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Gay & Bisex

Privilegi di classe - 1


di adad
31.08.2021    |    10.654    |    11 9.6
"Seguirono per un pezzo la strada maestra, poi presero per i campi, inoltrandosi nelle terre di don Elpidio, che ad un certo punto si voltò col busto..."
Don Elpidio era il signorotto del paese. Da parte di madre vantava una lontana parentela con i principi Astrea di Montepiccolo, il che gli conferiva ulteriore prestigio presso le famiglie abbienti della zona, che lo portavano in palmo di mano. Ma il vero prestigio derivava a don Elpidio dalle svariate migliaia di ettari di terre coltivate, pascoli e boschi accumulati dalla sua famiglia nel corso dei secoli. Secondo la barocca raffigurazione dell’albero genealogico, su una parete di Palazzo Bordarelli, tale il casato di don Elpidio, le radici affondavano addirittura a prima dell’anno Mille con un tale dominus Evercione, che aveva sposato una domina Melinda, avendone sette figli maschi e tre femmine.
Da allora, l’albero aveva prosperato, infoltendo via via i suoi rami, ma la proprietà non si era dispersa per via dell’accorta politica, messa in atto dai successori di Evercione, di limitare il numero degli eredi al primogenito e poco più. E così il patrimonio era rimasto integro fino a don Elpidio che però, nonostante fosse ormai sulla trentina, non aveva ancora eredi a cui lasciarlo. Ovvio che non aveva neanche una moglie con cui farli, nonostante avesse un aspetto rigoglioso, fosse gioviale di carattere, alla mano con tutti, ricchi e poveri, e avesse una certa fama, ben meritata, di sciupafemmine alle spalle.
Oddio, la fama ce l’aveva, le voci correvano, ma a dire la verità ben poche delle donzelle del paese potevano vantare l’onore di essere stata mai oggetto delle sue attenzioni… e a nessuna delle serve di casa era stato mai concesso il privilegio di vederlo nella sua nudità… l’unico era il giovane Tumminiello, garzone e tuttofare, che la mattina lo aiutava a fare il bagno, insaponandogli la schiena e avvolgendogli attorno il lenzuolo di spugna, quando don Elpidio usciva dalla vasca monumentale di marmo bianco. Quindi, oltre a vederlo nudo, Tumminiello lo aveva anche toccato… il che non era poco.
Ma l’invidia era rigogliosa nel palazzo e presto il povero Tumminiello cominciò ad essere oggetto di sorrisetti ironici e sfottò da parte degli altri servi, maschi e femmine.
“Tumminie’, attento che un giorno o l’altro don Elpidio ti fa il servizietto.”, gli diceva uno.
“O magari te l’ha già fatto!”, sogghignava un altro.
Tumminiello ci rideva e alzava le spalle, sotto sotto però ci soffriva, anche se erano solo malelingue di persone invidiose, che avrebbero fatto carte false per stare al suo posto Ma lui era un ragazzo serio, povero ma serio, e faceva solo il suo servizio, solo quello che gli veniva chiesto. E mai don Elpidio era stato scortese o poco rispettoso con lui.
Certo, gli piaceva assistere don Elpidio al bagno, gli piaceva quando don Elpidio gli diceva confidenzialmente: “Tumminie’, prendi il sapone, lavami la schiena.”, o “Tumminie’, prendi la spugna, sciacquami.” E lui prendeva la saponetta fragrante di esotiche essenze francesi e insaponava la schiena poderosa di muscoli del padrone e lo sentiva fremere per la piacevolezza del leggero massaggio e fremeva pure lui dalla soddisfazione. O prendeva la spugna inzuppata di acqua calda e gliela passava addosso, rimuovendo la schiuma…
E quando don Elpidio, emergendo dall’acqua saponosa, gli diceva: “Tumminie’, passami il lenzuolo.”, lui prendeva il grande telo di spugna e glielo avvolgeva addosso, quasi abbracciandolo.
