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Lui & Lei

Miranda cap. 3


di Discobolo
18.02.2023    |    744    |    1 8.7
"Lei gradì molto quella intrusione..."
3 Il tre, numero perfetto
Quel gesto completò la mia erezione che già la sua vista aveva stimolato. Mi sistemai meglio sul fianco, verso di lei; presi la sua mano e la portai su Sansone. Mi sorrise.
Mentre continuavo la doverosa carezza di quel seno che fuoriusciva completamente dal reggiseno a balconcino, avvicinai le mie labbra alle sue e le posai un lievissimo bacio, quasi una carezza fatta con le labbra. Lei accettò senza stimolare ulteriori confidenze. Ma quella carezza delle labbra contro le labbra non poteva soddisfare due assatanati come noi due. Avanzai di qualche millimetro e presi tra le mie il suo labbro inferiore: pieno, carnoso, turgido, tumido sul quale il vivido rossetto aveva lasciato una patina dolciastra. Lo succhiai dentro la mia bocca; lo accarezzai con la mia lingua umida; stimolai le sue terminazioni nervose che certamente trasmisero un richiamo erotico alle sue viscere. Emise un flebile gemito e strinse nella mano l’oggetto del suo desiderio.
Un leggerissimo dondolìo del mio corpo riusciva a provocare una delicatissima e dolcissima sega da parte della sua mano morbida e vellutata. Portai anch’io, la mia mano sinistra, tra le sue cosce, sulla strisciolina di pizzo che copriva il suo monte di Venere: sentii il fresco umido delle sue secrezioni che erano filtrate all’esterno. Feci a quella stoffa umida qualche carezza che, la trasparenza del tessuto trasmetteva all’interno esaltandone il contatto. Il gemito, adesso, era continuo, ininterrotto.
Il contatto delle labbra si trasformò in un bacio, prima dolce e delicato, poi via via più violento e sensuale. Il sangue di entrambi scorreva assai velocemente nel nostro sistema vascolare, trasferendo in tutti i punti del corpo le nostre sensazioni di piacere.
Sansone rischiava di non saper attendere, per cui lo strappai dalla sua dolce prigionia, abbassandomi col capo verso gli spettacolari capezzoli.
Non descriverò mai abbastanza bene i due fragoloni scuri che si ergevano su una tonda piattaforma color cioccolata, il tutto in cima ad un monte la cui scalata ricordava l’ascesa al Paradiso: dolcissimi al sapore, misto di fragola e di cioccolata; stimolanti al tatto orale, come il ciuccetto per un lattante; morbido e consistente come una ciliegia gigante o, meglio, come un jabuticaba, un frutto tipico brasiliano dal sapore delizioso e dal profumo afrodisiaco.
Mentre le succhiavo il capezzolo, le mie dita continuavano la carezza sullo slippino, trascinando sotto i polpastrelli una densa soluzione di piacere che usciva dalle sue grandi labbra. I suoi gemiti crescevano di intensità, ma io volevo farla ancora attendere, prima di portarla al piacere finale.
Smisi di accarezzarla tra le gambe; mi concentrai al lavoro della mia lingua che, lasciato libero il capezzolo, si dedicò ad una passeggiata circolare sull’areola marrone, allargando a spirale la sua corsa, omaggiando delle sue attenzioni l’intera mammella che ancor più si inturgidiva e sembrava ingrossarsi. Passai da una all’altra sfera, riprendendo il movimento circolare, partendo dal capezzolo ed allargando verso l’esterno. Arrivai con la lingua sotto una ascella; aumentai la pressione del mio ruvido attrezzo provocandole un solletico che non riusciva a sopportare.
“Noooooo! Non così, ti prego. Mi fai il solleticooooo!” ma io proseguivo, infliggendole una graditissima tortura. Le vestii di saliva le braccia, fino alle mani, fino alle dita che presi in bocca ciucciandole. Tornai nel solco tra le bellissime tette. Lo attraversai più volte dal basso in alto e dall’alto in basso, finché non prolungai la traiettoria fino all’ombelico.
