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Gay & Bisex

Laggiù nel far west - 1


di adad
13.10.2019    |    11.042    |    14 9.5
"I primi giorni non ci avevano fatto caso, presi com’erano dall’euforia del viaggio, ma dopo un po’ cominciarono a ritrovarsi sempre più spesso con delle..."
Ted e Buck erano due cowboy: tanto vale presentarli subito. Ted era un ragazzone cresciuto nelle praterie del Middle West, temprato dal freddo dei gelidi inverni e dal sole delle torride estati. Era arrivato chissà come nella fattoria di Mr. Avery, dove gli avevano offerto un lavoro, e dove, dopo alcuni screzi iniziali, si era legato in amicizia con un altro lavorante, Buck, di qualche anno più vecchio.
Non era male la vita nella fattoria: il lavoro era quello che era, certo, ma erano trattati bene dal padrone, il vitto era ottimo e abbondante, e c’era la signorina Lucy che non disdegnava di sbirciare di sottocchio l’affascinante Buck.
Purtroppo, la situazione era precipitata quando Mr Avery si era accorto del pericolo che la figlia correva, o forse aveva già corso, e prima che succedesse l’irreparabile, pensò bene di mandar via il bel mandriano. Per Ted fu un vero colpo: come avrebbe fatto senza l’amico del cuore, senza il compagno di bevute nel saloon della vicina Sbor City? A sua lode va il fatto che il senso dell’amicizia prevalse e senza pensarci due volte mise le sue poche robe nella bisaccia da sella e partì assieme a Buck. C’è da dire, però, che da tempo avevano entrambi voglia di lasciare il mondo chiuso della fattoria e partire alla scoperta di spazi più aperti… degli spazi sconfinati del lontano West.
All’epoca del nostro racconto, Ted aveva ventotto o ventinove anni, Buck era sui trentacinque, entrambi nel pieno del vigore e della virilità.
E la povera signorina Lucy? si chiederà qualcuno: la signorina Lucy provò certo un po’ di rammarico, pensando alle grandi virtù di Buck, che le erano state appena sottratte; ma si rassegnò alla dura legge delle convenienze sociali e cominciò ben presto a cercare nuovi bersagli per le sue occhiatine. Con buona pace di Mr. Avery, a cui sarebbe forse convenuto tenersi il discreto Buck, visto come sarebbero andate le cose di lì a poco… ma questa è un’altra storia e se ne occuperà qualche altro scrittore di avventure galanti: noi dobbiamo occuparci di due baldi giovanotti, appena partiti in cerca di avventure.
Erano in viaggio ormai da diverse settimane, seguendo in linea retta il percorso del sole verso Ovest, senza che nulla li ostacolasse, se non l’incontro di fiumi più o meno grandi, molti ancora senza nome, che potevano aver rallentato il loro viaggio per la necessità di trovare un guado, ma non lo avevano interrotto. Anzi erano state soste anche piacevoli: avevano permesso loro di riposarsi, di dedicarsi alla pesca, variando così l’alimentazione, e soprattutto di divertirsi a sguazzare fra i gorghi, facendo qualche bagno salutare, dopo giorni e giorni di cavalcata.
Nel frattempo la loro amicizia si era consolidata, cavalcando di giorno si raccontavano le loro storie; nel bivacco di sera si raccontavano i loro sogni, con gli occhi immersi nell’immensità stellata del cielo.
Erano soli di giorno in quelle sconfinate praterie; ancora più soli la notte nel buio fondo, oltre il breve chiarore del fuoco, quando si raggomitolavano ognuno nella propria coperta con la sella per cuscino.
Quanto cammino avevano fatto e quanto ancora gliene mancava, prima di giungere sulla riva dell’altro Oceano? I nostri cowboy non se lo chiedevano, come non si chiedevano mille altre cose, felici com’erano della loro libertà. Anche se qualche rovello nascosto ce lo avevano, un piccolo tarlo che rodeva sotto sotto il loro buonumore, soprattutto di notte nei loro sogni più intimi. Insomma, diciamocela tutta: erano giovani, entrambi nel pieno del vigore e della virilità; i loro meccanismi funzionavano regolarmente, la produzione di fluido vitale proseguiva negli stabilimenti preposti, ma erano mesi ormai che non ci davano dentro, se non qualche frettoloso lavoretto di mano, quando si appartavano dietro un cespuglio per i loro bisogni.
