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Lui & Lei

Quasi vedovo


di geniodirazza
27.10.2023    |    8.941    |    7 9.5
"Ne faceva molto, in quei primissimi anni; e le sue pulsioni sembravano irrefrenabili e instancabili; in breve, tutte le ragazze appetibili del quartiere..."
Eravamo cresciuti quasi insieme, nel quartiere popolare dove eravamo nati e dove frequentammo l’oratorio della parrocchia sin da piccoli; a quel tempo, la differenza di età pesava molto; io, Rebecca, avevo solo undici anni, i calzini, la coda di cavallo e la macchinetta ai denti, mentre Elia di anni ne aveva sedici e già si spettegolava molto sulle sue ‘imprese amatorie’; pareva infatti che sin dalle prime tempeste ormonali avesse capito e deciso che doveva dedicarsi alle donne e convincerle a fare sesso.
Ne faceva molto, in quei primissimi anni; e le sue pulsioni sembravano irrefrenabili e instancabili; in breve, tutte le ragazze appetibili del quartiere erano passate per i suoi baci e per i suoi contatti sessuali, dallo strofinamento fra le cosce alle fellazioni; in qualche caso aveva praticato anche copule anali, perché uno degli imperativi categorici del tempo era mantenere intatto l’imene fino al matrimonio; per sovrammercato, tutte le ragazze sognavano che arrivasse il ‘principe azzurro’.
Non scampai alla spietata caccia del tombeur di quartiere; quando ebbi sedici anni, lui che ne aveva già ventuno mi inquadrò nel suo personale mirino e nel giro di qualche mese riuscì a convincermi a lasciarmi baciare, toccare la vulva e titillare il clitoride; impiegò ancora qualche settimana per convincermi, poi mi decisi a prendere in mano il sesso e masturbarlo con un certo successo; arrivò anche, con molta pazienza, a farmelo prendere in bocca e succhiarlo con sapienza sempre maggiore.
Mi lasciai leccare a lungo i seni, specie i capezzoli; ma non gli andò bene con il sedere e con la figa; categoricamente mi rifiutai, perché mi premevano alle spalle i discorsi terrorizzanti di mia madre su peccato e inferno; solo se si fosse deciso a sposarmi, gli avrei concesso sesso totale; il matrimonio era totalmente estraneo al suo pensiero e la vagina, disponibile in giro, era così sovrabbondante che fu costretto a rinunciare ad ogni velleità e a dedicarsi ad altre ‘prede’, quasi sempre più facili.
Dopo il diploma da ragioniere, aveva trovato occupazione in una banca che aveva sede in un altro quartiere della città, quello degli affari, di nuova edilizia, che era sorto in posizione diametralmente opposta rispetto al nostro; fu costretto quindi a trasferirsi in un piccolo alloggio abbastanza elegante e ben tenuto; per alcuni anni visse da solo, tornando a casa ogni fine settimana per il cambio di biancheria e per il rifornimento delle leccornie che sua madre preparava appositamente per lui.
Io avevo proseguito gli studi, all’Università, facoltà di Economia, e vantavo anche discreti risultati; il cigno che era nascosto sotto l’anatroccolo degli undici anni era emerso e, appena maggiorenne, mi trovai ad essere la ragazza più bella del quartiere, ambita e corteggiata da tutti i giovani sui venti anni; quando Elia mi incrociò dopo circa un anno rimase a guardarmi a bocca aperta; ricordava benissimo i nostri approcci e fu subito certo che lo ricordavo con amore.
Arrivare a decidere che ero la donna del destino fu questione di pochi mesi; mi trovai di colpo, a poco più di vent’anni, felicemente sposata, in un alloggio piccolo ma molto carino, con l’uomo che per una vita avevo sognato come principe azzurro; il suo stipendio ci consentiva una vita decorosa e non avevo interrotto i miei studi; in capo a tre anni conseguii la laurea con lode.
Elia non aveva abbandonato le sue abitudini goderecce; dopo solo qualche mese dalla cerimonia di nozze, mi trovai a fare i conti con le corna di cui avevo precise notizie da pettegolezzi delle sue compagne di lavoro e dalle amiche che talvolta incontravo al bar; nel tempo, il suo malcostume si fece sempre più chiaro ed aggressivo; premuta sempre dagli insegnamenti bigotti di mia madre, mi era rinchiusa rassegnata nel guscio della casalinga fedele e umile, incapace quasi di reagire al sopruso.