Non appena la punta della mia lingua penetrò in quell’anfratto centrale, un sobbalzo del suo corpo mi avvertì della sua estrema sensibilità in quel punto. Non volli essere cattivo e, dopo una leggera esplorazione, proseguii sull’oceano del suo ventre dorato.
Le mani, intanto, navigavano in ogni altra parte del corpo: accarezzavo le cosce, le natiche, le spalle, i fianchi, non risparmiando un solo centimetro di quel delizioso corpo di femmina, che già profumava di corpo di donna misto a chanel n. 5 o qualcosa del genere. Le sciolsi, intanto, il ridotto reggiseno ed il minuscolo slippino.
Bellissima, eccitante, arrapante. Sansone, pur se lasciato in libertà, sprizzava desiderio da tutte le vene che gli rugavano la pelle.
Lentamente proseguii la mia esplorazione linguale verso il basso. Strisciando da destra a sinistra e da sinistra a destra, percorsi l’intero curatissimo cespuglio bruno, finché la mia lingua incontrò una piccola protuberanza che risultò assai saporita al gusto. Miranda sobbalzò ancora più forte di prima. Quel clitoride si ergeva ormai fuori dal suo solito alloggiamento, come un piccolo cazzetto in erezione, dalla consistenza callosa, talmente si era indurito. Rosso fuoco e palpitante, anelante alle carezze della mia lingua che non tardarono ad accontentarlo.
Era come fare un pompino in miniatura: una carezza circolare tutto intorno con la punta della lingua, seguita da un risucchio violento tra le labbra che lo faceva allungare di qualche centimetro, che lo faceva vibrare come le corde di un’arpa, che gli faceva trasmettere all’utero, alle ovaie ed alla vagina scariche elettriche di alterne contrazioni che, risalendo lungo la spina dorsale, provocavano a Miranda ondate di piacere incontenibile sulla base del cervello, ondate che sembravano rimbalzare e tornare indietro per provocare ulteriori contrazioni alla vulva, all’utero e alle ovaie.
Scariche di orgasmo ormai incontenibile scuotevano tutto il corpo della bellissima Miranda, il cui viso stravolto dal piacere rispecchiava la bellezza di tutte le dee erotiche della mitologia greca e latina.
Mi sentivo un padreterno, un campione dell’arte erotica, capace di produrre effetti così sconvolgenti in una creatura che di esperienza ne aveva, eccome. Felice di poter dare tanto amore e tanta felicità a lei, tutto concentrato nel delizioso lavoro che stavo compiendo, mi ero completamente dimenticato della presenza di Fausto.
Egli se ne stava rannicchiato sulla poltroncina, nel suo angolo in penombra, ma era visibilmente eccitato anche lui e si carezzava il cazzo che anche a lui si era eretto in maniera encomiabile. Pensai: ‘allora, non è impotente!’
Questa considerazione ebbe su di me uno strano effetto: mi sentii ancora più soddisfatto ed orgoglioso di essere stato scelto per quell’incontro di piacere. Non ero solo uno strumento strettamente indispensabile, ma un energico catalizzatore e, al tempo stesso, un attore prescelto per quella meravigliosa interpretazione: rendere felice la ingorda Miranda, darle quel di più che non riusciva a spremere ai coglioni pur validi del maritino.
E lui mi apparve ancora più grande e generoso: cedere il suo posto ad un cazzo forse più valido e duraturo del suo, pur di rendere felice quella donna che amava così tanto, della quale aveva fatto la sua ragione di vita e l’oggetto della sua adorazione.