I primi giorni non ci avevano fatto caso, presi com’erano dall’euforia del viaggio, ma dopo un po’ cominciarono a ritrovarsi sempre più spesso con delle strane ubbie per la testa e con degli strani dolorini al basso ventre, dolorini che non dipendevano certo dallo stare tutto il giorno in sella; sempre più spesso si svegliavano di notte con l’uccello spasimante ed erano costretti a toccarsi, zitti zitti per non svegliare l’amico che dormiva dall’altra parte del fuoco, a un metro di distanza.
Perché una cosa bisogna dire: di tutto parlavano i due amici, tutto si confidavano, tranne che questo aspetto della loro esistenza. Del resto, per chi non lo avesse ancora capito, siamo nell’Ottocento e le idee sul sesso erano quello che erano… o non erano, vista la spessa coltre di pudore, che le soffocava. Non parliamo poi della nudità: se era già condannata fra coniugi, era pressoché inconcepibile fra estranei, maschi per giunta, che avevano un’immagine ben consolidata da difendere.
I nostri due maschietti, ad esempio, neanche quando si immergevano nelle acque fresche di un fiume per un salutare lavacro si spogliavano del tutto: si tenevano addosso l’intimo, costituito da una sorta di magliamutanda con un’abbottonatura sul davanti, che partiva dal collo e continuava fin dietro il sedere, in modo da poter assolvere ai propri bisogni, sbottonando solo la parte interessata, senza la necessità di doversi togliere tutto il resto. La cosa paradossale era che, sformate com’erano, una volta bagnate, questo indumento gli si incollava al corpo, mostrando o lasciando indovinare molto più di quanto non avrebbe dovuto.
***
Ad un certo punto del cammino, qualcosa cominciò a mutare nel paesaggio: all’orizzonte davanti a loro si profilarono le sagome indistinte di monti lontani, sagome che si facevano di giorno in giorno più concrete e incombenti, mentre il terreno cominciava a salire e la prateria cedeva ad una steppa sempre più rada e sassosa. E alla fine se le trovarono davanti, le Montagne Rocciose. Per un istante si persero d’animo all’idea di doverle scavalcare, ma poi il loro naturale spirito avventuroso riprese il sopravvento e affrontarono il sentiero che iniziava ad inerpicarsi fra le rocce. Dopo qualche ora raggiunsero un piccolo pianoro sul fianco della montagna e decisero di fermarsi lì per la notte. Impastoiarono i cavalli, lasciandoli a pascolare la poca erba e loro si ritirarono sotto una sporgenza della roccia, che dava una sensazione di maggiore sicurezza. Accesero un bel fuoco e infilzarono ad uno stecco un coniglio selvatico ucciso il giorno prima, per arrostirlo; dopo di che, si avvolsero ognuno nella propria coperta e dopo due chiacchiere si misero a dormire. Il freddo però cominciava a farsi sentire, anche se non erano saliti molto in alto quel primo giorno. Dopo un po’, nonostante il fuoco, cominciarono a sentirsi le ossa gelate.
“Che freddo...”, sospirò Buck ad un tratto.
“Non dirmelo… - mormorò Ted con voce spezzata – Mi sa che stanotte non chiuderò occhio.”
“Metto ancora un po’ di legna sul fuoco.”
“Non serve. Se ti scaldi da una parte ti geli dall’altra. Senti, Buck.”
“Cosa c’è?”
“Che ne dici di dormire vicini.”, propose Ted.
“Vuoi dire abbracciati?”, ghignò l’altro.
“Non dire sciocchezze. Intendo vicini, così ci scaldiamo l’uno con l’altro e possiamo coprirci con due coperte.”
“E’ un’idea. – disse Buck alzandosi – Ma tieni le mani a posto.”
“Mi hai preso per un pervertito? – disse Ted piccato – Stattene pure per conto tuo, se hai paura.”
“Dai, scherzavo, sciocco!”