Ovviamente, a fare da contraltare c’era l’insegnamento che mi veniva dal contatto con altri studenti dell’Università; ma, in quella fase, la pressione del bigottismo di mia madre era troppo pesante e il mio senso di devozione a chi mi aveva partorito era troppo vivo per consentirmi di considerare oppressione quella che per mia madre era devozione; sta di fatto che l’assenza di mio marito da casa si fece sempre più frequente e più prolungata; con scuse improbabili passava fuori anche intere settimane.
Addirittura, il giorno che discussi la tesi, lui era fuori sede per una non so che missione in altra agenzia della banca, in una diversa città; la conclusione fu che alla cerimonia assistettero solo i miei genitori, mia sorella e mio fratello; mio padre, forse per stemperare la mia delusione per il pessimo matrimonio, aveva prenotato il pranzo in un famoso ristorante cittadino; il regalo a sorpresa lo trovai nella sala da pranzo del locale.
Mentre ci gingillavamo nell’attesa, per noi troppo lunga, che ci servissero il pasto, si allontanò verso un altro tavolo dove sedevano poche persone; dopo qualche minuto, lo vidi tornare al nostro tavolo in compagnia di un uomo assai giovane, sui trent’anni, molto elegante e compito, che ci presentò come il figlio di un suo vecchio compagno d’armi, proprietario di una ditta produttrice di accessori meccanici e imprenditore di qualità.
A lui presentò sua moglie, mio fratello e mia sorella, ed infine me con l’indicazione che mi ero appena laureata con lode in Economia e che sperava trovassi presto un lavoro congruo; Isaia, come lo aveva chiamato mio padre, mi disse che mi aspettava l’indomani per un colloquio; brindai con la famiglia; ero sicura di farcela; non potei avvertire mio marito nemmeno della novità, perché non avevo notizia di dove fosse; impiegai il pomeriggio a scegliere l’abito da indossare per la prova di idoneità al lavoro.
Il colloquio entusiasmò persino il capo del personale che lo aveva condotto; uscii dal suo ufficio assai soddisfatta di me e grata a mio padre che mi aveva regalato quell’occasione meravigliosa; passai dall’ufficio dell’Amministratore, come si era definito Isaia, e con una delle sue segretarie concordai che avrei preso servizio il giorno successivo, perché molte cose andavano affrontate subito; le chiesi di porgere i miei saluti e i ringraziamenti al capo; mi avvertì che avrei lavorato a stretto contatto con lui.
Mio marito ancora non era tornato a casa e sentivo forte il bisogno di comunicare a qualcuno le importanti novità che erano letteralmente scoppiate nella mia vita; subito prima di cena, mi consentii il ‘lusso’ di andare al bar in piazza, ritrovo solito dei miei amici, per consumare l’aperitivo che talora mi alleviava le difficoltà di un rapporto matrimoniale ormai svuotato di significato e accettato quasi come una via crucis impostami dai miei ‘credo’.
Trovai l’amica carissima Dalila; le raccontai dettagliatamente quanto mi era capitato dalla laurea all’incontro al ristorante fino al colloquio di assunzione; quando le indicai il nome dell’Amministratore dell’azienda, fece quasi un balzo sulla sedia.
“Perbacco; da domani sei la segretaria e consulente del ‘quasi vedovo’!? Se tu fossi un’altra donna, ti obbligherei a sedurlo!”
Mi spiegò che il mio capo era uno dei più arditi e fortunati imprenditori della zona; non aveva avuto una fanciullezza facile, con la perdita dei genitori in giovanissima età; era stato ‘adottato’ da lontani parenti con un figlia più o meno coetanea.
Per farla breve, mi riassunse che era stato, per la ragazza, più che fratello; quasi di necessità, si erano sposati abbastanza giovani; pochi anni dopo il matrimonio, a lei avevano diagnosticato un cancro terribile al pancreas che non offriva molte possibilità di cura o di controllo; in pochi anni era destinata a spegnersi; per questo, era noto a tutti come il ‘quasi vedovo’; naturalmente, tutte le donne della città speravano di impalmarlo, quando fosse giunta l’ora.