Di questo erano invidiosi nelle cucine e nelle stalle, della confidenza che c’era tra loro due, della benevolenza che don Elpidio gli accordava. E che lui cercava di ricambiare come poteva. E fu così che una mattina:
“Che bell’uomo che siete, Vossignoria.”, gli scappò detto, mentre gli tamponava con il morbido telo di spugna la schiena muscolosa e le natiche forti, seguendone l’intera rotondità.
Don Elpidio scoppiò a ridere:
“E se lo dici tu, dev’essere senz’altro vero.”, disse, girandosi verso di lui.
Solo che… davanti non era coperto, per cui, girandosi, Tumminiello vide esposta ai suoi occhi la parte virile. Il che sarebbe stato niente: lo aveva visto tante di quelle volte! Solo che stavolta, fosse il complimento che aveva ricevuto, fosse la piacevolezza delle manovre asciugatrici del giovane servo, fatto sta che l’appendice, di solito inerte, pendeva adesso più carnosa e consistente.
Tumminiello si sentì un nodo alla bocca dello stomaco e per un attimo gli mancò il respiro, senza che sapesse neanche lui perché, ma don Elpidio sembrò non farci caso: con un lembo del lenzuolo si asciugò indolentemente in mezzo alle gambe, tamponandosi con cura le grosse palle pelose, poi:
“Tumminie’, - disse placidamente – passami la biancheria pulita.”
Con le mani tremanti, il servo gli passò i mutandoni di lino, rinforzato al cavallo, e poi la camicia, che don Elpidio indossò, allacciandola sul petto nudo.
“Sai andare a cavallo, Tumminie’?”, gli chiese, mentre indossava gli abiti per la cavalcata mattutina.
“Un poco, Vossignoria.”
“Allora vai giù e di’ a Ernesto di sellare un cavallo anche per te. Oggi mi accompagni, va bene?”
“Io?”
“Sì, tu. Vuoi farmi lo sgarbo di rifiutare, forse?”
“Dio non voglia, Vossignoria! È che…”
“È che?...”
“Non sono bravo come Vossignoria… vi faccio perdere tempo…”
“E che dobbiamo fare, Tumminie’? Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Su, va.”
E Tumminiello andò con le gambe che gli tremavano sia per l’emozione, sia nell’anticipazione dell’imbarazzo che avrebbe provato di lì a poco con la sua evidente inesperienza.
Attraversarono al passo il paese, don Elpidio davanti con tutti che si scappellavano al suo passaggio, e lui rispondeva benignamente con un sorriso e un cenno della testa, mentre le donne si facevano alle finestre e allora era lui a scappellarsi, salutandole con grazia e cortesia. Tumminiello gli cavalcava dietro, tenendosi stretto al pomo della sella, terrorizzato dalla prospettiva di scivolare a terra. Ma già all’uscire dal paese, si sentiva più sciolto e sicuro.
Seguirono per un pezzo la strada maestra, poi presero per i campi, inoltrandosi nelle terre di don Elpidio, che ad un certo punto si voltò col busto.
“Allora, Tumminie’, come va?”, gli fece.
“Bene, Vossignoria.”, rispose lui.
“Ti è passata la paura di cadere?”
“Eh… abbastanza…”
“Tranquillo, tieni i piedi nelle staffe e stai diritto. Se ancora non ti ha buttato giù lui, - e indicò il cavallo – significa che gli piaci e allora va tutto bene.”
Tumminiello si fece bianco a quelle parole; al che, don Elpidio scoppiò a ridere:
“Vieni avanti, - gli disse, allora – stammi al fianco, così se serve ti tengo io.”, e rallentò l’andatura, onde permettere all’altro di affiancarlo.
Procedettero un po’ in silenzio; don Elpidio ogni tanto lo guardava di sottecchi e rideva sotto i baffi.
“Vossignoria mi prende in giro.”, mormorò il ragazzo, mortificato, quando se ne accorse.
“Ma no, Tumminie’, cosa dici? Ti ho mai preso in giro, tutti questi anni che sei al mio servizio?”