Prepararono il giaciglio dalla parte della parete rocciosa, in modo da avere il fuoco tra loro e l’esterno. Poi si tirarono addosso le coperte, rimboccandosele bene attorno e si misero a dormire schiena contro schiena: non era molto, ma la notte passò meglio del previsto. Quel po’ di calore che i corpi riuscirono a scambiarsi attraversi i vestiti, bastò a farli sentire più a loro agio.
La mattina ripresero a salire l’erta della montagna. Si era ormai alla fine dell’estate e loro erano saliti alquanto in alto, per cui la temperatura si era fatta alquanto più cruda.
Verso il tramonto, trovarono un incavo nella parete della montagna e decisero di fermarsi lì per la notte. Accesero un bel fuoco, sterpi e rami abbattuti abbondavano nei dintorni; mangiarono un po’ delle provviste che avevano; poi si prepararono il giaciglio e si rannicchiarono sotto le coperte. Ma stavolta il freddo era più pungente della sera precedente e Ted non riusciva a smettere di tremare.
“Che cazzo ci facciamo qui? – mormorò – dovevamo rimanere in pianura e cercarci un posto per passare l’inverno.”
“Dai, - fece Buck, in tono rassicurante – non è poi così drammatica. Aspetta che ti aiuto a scaldarti.”, e gli si addossò da dietro, cingendolo con le braccia e stringendolo a sé.
“Come va?”, gli chiese dopo un po’.
“Meglio…”, rispose Ted, continuando però a tremare, sia pure in modo meno spasmodico.
“Che ne dici se facciamo come gli esquimesi?”
“Che fanno gli esquimesi?”, rispose Ted.
“Si spogliano e si tengono stretti sotto le coperte.”
“E funziona?”
“Non lo so. Ma nulla ci impedisce di provare…”.
E detto questo, Buck prese a spogliarsi, rimanendo in magliamutanda e
infilandosi subito sotto le coperte. Un po’ riluttante, Ted lo imitò, spogliandosi a sua volta e infilandosi pure lui sotto le coperte. Ma uno strano ritegno, dettato dalla consapevolezza di essere entrambi quasi nudi, lo spinse a stare alquanto discosto dall’amico.
“Vieni più vicino.”, lo invitò Buck.
Ted si mosse di qualche centimetro; al che, sbuffando scherzosamente, Buck gli andò vicino e gli si premette contro, passandogli un braccio attorno. Quel gesto confidenziale lo mise a disagio, tanto più che sentiva il corpo dell’amico attraverso il sottile strato di tessuto, ne sentiva chiaramente contro la coscia il sesso molliccio. Ma sentiva anche il grato calore dell’amico diffonderglisi sotto la pelle, fino alle ossa, così che istintivamente gli si rannicchiò contro ancora più strettamente.
“Funziona…”, mormorò con un sorriso.
“Sì, - rispose Buck – stringiti a me, non aver paura.”
Dopo pochi minuti dormivano entrambi, riscaldati dal reciproco calore e isolati dal gelo esterno dalle coperte di buona lana. Ad un certo punto, però, Ted, che era steso supino, si voltò sul fianco, dando in questo modo la schiena al compagno. Il movimento svegliò Buck, che si ritrovò con la schiena dell’amico a contatto del suo petto e il sedere premuto contro il suo inguine.
Bisogna dire, a onor del vero, che lui non aveva mai nutrito alcun interesse per i piaceri maschili, né una cosa del genere gli era mai passata per la testa; tuttavia, quei glutei sodi premuti contro il suo cazzo, gli provocarono un certo turbamento nelle parti basse, per cui non passò molto che si ritrovò a dover lottare con una delle erezioni più indemoniate della sua vita.
Come se non bastasse, il comprensibile aumento delle calorie portò il dormiente a stringersi maggiormente all’angustiato Buck, che cominciò ad essere travagliato da un bisogno sempre più forte e urgente di portare a compimento il suo piacere. Ma la situazione non glielo permetteva, onde al poveretto non rimase che sopportare le caldane, sperando che arrivasse presto il mattino.
E il mattino giunse, finalmente. Ted si svegliò fresco e riposato, mentre il povero Buck aveva la testa confusa ed un dolorino sordo al basso ventre. Si sentiva scombussolato, ma non tanto per la notte passata quasi in bianco, quanto piuttosto per l’effetto che il contatto con il culo di Ted gli aveva provocato. Non riusciva a capire. Si fosse trattato di una donna, non avrebbe avuto niente da eccepire; ma Ted era un uomo: come aveva potuto eccitarsi in maniera così vergognosa?