La rassicurai che la mia formazione religiosa mi imponeva di pensare a lui solo come capo dell’azienda per cui andavo a lavorare; mi guardò con condiscendenza; si rammaricava proprio perché sciupavo la mia bellezza con un caprone indegno di qualunque rispetto e neppure mi prefiguravo una qualche possibilità di incontro con un uomo di tanto fascino; la mandai scherzosamente al diavolo, ma il tarlo entrato in testa lavorava intensamente.
Sin dalla presa di possesso della mia scrivania, mi resi conto che il gossip, intercalato alle comunicazioni di servizio, mi avrebbe in breve dato il quadro generale della situazione; appresi che la proprietà dell’azienda era della moglie di Isaia, la signora ammalata, che lui era solo Amministratore e che era determinato e implacabile, ma mancava di creatività e di improvvisazione; il posto che mi avevano assegnato era appunto quello di consulente per quelle funzioni.
Nel giro di tre mesi ero padrona del ruolo e delle competenze; più volte mi presi elogi per iniziative prese, risultate felici e produttive; il metro della fiducia era la distanza della scrivania da quella enorme sua; in capo a sei mesi, la mia scrivania era attaccata alla sua e mi volle accanto nei momenti topici per consigliarlo sulle scelte; ero felice della piega del mio lavoro; più di tutti, fu contento mio marito che sfruttava le mie entrate per le sue esagerazioni; la mia passione diventò il ‘capo’ che adoravo.
In una riunione plenaria dei dirigenti dell’azienda, Isaia annunciò che, di lì a una settimana, si sarebbe tenuta, in un albergo della pedemontana, una convention delle aziende di settore, con l’intento di scambiare esperienze, progetti e contratti; l’occasione era ghiotta, per sottoscrivere appalti e proporre novità; la nostra azienda era rappresentata dallo stesso capo; ad accompagnarlo era necessaria una persona che gli facesse da assistente; Isaia mi parlò chiaro.
“Senti, Rebecca; so che avresti molte difficoltà ad accettare questo ulteriore incarico; ma ti rendi anche facilmente conto che è un passaggio importante per crescere; se non puoi, faremo un’altra scelta; se credi di poter accettare di stare fuori un fine settimana, sappi che tutti saremmo felici di vederti impegnata in una dimensione più alta ... “
“Capo, perdonami ma mi prendi assai alla sprovvista; innanzitutto, io non ho esperienza di alberghi; passare un fine settimana in uno dei più lussuosi e prestigiosi della regione mi da angoscia; aggiungici che non ho un abito adeguato alla struttura e che non so passarmi il rossetto meglio di come faccio adesso, senza molto garbo; sarei un pesce fuor d’acqua in quel consesso ... “
Isaia interpellò quelli tra i dirigenti che sapeva quanto mi stimassero, come donna e come impiegata; parlò il più anziano.
“Ragazza straordinaria, tu hai dimostrato nei fatti che apprendi subito, metti a frutto quello che impari ed hai un talento naturale; sarai la spalla dell’imprenditore più agguerrito e determinato che esista; sarai bellissima perché ci penserà l’azienda a fornirti il necessario; ci sarà molto imbarazzo in chi vorrà stabilire se sei la donna con un cavaliere affascinante o se è il nostro amministratore ad avere a fianco la consulente più meravigliosa del mondo.
Quello che non hai la faccia tosta di dire è che temi la reazione di tuo marito; questo viaggio è una missione a tutti gli effetti e comporta una diaria interessante e un fuoribusta ancora più consistente; tuo marito neppure si accorgerà che non ci sarai, visto che già adesso non vi incontrate neppure per errore; se vuoi il mio parere, l’unico mio timore è che possiate tornare innamorati, visto come vi guardate languidamente già adesso.”
L’ultima battuta suscitò la generale ilarità e Isaia fu costretto a placare gli animi rassicurando che eravamo tutti e due sposati, entrambi con problemi di diversa natura, ma senza fisime per la testa; mi sconvolse invece il commento che aggiunse ‘poi non vedo che male ci sia ad innamorarsi di una donna bella come Rebecca!’.