Ormai Miranda si era scatenata. Rigirandosi sopra di me, offrì alla mia bocca il suo immenso monte di Venere, cercando con la sue grandi labbra la mia lingua e strisciando su di essa l’intero spacco della sua fica. Sentivo sulle mie papille tutte le irregolarità delle piccole labbra, che si deformavano ad ogni passaggio della mia lingua, concentrata per il lungo come fosse un piccolo cazzo che, prima di penetrarla, carezzava quella orchidea meravigliosa di carne, dalla sensibile antera ed i cui petali assorbivano le vibrazioni che il mio corpo le trasmetteva tramite il pistillo della mia lingua. La femmina infoiata era ormai schiava del suo piacere, che fluiva continuo dalle sue viscere e si riversava copioso dentro la mia bocca che, assetata, ne assorbiva e deglutiva i mille rivoli saporiti.
Un gesto che viene scientificamente denominato cunnilingus, ma che era una vera e propria chiavata della lingua nella fica grondante, un risucchio di nettare da parte di una bocca affamata, una fusione perfetta di due organi che madre natura aveva deputati ad un coito speciale, infertile, ma immensamente ricco di delizia.
Ribaltai la situazione. Curioso come una bertuccia, volevo vedere le reazioni di Fausto a quella furia travolgente che Miranda era diventata.
Mi posi al di sopra di lei e, mentre riprendevo con grande entusiasmo e lena a succhiarle la fica, le labbra, il clitoride, facendola ululare di spasimi di piacere, alzai lo sguardo per guardare Fausto: era visibilmente felice ed entusiasta della scena che si svolgeva sotto i suoi occhi; la sua mano destra fremeva nella violenta carezza al suo cazzo, di cui non distinguevo la forma e le dimensioni; si sollevava sulla poltrona quasi volesse alzarsi e precipitarsi sul letto per partecipare anche lui al tripudio festoso che vi si stava svolgendo, ma poi si fermava e tornava ad adagiarsi, ridendo, piangendo, ululando anche lui quasi che le ondate di piacere della moglie, captate dai suoi occhi, trapassavano nel suo cervello e da lì si ritrasmettevano per tutto il suo corpo, dando anche a lui pulsioni di piacere erotico, spinte verso un orgasmo forse prossimo, forse trattenuto per prolungarne i piacevoli effetti. Oddio: quell’uomo era felice, in quel momento. Forse non vedeva neppure la mia persona, forse per lui non esistevo: c’era solo sua moglie, la sua amata Miranda che godeva come una pazza, che sobbalzava ad ogni ondata di orgasmo, che si agitava su quel letto come se una fiamma di piacere avvolgesse tutto il suo organismo.
Queste considerazioni mi fecero ancora di più arrapare. Temevo di dover sborrare da un momento all’altro e mi preoccupavo che la festa finisse troppo presto.
Mi fermai e feci cenno a Fausto di avvicinarsi, di unirsi a noi. Forse era quello che desiderava, che aspettava. Si precipitò sul letto e si buttò a pesce con la bocca famelica su quella fica che qualche istante prima io stavo succhiando.
Lei gradì molto quella intrusione. “Sì, tesoro mio. Vieni anche tu. Rendimi anche tu felice. Dài, amore, chiavami forte come una volta, sbattimi come una troia, fammi godere come se fosse la prima volta che mi scopi. Ma non venire ancora. Tieniti duro, ché oggi ti voglio dare il culo. Voglio farti godere come un toro infoiato. Voglio essere tua fin nel midollo delle ossa.”
Quelle parole furono come benzina gettata sul fuoco per Sansone, che vibrò come un diapason cercando un buco in cui scaricare tutto il suo desiderio, il suo piacere.
Fausto aveva occupato la fica vogliosa di Miranda, né volevo togliere a lei il piacere di riservare al marito il buco del culo. Mi restava solo la sua bocca, e su quella spostai Sansone il quale con violenza si precipitò entro quella grotta orlata di rosso.