“No, Vossignoria. Anzi, siete sempre stato buono con me.”
“Lo vedi? È che sono contento di essere in compagnia stamattina… e tu mi stai simpatico, dico la verità.”
Tumminiello avvampò a sentirsi dire quelle parole e non seppe cosa rispondere.
Intanto si erano inoltrati nel bosco, seguendo il sentiero di terra battuta, finché giunsero ad una radura erbosa costeggiata da un torrentello vorticoso. Il sole era ormai alto e la frescura ridente del luogo invitava alla sosta.
Don Elpidio smontò da cavallo, lasciandolo andare alla pastura.
“Scendi, vieni.”, disse al compagno, mentre si dirigeva verso il torrente.
Si accosciò sulla riva, si lavò le mani nell’acqua limpida e se le passò bagnate sulla faccia. Poi si volse a Tumminiello, che lo aveva raggiunto, e allungò un braccio, afferrandolo al polso e tirandolo ad accosciarsi pure lui.
“Senti che fredda!”, disse don Elpidio, passandogli una mano bagnata sul bel volto, appena ombrato da una barba leggera.
Tumminiello fece un balzo all’indietro, più per il gesto inaspettato, che per la temperatura gelida dell’acqua.
“Non aver paura. – disse don Elpidio, trattenendolo – Non ti faccio niente. Sto solo giocando… non ti piace giocare?”
“Sì, Vossignoria, mi piace… ma voi… voi siete il padrone…”
Don Elpidio lo fissò negli occhi.
“E se sono il padrone, - disse, sorridendo, con una voce che Tumminiello non gli conosceva – allora ti ordino di metterti tranquillo. Non siamo a palazzo, siamo solo io e te e voglio che siamo amici. D’accordo?”
Il ragazzo fece segno di sì con la testa, pur senza avere la minima idea di cosa intendesse. Ma il padrone era lui e questo gli bastava.
Don Elpidio raggiunse un tratto, dove l’erba era più folta, e si distese al sole, con le braccia dietro la nuca e le gambe leggermente divaricate. Si sentiva euforico e fissava sorridendo il cielo d’un azzurro profondo.
Tumminiello era in piedi poco distante, in preda all’imbarazzo, non sapendo cosa fare.
“Tumminiello? – lo chiamò, allora don Elpidio – Vieni, vieni qui.”
Il ragazzo si avvicinò esitante e si sedette, abbracciandosi le ginocchia con le braccia. Don Elpidio lo guardò.
“Stenditi sull’erba, - gli disse – stenditi vicino a me. Ti faccio paura, forse?”
“No… Vossignoria…”, balbettò Tumminiello, al colmo dell’imbarazzo.
Si distese al fianco del padrone, incrociando pure lui le mani dietro la nuca e cercando di vincere il disagio. Era tutto così nuovo, non riusciva a spiegarsi il comportamento di don Elpidio, non aveva mai agito così: mai si era sognato di dare tanta confidenza ad un servo di casa. Cosa gli era preso stamattina? E perché proprio a lui?... Chiuse gli occhi e piano piano si lasciò andare, si lasciò
prendere dal calore del sole, dal silenzio appena rotto dal gorgoglio del torrente e dal frullo d’ali di qualche uccello, e lentamente il suo nervosismo si dissolse, lasciandolo in uno stato di pace profonda.
Non si accorse che don Elpidio si era sollevato sul gomito e lo stava guardando.
“Che strano, - si diceva – viviamo per anni a contatto con una persona e spesso non la vediamo neanche… Tumminiello… mi sembra la prima volta che lo vedo, che mi accorgo di lui… Eppure è con me buona parte del giorno, mi aiuta a fare il bagno… mi fa i servizi… e mi sembra la prima volta che mi accorgo di lui… la prima volta che mi accorgo di quanto è bello…”
E come spinto da un impulso misterioso, allungò la mano per toccarlo. Ma si trattenne.
“Che diavolo sto facendo?”, si disse, rimettendosi giù.