Quell’invito fu per me un autentico ‘banco di prova’ per verificare le mie capacità di iniziativa e i talenti necessari; ambedue si rivelarono infiniti; tutto cominciò dal centro estetico dove Isaia mi fece affidare ai tecnici che vi lavorarono e che si dedicarono al mio corpo come ad una statua da modellare secondo una loro idea di bellezza; dopo essere passata per massaggiatori, manicure, parrucchieri e altri addetti, scoprii nello specchio una Rebecca inedita.
Tornai al lavoro bella come non mi ero mai sentita, carnagione limpida e luminosa, acconciatura perfetta, trucco impeccabile, insomma una bellezza in carne ed ossa; mi pavoneggiai con sussiego davanti al mio ‘capo’, felice, in fondo, di avere scoperto in me una donna affascinante e desiderabile; la luce nei suoi occhi mi disse che forse il vecchio dirigente non si era sbagliato e che non ero solo io a guardarlo con ammirazione e forse con amore.
La sensazione di incanto crebbe quando, a carico dell’azienda, uscii dalla boutique con abiti di sartoria per me improponibili fino a quel momento, comprese scarpe e borse abbinate; mi muovevo come in un sogno straordinario e prendevo coscienza, progressivamente, delle enormi possibilità che mi si aprivano, di costruirmi una realtà opposta a quella dell’angelo del focolare che mia madre aveva disegnato e mi aveva proposto, anzi imposto con un’educazione bigotta.
Non pensavo affatto, in quel momento, di voler affascinare il ‘quasi vedovo’ come aveva profetizzato, con un po’ di perfidia, la mia amica Dalila; ma decisamente, mentre mi pavoneggiavo davanti a lui che non smetteva di ammirarmi con un sguardo dolce negli azzurri occhi acquosi, l‘idea di cambiare il mio infedelissimo marito arrogante con un uomo di grande classe e di fascino irresistibile non mi sembrava molto peregrina, quando fosse rimasto vedovo; in mezzo c’era un divorzio difficile da gestire.
Per il momento, mi preoccupavo solo di tenere bene in considerazione l’impegno di spesa dell’azienda per mettermi in condizione di ben figurare; ottenere il massimo dei risultati alla convention diventava un punto d’onore; ma sapevo che ce l’avrei fatta, a costo di imparare in fretta i trucchi della fascinazione e della concupiscenza ed impegnandomi a conquistare il mio ‘capo’, l’uomo che, in quel momento, per me riassumeva l’ideale di vita.
Partimmo con la sua macchina nella mattinata di venerdì, ci fermammo a pranzo lungo strada e fummo all’albergo nel primo pomeriggio; in serata era prevista l’apertura dei lavori e la cena; sfoggiai il primo degli abiti messi a mia disposizione e sbancai l’assemblea con il mio fascino; dopo qualche timido approccio, suggerii ad Isaia alcune scelte opportune; si confermò nel giudizio e mi sorrise, mentre dietro la tovaglia della tavola mi stringeva la mano con complicità.
La cena risultò deliziosa non tanto e non solo per le pietanze estremamente raffinate previste dall’organizzazione, ma per il cerimoniale complessivo che imponeva una ‘recita’ di tutti, delle dame per fare sfoggio di fascino e di capacità di concupire e degli uomini non solo per esibire ricchezza ma anche per conquistare rapporti e commesse.
Nella meraviglia generale, feci la parte del leone, conquistando, col fascino personale, alleanze e proposte di collaborazione, per la società che rappresentava la nostra azienda, con illustri e corteggiati invitati, specialmente di ditte straniere scelte per creare joint venture con ditte italiane; ottenni anche che fosse affidata a noi la leadership delle iniziative che arrivavano a progetti per nuove autostrade e centri commerciali in tutta Europa.
Più volte, Isaia ebbe occasione di congratulasi con me, quando gli consegnai risultati che molti giudicavano inarrivabili; per mia parte, gli chiesi come mai non agisse in nome e per conto della nostra azienda, ma facesse riferimento ad una società di cui non avevo dati precisi; mi pregò di glissare per il momento su questo aspetto; poi mi avrebbe spiegato in privato; l’atmosfera di complicità che la risposta instaurò mi spinse ad ammirarlo di più e sentii di essere assai vicina all’amore.
