziò Xantos esitante – perché vuole fare colpo…”, e si bloccò di colpo, sapendo bene che non era permesso ai ragazzi mostrare interesse verso quegli adulti, che sarebbero diventati i loro maestri e protettori.
“Fare colpo? Che sciocchezza… e su chi?”
“Su di te.”
Euristos si voltò a guardarlo.
“Su di me?”
“E’ innamorato e spera di averti come maestro.”
Euristos annuì, accettando con evidente piacere quelle parole: anche a lui piaceva Cleonte e aspettava solo il momento giusto per sceglierlo come allievo ed amante.
“E tu chi vorresti come maestro?”
Xantos abbassò lo sguardo senza rispondere.
“Non mi dirai che non hai messo gli occhi su qualcuno?”
“Beh…”
“Beh?”
“Santippo…”
“Ottima scelta, ragazzo! – esclamò Euristos, dandogli una pacca sulla spalla – Vedrai che andrà bene anche a te. Adesso torna ad allenarti. Ci penso io a lui. È compito mio, adesso.”
È compito mio, adesso… Quelle parole lo colpirono: significavano che Euristos aveva fatto la sua scelta… Del resto, perché sarebbe accorso, altrimenti? Xantos sorrise, felice per l’amico, ma non poté ignorare una leggera punta di rammarico, o forse era invidia: Santippo continuava ad osservarlo, certo, ma finora non aveva colto in lui nessun cenno, da cui potesse capire le sue intenzioni. Cosa avrebbe dovuto fare per suscitare il suo interesse? Cominciare a fare sciocchezze come l’amico? Questo no, non era nel suo carattere, ma avrebbe cercato di impegnarsi al massimo negli esercizi e nelle gare preparatorie.
Salutando Euristos con un sorriso e lanciando un’ultima occhiata all’amico dolente, Xantos si avviò alla porta e uscì.
Rimasto da solo, Euristos stette a lungo a contemplare il ragazzo abbandonato sul letto, il cui unico segno di vita era il gemito sommesso che gli sfuggiva, assieme al respiro, dalle labbra socchiuse… quelle belle labbra piene, che fece così tanta fatica a non baciare. Ma per quanto grande fosse il desiderio di sentire sulle sue il contatto soffice di quelle labbra, non era davvero il momento; la visione, però, del bel corpo esanime, di cui nulla gli veniva nascosto, dal sesso già pieno e maturo, alle forme ben modellate dalla palestra, alla divina bellezza del volto, pur stravolto dalla sofferenza, lo riempiva di un profondo turbamento.
“Dovrò stare attento che qualche dio non me lo rubi… - pensò – Dagli uomini saprei difenderlo, ma come faccio da un dio? Ma no, che dico? Nessuno ti ruberà a me, Cleonte: sei troppo brutto, decisamente troppo brutto per interessare agli Immortali.”, e sorrise Euristos, a quell’antica formula di scongiuro, sapendo bene che gli dèi non sono così sciocchi da lasciarsi ingannare dalle menzogne di un mortale innamorato.
L’ingresso di un giovane schiavo lo distolse dalla contemplazione dell’amato.
“Lo manda il medico.”, disse porgendogli un vasetto smaltato, chiuso da un tappo di sughero.
“Ringrazialo per me.”, disse Euristos, prendendolo.
Il giovane schiavo fece un cenno con la testa e uscì. Euristos, allora, contemplò con interesse la bella decorazione policroma del vasetto: doveva essere di fattura corinzia, pensò: il medico, del resto, proveniva da qualche villaggio dell’Istmo e ognuno si porta nel cuore l’amore per la sua terra. Tolse il tappo di sughero e immediatamente un penetrante, ma gradevole, aroma di menta si stemperò nell’aria della capanna. L’uomo lo respirò con piacere, poi con la punta delle dita raccolse un po’ dell’unguento verdastro, che conteneva, e cominciò a spalmarlo sui testicoli gonfi di Cleonte. Euristos muoveva la mano con delicati movimenti circolari, cercando di andare tutt’attorno allo scroto ancora implume: un fievole gemito accolse questa operazione. Sull’istante, il contatto, pur lieve, dovette essere infatti doloroso, ma ben presto la freschezza della menta cominciò a produrre i suoi effetti e lentamente i testicoli contratti cominciarono a sciogliersi, mentre un’espressione meno testa compariva sul volto di Cleonte e i gemiti si mutavano in un respiro più regolare.