L’occhio gli corse all’amico che si stava rivestendo, dandogli le spalle e per la prima volta ne notò la soda rotondità delle sue chiappe… “come due mezzi meloni”, gli venne fulmineamente in testa. Ma si vergognò di quel pensiero e lo rimosse subito.
Dopo essersi sciacquati gli occhi con l’acqua della borraccia, misero sul fuoco la cuccuma del caffè, che bevvero poi, sbocconcellando un paio di gallette. Erano entrambi stranamente silenziosi, quella mattina, come se qualcosa avesse rabbuiato la spensierata allegria dei giorni precedenti.
Si rimisero in cammino, cercando di procedere verso occidente, per quanto costretti a seguire le circonvoluzioni del sentiero attorno alla montagna. Ogni tanto si fermavano per soddisfare qualche bisogno naturale e insieme per dare un po’ di ristoro ai cavalli.
Quando il sole iniziò a scendere e l’aria a farsi più fresca, cominciarono a cercare un posto dove accamparsi per la notte e quando arrivarono ad uno slargo del sentiero con un paio di alberi e dell’erba stenta per i cavalli, decisero di fermarsi lì. Accesero subito un bel fuoco, con dei rami raccolti o tagliati si costruirono una sorta di capanna e dopo aver accudito ai cavalli e mangiato qualcosa, si disposero a dormire, ché intanto era sceso il buio.
Buck era dubbioso su come comportarsi, ma Ted si spogliò in fretta e, si infilò sotto le coperte, restando in attesa. A Buck non rimase che seguire il suo esempio: si spogliò pure lui e gli si stese accanto. Ted non perse tempo a rannicchiarglisi fra le braccia, schiena contro petto, e dopo qualche parola, chiuse gli occhi e si addormentò.
Ma per il suo povero amico quello fu l’inizio del tormento: in breve, il contatto del culo di Ted sul suo inguine cominciò a produrre il suo effetto: il cazzo iniziò a formicolargli e ben presto a tendersi, allungandosi verso l’alto: il movimento ne provocò lo scappellamento e una trazione in basso della guaina, con una fitta di piacere così lancinante, da far gemere il povero Buck, che per un attimo si sentì danzare l’orgasmo sulla punta della cappella. Ma si fece forza e riuscì a superare il momento. Respirò di sollievo, ma l’uccello gli rimase turgido e fremente, tutt’altro che intenzionato a dargli requie.
Poi, tutto d’un tratto, la situazione precipitò: sotto l’urgenza di fare qualcosa, pur che sia, Buck riuscì a scostarsi un poco e a slacciarsi i bottoni sul davanti, in modo da poterlo tirare fuori; poi perfidamente sbottonò quelli sul retro di Ted e con mille lentissime manovre riuscì prima a infilarglielo nello spacco del culo e poi a farglielo scivolare in mezzo alle cosce.
Ted sembrò non accorgersi di niente, ma qualcosa dovette giungergli nelle profondità del sonno, perché emise un leggero mugolio, quando il nerchio bollente dell’amico gli scivolò bavoso sotto le palle.
Giunto a destinazione, Buck si fermò, trattenendo perfino il respiro, timoroso com’era di svegliarlo; ma quando si avvide che l’altro continuava a dormire, si spinse a muoversi piano avanti e indietro; e per quanto microscopici fossero i movimenti, ognuno di essi era un fremito voluttuoso, finché non riuscì più a controllarsi. Pensò di tirarsi indietro, ma non fece in tempo: allora, mordendosi le labbra, per non emettere alcun suono, e trattenendo perfino il respiro, lasciò che l’uccello gli si svuotasse in mezzo alle cosce di Ted, infradiciandolo dappertutto. Avuto, così, un po’ di sollievo, Buck lo ritirò indietro ormai molle e lo rimise a posto. Con mosse lente si riallacciò anche i bottoni davanti, ma non osò richiudere quelli di Ted, temendo di rischiare troppo.

(continua)
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