Chiuse gli occhi, cercando di abbandonarsi nuovamente alla carezza del sole, ma una fiammella si era accesa dentro di lui: non riusciva più a trovare quella sensazione di calma e di benessere di qualche minuto prima. Una fiammella si era accesa nella sua mente e l’incendio si stava propagando, cominciava a mettergli subbuglio perfino dentro le mutande… non si chiese più cosa gli stesse succedendo, quando tornò a sollevarsi sul gomito e si perse nuovamente nella stupita contemplazione del servo che gli giaceva accanto.
Quel volto dai lineamenti regolari, reso ancora più grazioso dalla barba rada, dalla ciocche scomposte dei capelli dorati che sembravano riflettere la luce del sole… e quelle labbra piene…
“Chissà se ha mai baciato una ragazza?”, si chiese e si sentì pungere dentro come da una spina di gelosia.
E fu allora che se ne rese conto… che si rese conto che lo desiderava… che desiderava baciarlo… A trent’anni suonati, don Elpidio non era un novellino, aveva avuto modo di conoscere, sia pur discretamente, i piaceri del sesso; ma in quel momento scoprì che mai nessuna donna aveva desiderato, come desiderava adesso quel ragazzo. E il turgore che si sentiva fra le gambe, il desiderio di
toccarlo, di baciarlo erano lì a testimoniarlo.
Ma com’era possibile? Quali segreti si nascondono nella nostra anima? Quasi senza rendersene conto, don Elpidio si protese, avvicinando il suo volto a quello di Tumminiello. Il quale, quasi ne sentisse sulla pelle l’alito ardente, giusto in quel momento aprì gli occhi e:
“Cosa fate, Vossignoria?”, balbettò, vedendo gli occhi del padrone fissi nei suoi e le labbra che quasi si sfioravano.
Cercò di scostarsi, ma l’altro, ormai in preda alla passione, lo fermò con una mano sulla guancia e poggiò le labbra sulle sue.
“Vossignoria…”, tentò di dire Tumminiello, ma già la lingua di don Elpidio gli scivolava in bocca, come il pungiglione di un’ape per cogliere il nettare d’un fiore.
Sul momento, Tumminiello si dibatté, sopraffatto dall’enormità di quel gesto e dalla ripugnanza di sentirsi invadere la bocca da una lingua estranea; ma don Elpidio lo teneva ormai in sua balia, prima con la forza e subito dopo con la dolcezza di quella lingua che gli esplorava la bocca. Allora, lentamente, si lasciò andare e cominciò a rispondere a quelle dolci stimolazioni. La sua lingua contratta cominciò a vincere la ripugnanza, cominciò a muoversi, ad avvolgersi all’altra, degustandone a sua volta la sapida dolcezza.
E non passò molto, che le sue mani si avvinsero dietro la nuca di don Elpidio, tenendolo stretto a sé: era troppo bello quanto stava succedendo, Tumminiello avrebbe voluto prolungarlo all’infinito. Oh, sì… perché al piacere del bacio si unì ben presto un fuoco che gli si diffuse per tutte le membra… un fuoco che d’un tratto gli si concentrò nel basso ventre… nell’uccello teso allo spasimo… nelle palle, d’un tratto ribollenti… Un fuoco che si trasformò in onde di piacere sempre più forti, sempre più lancinanti, e poi esplosero come una palla di fuoco, nel momento stesso in cui don Elpidio gli poggiava una mano in mezzo alle gambe.
Fu solo allora che il bacio si interruppe.
“Ma sei venuto!...”, esclamò don Elpidio, ritraendo la mano fradicia dello sperma, che era trasudato attraverso la tela grossolana dei calzoni.
“Perdonate, Vossignoria…”, balbettò il poveretto, facendosi rosso dall’imbarazzo.
Ma l’altro scoppiò a ridere e lo abbracciò stretto.
“E’ fantastico, Tumminiello, è fantastico! – ripeteva – Tu sei fantastico!”, e continuava a ridere, stringendolo forte.

(continua)
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