Quando il fervore della serata andò scemando e ci si rese conto che il grosso delle iniziative era stato realizzato, la sala cominciò lentamente a svuotarsi, perché molti dei convenuti erano lì con amanti ed escort con cui avevano in mente di passare ore ben più calde ed interessanti; pochi erano accompagnati da mogli ed erano i più giovani, che intravedevano una notte brava.
Di colpo mi trovai con Isaia davanti alla porta della camera destinatami; prima ancora che riuscissi ad aprire, mi colse la voglia di non chiudere lì la serata; la coscienza mi rimordeva, davanti ad una ipotesi di tradimento fuori dalla mia mentalità; ma la voglia di celebrare in bellezza una giornata di confidenza, di intimità a malapena soffocata, di successi professionali arditi e di una complicità che sapeva già tanto di intesa e di sintonia, mi spingevano a saltare il fosso; colsi la scusa più plausibile.
“Isaia, mi spieghi adesso cosa significa l’attribuzione dei contratti a quella società?”
“Rebecca, se vuoi, vuoto il sacco completamente; ma, se ti dico tutto, sarai inevitabilmente mia complice in una manovra al limite della legalità; per farlo, dovremmo essere in totale fiducia reciproca e in intimità ideale, se non fisica; te la senti di osare?”
“Dolcissimo capo, tu non mi porti fin qui, in questa bolgia infernale, a distruggere tutte le mie verginità professionali e sociali per lasciarmi poi a guardare come una osservatrice; se mi hai voluto con te, ho il diritto di credere che sono qualcosa di più dell’assistente; sono io che ti chiedo se te la senti di affrontare con me una situazione difficile e trasgressiva, sapendo esattamente cosa mettiamo in gioco entrambi ... “
“Senti; io non posso e non voglio lasciare sola mia moglie nelle sue condizioni di salute; quando ci lascerà, soffrirò e spero di averti vicino per superare il momento; ma solo allora potremo parlare di vivere insieme; fino a quel momento tu dovrai accettare di essere la donna che amo, ma vincolato dal matrimonio e dalla vita di mia moglie; tu sarai libera di tenere in vita il tuo matrimonio o di romperlo e vivere con me, dopo la fine di Sara; hai bisogno di altri elementi?”
“No; ci ho pensato per tutto il viaggio, ma da mesi ci sto riflettendo; voglio rinascere, liberarmi dalla schiavitù a un caprone donnaiolo e perfido che non si cura di me più della sedia su cui si siede senza guardarla; posso, voglio e devo lasciarlo e vivere da sola; se lo posso fare con la certezza della tua presenza, non ho bisogno di ulteriori elementi di motivazione; tu vivrai accanto a tua moglie assistendola come è tuo dovere; io starò in attesa che possiamo urlare al mondo il nostro amore.
Quando sarai convinto che possiamo essere una coppia, non avrai bisogno di chiederlo; se non ne sentirai il bisogno, vivrò da sola o forse con un figlio che chiederò a te, prima di tutti o, se tu andrai via, ad un uomo che amerò come adesso amo te; chiarita la parte ufficiale del nostro rapporto, che ne dici di spiegarmi cosa è questa strana società e che funzione deve avere?”
“Amore mio, lascia che lo dica ad alta voce sin da adesso, dopo averlo soffocato per mesi; le cose sono intrecciate; se tu decidi di rompere il matrimonio, io sarò al tuo fianco anche formalmente, come difensore della mia meravigliosa assistente; se vuoi andare a vivere da sola, c‘è un miniappartamento che finora mi è servito per fare l’amore ogni tanto con una donna disponibile; se lo vai ad abitare, diventa la nostra alcova; se mi dai un figlio diventa la nostra casa e cancella tuo marito e il matrimonio.
Io ti voglio con me, come moglie, non appena la vita ce lo consentirà, purtroppo con la morte inevitabile di Sara; la società di cui non sai è una recente costruzione realizzata da me con alcuni amici fedelissimi; comprende la nostra azienda attuale ed una sconosciuta, presa ad un’asta giudiziaria per pochi soldi; sarà quella a crescere, sotto la tua guida, e assumere i lavori importanti.