Lei era brava, con la bocca. Sapeva come carezzare un cazzo grosso come Sansone, tra la lingua, il palato e le gote, senza disturbarlo coi denti, facendolo muovere sempre sul morbido, sul caldo, come se fosse proprio dentro ad una vagina. Anzi, di più. Perché si soffermava, ogni volta che il cazzo si trovava a metà corsa, a succhiarlo come una caramella, come un ghiacciolo, quasi ne volesse risucchiare tutto il contenuto in un colpo solo, dandogli un piacere così intenso che, di fatto, ne impediva la corsa verso l’eiaculazione. Sì, proprio così: quando la sensazione di piacere risulta eccessivamente violenta, il cazzo non riesce a rilassarsi ed a correre verso l’orgasmo.
Dovetti simulare di scoparle la bocca; due, tre, quattro andirivieni effettuati con grande lentezza ed il fiume di sborra si precipitò dentro la sua gola, tra le sue fauci, sulla sua lingua, dove ella la fece scorrere, la degustò, la assaporò ed, infine, la ingoiò con grandissimo gusto, con immensa soddisfazione.
Fausto non godeva ancora. Per dedicarsi più efficacemente alla fica di Miranda con la bocca, aveva smesso di masturbarsi, ma restava ancora eretto e duro.
Miranda gli carezzò la testa. Poi gliela sollevò dalla fica e lo trascinò sul suo corpo per dargli un bacio. Il corpo di Fausto strisciò verso l’alto fino a trovarsi al punto giusto per poter penetrare la moglie, in una ficcata che forse da un sacco di tempo non avveniva tra loro. Un prolungato “Ooooohhhh!” di Fausto accompagnò quella entrata facile e veloce. Fausto si rilassò e …venne. Neppure il tempo di arrivare bene fino in fondo.
Ah. Ecco, avevo capito. Da una parte difficoltà erettile, dall’altra eiaculazione precoce. Ecco il segreto di quella coppia, il loro problema, la loro carenza.
Un grosso moto di simpatia mi spinse verso di loro. Mi ripromisi che mai sarei venuto meno a fare del mio meglio per renderli felici.
Lei aveva scopato a sazietà. Lui aveva raggiunto il suo orgasmo, felice di averlo ottenuto dentro la fica della sua adorata Miranda. Io avevo avuto la funzione di un catalizzatore. Però a me era piaciuto, e ne ero felice.
Eravamo tutti stanchi e ci fermammo a riposare. La temperatura perfetta della stanza, regolata da un climatizzatore di gran marca, ci conciliava il riposo, quasi il sonno.
Fausto, per discrezione forse, si alzò e se ne andò in bagno, lasciandoci soli.
“Grazie, Guido. Sei stato magnifico, sia nel farmi godere come piace a me, sia nello avere provocato il piacere di Fausto. Di solito ce ne vuole perché lui si ecciti al punto di poter venire. E, come hai visto, quando ciò avviene, poi non resiste per molto, anzi non resiste proprio per niente.”
“Sono io che ringrazio te, e anche lui, perché mi hai fatto vivere…, mi avete fatto vivere, una esperienza irripetibile e splendida. Tu sei una magnifica giumenta, che farebbe venire un santo ottantenne. E lui, molto intelligente, ha saputo gestire anche il suo desiderio in modo da non impedire il tuo pieno godimento e da godere anche lui non solo fisicamente ma anche psicologicamente, la sua funzione coniugale. La gioia di sentirsi un marito a tutti gli effetti.”
“Siete due persone veramente intelligenti e sagge. Avete realizzato i vostri migliori desideri, senza crearvi dei problemi, senza rischiare incontri pericolosi, con vostra piena soddisfazione e, spero, anche con una certa simpatia e benevolenza nei miei confronti. Tanto da farmi pensare che gradirete di potermi incontrare ancora, tutte le volte che mi sarà possibile raggiungervi.”
“E intanto”, aggiunse lei, “ci godiamo questi tre giorni di festa.” E scoppiammo entrambi in una aperta ed allegra risata.
Grandissima, la mia amica Miranda!
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