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Gay & Bisex

Mauro e Franco Cap. 4


di Discobolo
15.02.2023    |    1.284    |    1 9.6
"Lo sentivo fremere, vibrare sotto i colpi della mia lingua, dentro le dita che abbracciavano i suoi corpi cavernosi senza dar loro il respiro cui anelavano..."
Cap. 4
Ci distendemmo sul letto, lui sopra di me, tenendoci abbracciati. Le nostre bocche, per nulla sazie delle sensazioni fin allora provate, tornarono a cercarsi, a compenetrarsi con le labbra, con la lingua, le fauci spalancate quasi che ognuno volesse ingoiare interamente l’altro. I petti aderenti si accarez-zavano ad ogni movimento, e così i nostri ventri, le nostre cosce strettamente intrecciate, con quella destra di ciascuno intimamente aderente ai genitali del compagno. Ci stavamo gustando veramente le delizie del paradiso
Ma ero in debito con Mauro: egli mi aveva portato al parossismo del piacere, costruendomi l’orgasmo più bello della mia vita, ed io non lo avevo contraccambiato.
Mi staccai dalla sua bocca, mi rigirai sopra di lui e ripresi a disegnare sul suo corpo quel pigiama di saliva che avevo prima lasciato interrotto. Egli si rilassò nella sua posizione supina, lasciandomi libero di fare quel che il mio estro poteva inventare.
Mi accoccolai al suo fianco e, stavolta, cominciai a leccarlo dal basso verso l’alto: prima i testicoli, poi la verga, dalla radice su, su verso il glande; ficcai la lingua con prepotenza tra il colletto del glande e quel che sovrabbondava della pelle del prepuzio, rigirando la punta della lingua intorno a quella cupola che né Michelangelo né Brunelleschi avrebbero potuto mai eguagliare.
La mia lingua, svolgendosi in tutta la sua lunghezza e larghezza, si dedicò al percorso ventrale, descrivendo cerchi prima più larghi, poi via via sempre più stretti fino ad arrivare all’ombelico dentro il quale cercai di far penetrare la punta, contraendola fino a farla diventare come un grosso dito.
Mauro sentiva quel massaggio con ogni millimetro della sua pelle, e quel messaggio di amore e desiderio gli arrivava prepotentemente al cervello, provocandogli spasmodiche contrazioni dei muscoli addominali e del pene, che intanto era rimasto saldamente imprigionato nella mia mano destra, mentre la sinistra era andata ad esplorare i meandri del canale tra le sue natiche.
Lo sentivo fremere, vibrare sotto i colpi della mia lingua, dentro le dita che abbracciavano i suoi corpi cavernosi senza dar loro il respiro cui anelavano.
La mia lingua solcò il torace del mio amico, dall’ombelico al pomo di adamo, poi scivolò sul mento, sulle labbra, descrisse dal basso il contorno del naso e si fermò sulla sua fronte.
Mauro gemeva e pulsava. La sua verga reclamava qualcosa di meglio delle mie dita strette intorno ad essa.
Ma con lentezza esasperante, la mia lingua rifece il percorso inverso: dalla fronte, percorse il profilo del naso, quello delle labbra e del mento; scivolò sul collo, sul torace soffermandosi a deviare un poco sui due capezzoli che, uno alla volta, trasmisero al cervello ed alle ghiandole di Mauro nuove scariche elettriche, nuove scosse improvvise, nuovi spasimi di piacere. Ripercorsi la linea tra l’ombelico ed il pene, ma non mi fermai su di esso, continuai sui testicoli, risucchiandoli uno alla volta, anche se con estrema delicatezza, dentro la mia bocca; poi li lasciai e tornai ad usare la lingua, dirigendola stavolta verso il Gran Canyon che separa i suoi glutei da Ganimede.
Non avrei mai pensato di poterlo fare, invece lo feci, non solo, ma provai un immenso piacere nel farlo: gli stavo leccando il buco del culo, glielo solleticavo con la punta della lingua, tentavo con essa di penetrarlo, di farlo gemere ancora di più e farlo naufragare nel piacere più inconcepibile ed incommensurabile. Sentivo che ci riuscivo e questo mi mandava letteralmente in uno stato di beatitudine. Ero soddisfatto di me, di quello che stavo riuscendo a fare, della gioia e del gran piacere che stavo donando al mio caro, carissimo Mauro.
Ma anche la mia resistenza aveva un limite. Ad un certo punto non potei più tergiversare. Ripresi violentemente la sua verga nella mia bocca e cominciai a succhiarla avidamente. Prigioniera tra la mia lingua, aperta in tutta la sua larghezza ed accartocciata a contenerla tutta, ed il mio labbro superiore che ne saggiava la vellutata morbidezza, produssi un costante andirivieni che si trasmetteva alla pelle del suo prepuzio. Il suo frenulo, sollecitato dalle rugose papille della mia lingua, trasmise agli altri organi coinvolti i suoi impulsi erotici e Mauro, improvvisamente, sprizzò dentro la mia bocca le delizie del nettare che aveva fino ad allora contenuto nei testicoli, inondando l’interno delle mie guance, la mia ugola, le mie tonsille, le cavità sublinguali.
Era un fiume in piena che deliziava la mia cavità riarsa dalla lunga slinguata. Assaporavo quel miele che sapeva di selvaggio, e mi sentivo colmo di ogni felicità. Bevvi tutto quel ben di Dio, poi succhiai tutto quel che era rimasto attaccato al suo glande, leccai la sua verga in ogni centimetro di pelle e la resi tersa e pulita come era stata prima di entrare nella mia bocca.
Ma non fui soddisfatto.
Dopo averlo fatto riposare un poco, affinché recuperasse le sue energie, ripresi ad accarezzare delicatamente la sua verga. Piano piano riprese forza e vigore. I corpi cavernosi, prima del tutto svuotati e flosci, ripresero tono e tornarono a rigonfiarsi. Dopo una decina di minuti era nuovamente pronto per essere accolto dalla mia bocca avida.
Lo inondai di saliva. Lo succhiai, lo accarezzai con la lingua in ogni sua parte, in ogni verso possibile. Quando mi accorsi che era tornato pulsante e prepotente come all’inizio della serata, mi misi a cavalcioni su Mauro facendo in modo che il suo membro trovasse l’orifizio ancora inviolato nascosto tra le mie natiche. Sapevo che avrei sentito un male boia, ma il desiderio di far godere fino all’inverosimile il mio compagno, il mio grande amore, ormai, rendeva piacevole l’idea di potergli offrire anche il mio dolore fisico.
Mi abbassai lentamente, facendo poggiare la punta del suo membro proprio sul buco; così come mi ero posto, a cosce spalancate, ero sicuro che avrei agevolato la penetrazione. Mi abbassai ancora, con decisione: il suo glande, lubrificato dalla crema e dalla mia saliva, penetrò con estrema facilità e con estrema dolcezza nelle mie viscere. Il mio pensiero è corso in quel momento a D’Annunzio: “e alfin provai ciò che la donna prova!”.
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