Quando Sara se ne andrà, purtroppo il capitale attuale sarà oggetto di assalto da parte degli avvoltoi e delle iene che si annidano nella sua famiglia, fino ai cugini di chissà quale grado; immagino che tu sappia che la nuda proprietà è di Sara e, alla sua morte, tutti si proclameranno eredi ed io perderò ogni diritto; in pochi mesi, perché a mia moglie non resta molto tempo, tu dovrai far crescere la nuova azienda fino a renderla maggiore di quella attuale.
Spero che non ti senta usata per i miei giochi di potere, perché le due cose non vanno insieme ma parallele; adesso ci puoi aggiungere che il figlio che avrai sarà anche il nostro erede legittimo e il patrimonio che sapremo realizzare sarà la sua dotazione per sempre; forse parlo un linguaggio troppo arido e poco amoroso, ma ci siamo imbarcati in questa considerazione e voglio che tra me e te tutto sia sempre limpido e sincero.”
“Isy, mi stai chiedendo di tornare in città come tua amante e di andare ad occupare la tua garconnière per viverci da sola e riceverci il tuo amore finché non avremo un figlio che sarà la mia nuova famiglia e la mia nuova realtà? Vuoi che io diriga la nuova azienda finché non potrai uscire allo scoperto e prendere tu le redini? Vuoi che dopo la morte di Sara ci sposiamo e cerchiamo di essere felici? Posso illudermi che questo sia il giorno delle nozze col principe azzurro e che stanotte avrò la mia luna di miele?”
“Certo che puoi, anzi devi! Se sei con me, sono felice di essere il principe dei tuoi sogni, di diventare il tuo amore infinito e il padre di tuo figlio; tutto il resto verrà in conseguenza; un’ultima raccomandazione; non farti demoralizzare da eventuali minacce di tuo marito; ho abbastanza potere sociale ed economico per metterlo a tacere con qualunque mezzo, fino alle aberrazioni peggiori; per difendere il mio amore, non uso morale ed opportunità; mi basta sentire che sei innamorata come me!”
“Portami in braccio sul letto; lo fece mio nonno con mia nonna; non so e lo ha fatto anche mio padre con mia madre; io non sono più vergine, ma con te mi sento nuova e pura; se non ho capito male certi discorsi, ancora puoi abbondantemente sverginami altrove; quel caprone di mio marito era talebano con me e libertino con le altre; tu hai ancora la possibilità di una moglie inesperta e quasi ignorante, starà a te erudirla e farla tua in tutti i sensi.”
Quando entrammo nella camera da letto, ci baciammo con una tenerezza ed una dolcezza che ci fece letteralmente sciogliere; mentre ci toglievamo vicendevolmente i vestiti, uno ad uno, Isaia mi portò al letto e mi sollevò per adagiarmi delicatamente, come sempre avevo immaginato si facesse con una sposa vergine; salì in ginocchio col sesso ritto contro il ventre e mi si stese vicino, supino come me; fui io a tirarlo addosso e a sentire subito l’asta fra le cosce.
Dovetti quasi assumere io l’iniziativa di guidare la cappella alla vagina; lui si limitava a ricoprirmi di baci dolcissimi su tutto il viso e quasi non azzardava scendere sui capezzoli; insomma, fu una vera e propria deflorazione, anche se da anni ormai non ricordavo più di essere stata vergine; nudi uno sull’altro, per la prima volta di fronte, ci sentimmo verginali davvero e la penetrazione fu lenta, quasi impacciata, accompagnata solo dai miei gemiti che divennero forti quando l’asta colpì l’utero.
Mi montò a lungo, dolcemente, cercando di scatenare la mia e la sua libidine nella maniera più delicata, con le coccole più che con l‘assalto; sentii la mazza occupare il mio corpo e lasciarsene imprigionare come in un lento e deciso processo di fusione; mai nella vita avevo avvertito così netta la compenetrazione tra due corpi; pareva quasi un solista che realizzasse un concerto suonando il più antico degli strumenti, il corpo umano.
Rispondevo allo stesso modo, vibrando in tutte le fibre del corpo e armonizzando il mio piacere al suo, i miei movimenti ai suoi; quando si fermò impiantato in me e mi sussurrò dolcemente il suo amore, fui io a tirarmelo addosso e a fare picchiare la punta del sesso contro la testa dell’utero, per sentire la forza della sua virilità; avrei quasi voluto urlargli di sfondarmi, ma il ricordo di mio marito che picchiava duro nel ventre mi fermò; non era quello che volevo.