Diverso, invece, era l’effetto che quella operazione produceva sull’uomo: il suo respiro, infatti, cominciò a farsi più pesante, via via che un inevitabile rimescolamento si verificava nella sua mente e nel suo corpo. Incurante della situazione tuttora drammatica, il suo grosso cazzo si erse in pieno turgore, il prepuzio si aprì come un bocciolo, ritraendosi e lasciando che la punta del glande rosato sgusciasse fuori, già rorido di una goccia di seme traslucido. E non fu l’unico: anche quello di Cleonte cominciò a svegliarsi, quando il piacere della fresca manipolazione cominciò a farsi strada nel sordo dolore, che pulsava ai testicoli, irradiandosi in tutto il corpo. Dapprima fu un brivido leggero a insinuarsi nelle sue fibre indolenzite, poi una piacevolezza che piano piano raggiunse i centri vitali, prevalendo sulla sofferenza e risvegliando stimoli primordiali.
Un fremito leggero cominciò a percorrere il sesso del ragazzo, il sangue cominciò ad affluire nei luoghi deputati, le vene cominciarono a gonfiarsi e ben presto l’organo si erse turgido e fremente, pronto a dare e a ricevere piacere.
Euristos se ne subito era accorto e aveva seguito con un sorriso il progressivo risveglio, meravigliandosi delle dimensioni che l’organo andava assumendo. Quando fu del tutto duro, l’uomo lo carezzò con la mano unta di unguento e provò a scappellarlo, ma il prepuzio fece resistenza e lui capì che Cleonte si era mantenuto vergine… vergine per il suo futuro maestro e amante.
Tale constatazione lo riempì di soddisfazione e di orgoglio: le premesse c’erano tutte perché Cleonte si rivelasse il migliore allievo ed amante che la sorte potesse riservargli.
Euristos continuò a giocare con il cazzo di Cleonte, carezzandolo in tutta la sua lunghezza e resistendo a fatica al desiderio di farlo godere: gli sembrava un sacrilegio con il ragazzo in quelle condizioni.
Ma da un pezzo Cleonte si era ripreso, fin dalle prime carezze. Aveva allora socchiuso le palpebre e, scorgendo chi era, si era sentito sommergere da un tale empito di gioia, che per un istante gli si chiuse la gola, impedendogli di respirare. Ma si riprese subito e tenne gli occhi serrati, mentre si lasciava andare al piacere e alle emozioni, che le manipolazioni di Euristos gli stavano procurando: voleva prolungare il più possibile quei momenti esaltanti.
Poi non resistette e tornò a socchiudere le palpebre: studiò a lungo il volto maschio, maturo dell’uomo, contornato da una corta barba, bruna come i capelli arricciolati. Lo sguardo scivolò sul corpo nudo, sulle membra robuste… arrivò fino al cazzo ed ebbe un tuffo al cuore, quando lo vide turgido e bagnato.
Aveva già visto uomini eccitati al bagno o in palestra, ma nessuno lo aveva turbato così profondamente: nessuno era Euristos.
Aprì gli occhi, ma Euristos non se ne accorse, intento com’era alla sua opera. Allora, quasi che agisse di sua volontà, la mano di Cleonte si mosse fino a sfiorare il cazzo duro dell’amato, fino alle grosse palle pelose, sotto le quali si insinuò, stringendole leggermente. A quel contatto Euristos si riscosse e lo guardò, sorridendo. Si fissarono senza dire niente, non ce n’era bisogno: furono i loro occhi a parlarsi e, attraverso gli occhi, le loro anime, scoprendosi già legate l’una all’altra, da sempre, fin da quando gli dèi le avevano infuse nei loro corpi.
Da quell’istante il loro legame fu indissolubile.
Rimasero a lungo a fissarsi senza parlare; poi Euristos allungò la mano a carezzargli la guancia.
“Non lo farai più, d’accordo?”, gli disse dolcemente.
“Non lo farò più.”, rispose Cleonte a fior di labbra.
“Promettimelo… promettilo al tuo maestro.”
Al tuo maestro… Cleonte accolse con un brivido quelle parole: sapeva cosa significavano.
“Te lo prometto…”, rispose con un groppo alla gola.
“Ti voglio”, disse l’uomo.
“Ti voglio anch’io”, mormorò il ragazzo.
Allora Euristos gli si distese al fianco e lo abbracciò, sfiorandogli le labbra nel loro primo bacio, un bacio ancora timido, esitante, uno sfiorare leggero di labbra e di lingua, mentre con avida mano gli carezzava e sprimacciava quelle chiappe levigate, che da tempo gli suscitavano pensieri impudichi.
E finalmente Euristos poté appagare le voglie che lo incalzavano: spinse Cleonte a voltarsi e lo strinse a sé, aderendo col petto alla sua schiena; gli scivolò con l’uccello sbavato nel solco caldo del culo e fra le cosce, assaporando a lungo quell’intimo contatto; poi lentamente cominciò a muoversi avanti e indietro, sentendo ad ogni spinta crescere insieme la passione e l’amore che nutriva per quel ragazzo.

(continua)
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