Il desiderio più intenso, a quel punto, diventava suonare con lui la stessa armonia, continuare a far vibrare i nostri corpi ma usando l’asta come uno strumento vivo da sollecitare con le mani, con la bocca, con la vagina, con i seni, con tutto il corpo come avevo sentito che facevano altre, più trivialmente, o avevo visto su giornali porno; proprio la naturalezza del desiderio mi diede la spinta a ribaltarlo sotto di me e a montargli sopra.
Avevo già altre volte montato alla cavallerizza mio marito; ma non si trattava più di farmi violentare la vagina dalla mazza usata come un maglio; ero io che strofinavo le grandi labbra sull’asta ricavandone goduriosa libidine e strappandogli un piacere che leggevo nelle smorfie del viso e nei gemiti dolci; mi sfilai da lui, presi l’asta in mano e cominciai a manipolarla; avevo talvolta praticato ingenue masturbazioni ai coetanei al mare; ma ora desideravo far vibrare l’asta come una canna d’organo; lo feci.
Capì che chiedevo una partecipazione paritaria e si abbandonò alla mia scarsa capacità di fare sesso; gli sussurrai che mi piaceva da morire ma che non avevo esperienza, che ero quasi vergine a certe pratiche; ‘sverginati come e dove vuoi’ mi rispose e fui felice; era questo che chiedevo ad un uomo che mi amasse veramente; copulare insieme, di intesa, e fare tutto quello che il cuore ci dettava; a quel punto ero pronta a dargli tutto, mani, seno, bocca ed anche l’ano, se ci fossi riuscita.
Temevo, per una piccola parte, di concedere troppo ad un amore giovane e non sperimentato; ma Isaia mi incuteva il massimo della fiducia e, forse, era a me stessa che concedevo tutto, usando lui come partner felice della mia esperienza; quando gli chiesi di sedersi su di me supina, non ebbe chiaro immediatamente il mio intento, ma lo fece; quando avvolsi il fallo tra i globi del seno, lo vidi sollevare gli occhi al cielo, estatico; fui felice di fargli possedere quella mia verginità e godetti subito.
Mi sentii improvvisamente libera e felice di concedermi ad una voglia desiderata e non imposta, capii che c’era tantissimo amore nella lussuria che mi concedevo con un rapporto trasgressivo da me altre volte subito da mio marito; forse dovevo sperimentare anche altri percorsi e stavolta lo avrei fatto con gioia, senza l’ansia da violenza che il comportamento di Elia imponeva; mi sganciai dalla copula tra i seni e scivolai lentamente sul suo corpo, baciando e leccando tutto, dai capezzoli al pube.
Mi fermai esitante davanti all’asta ritta al cielo che intanto tenevo delicatamente in mano e masturbavo a casaccio; capì la mia inesperienza e mi guidò con dolcezza; manovrò il mio polso e sentii un piacere infinito invadermi il ventre; quasi avesse colto il senso delle mie difficoltà, quando accostai il viso alla punta dell’asta, mi prese le gote tra le mani e accompagnò la bocca che scivolava verso la mazza.
La prima sensazione fu di stupore, quando sentii la dolcezza serica della cappella sulla bocca; aprii delicatamente le labbra e lasciai scivolare dentro l‘asta; la accompagnavo con la punta della lingua che lambiva la cappella tutto intorno; fissai gli occhi nei suoi e vi lessi amore e complicità; spinse delicatamente il capo verso il basso e lasciai che il fallo entrasse nella bocca, lungo il palato, fino a che la punta toccò il velopendulo.
Mi suggerì di succhiare e di copularmi in bocca, se volevo provare piacere; mi indicò anche di tenere in mano la parte dell’asta fuori dalle labbra per regolare la penetrazione; infine, mi consigliò anche di manipolarmi la vagina per godere con lui; scoprii la lussuria immensa della fellazione come intimità condivisa, piacere che reciprocamente ci davamo attraverso il fallo che giocava con la bocca; mi fermò, quando si rese conto che rischiava un orgasmo precoce; lo baciai sulla bocca.
“Amore, è la prima volta che lo faccio .. “
“Me ne sono reso conto; se ti da piacere come ne da a me, continua; altrimenti fermati perché non è necessario praticare tante forme di copula … “
“Sbagli; adesso so che è più intrigante fare l’amore nelle maniere che ho sempre considerato ‘diverse’; ora sono io che ti voglio dappertutto; ti chiedo solo amore, anche nei rapporti sessuali; che siano manifestazione del piacere di stare insieme e di amarci.”
“Faremo tutto quello che il cuore ci detta, non preoccuparti!”
“Ti va di farmelo sentire nel ventre, ma da dietro? Mi piacerebbe essere posseduta dalle spalle mentre mi titilli i capezzoli … “
Mi sistemai carponi e guidai io stessa il batacchio alla vagina; lo sentii entrarmi fino in fondo, quasi nello stomaco, ed urlai di piacere, di gioia, di libidine; mi montò a lungo, trattenendo l’orgasmo; gli sussurrai che se voleva, adesso me la sentivo anche di provare la penetrazione anale; non volle perché, se poteva cogliere una verginità così delicata, voleva farlo in un momento più significativo di un primo incontro; capii che non pensava ad un’occasione unica e che a quel punto il salto era decisivo.
Mi rovesciò supina e si fiondò sulla vulva a succhiare e leccare; il suo cunnilinguo era un autentico concerto per strumenti vari; sembrava quasi che dirigesse un’orchestra e cercasse i movimenti giusti per stimolare una parte del mio apparato sessuale; le mani tenevano stretti i capezzoli e li titillavano con forti brividi di piacere; spostò una delle mie sul clitoride perché partecipasse alla sua copula e unissi la mia al coro di armonie che realizzava sul sesso.
Mi trasportò di peso sopra di lui e realizzai quel sessantanove che quasi ignoravo; dovetti imporgli l’alternanza tra funzione attiva e passiva, per non disperdere il piacere nella stimolazione contemporanea; raggiunsi innumerevoli orgasmi mentre mi succhiava vagina e ano; gli diedi tutto il piacere che potevo, succhiando asta e testicoli, leccandolo tutto, fino all’ano che reagì con scariche di piacere.
Passammo la notte a copulare in tutti i modi e in tutte le posizioni; sembravo essere diventata una insaziabile divoratrice di sesso, ma ero soltanto innamorata di lui, del piacere che mi sapeva dare e del corpo che adoravo sempre di più; riuscimmo anche a dormire qualche tempo, perché avevamo impegni, il giorno seguente; per la prima volta nella mia vita, mi risvegliai accanto ad un corpo amato e desideravo prendere in bocca quel sesso; lui mi fermò perché era la falsa erezione del risveglio.
Il fine settimana fu un autentico trionfo, per noi, che portammo a casa accordi internazionali decisivi per la crescita dell’azienda e per il decollo della nuova struttura; ma furono sopratutto notti di fuoco per il sesso, in cui raggiungemmo un’armonia che nel matrimonio non avevo nemmeno intravisto; il rientro in sede fu quasi il trionfo di un antico imperatore; accanto ai risultati ottenuti per l’azienda, pesavano quelli per la società; a me arrivò attesa ma non prevista l’assegnazione della garconnière di Isaia e la separazione da Elia che non fu semplice né indolore.
Per l’attività professionale, ormai ero il braccio destro e l’ombra di Isaia che si affidava a me per incarichi anche molto delicati; lo staff intero accolse con entusiasmo le conquiste ottenute e con gioiosa partecipazione la notizia che, liberatami dal matrimonio, anche se solo con la separazione, ero diventata quasi ufficialmente la ‘donna del capo’; la nuova società e l’azienda acquisita rimasero per poco un oggetto misterioso; poi tutto venne a chiarezza e fu accettato con piacere specialmente da quelli che temevano per il loro futuro, alla dipartita di Sara.
Il capitolo della separazione fu il più difficile e doloroso; Isaia si era veramente innamorato di me e non esitò a minacciare di ricorrere a tutto il suo potere, anche le intese con forze occulte della società, se Elia non si rassegnava a lasciarmi andare e ad accontentarsi di una sorta di ‘buonuscita’ in danaro che il mio ‘capo’ non esitò a tirare fuori di suoi conti segreti; io ormai ero solo per lui e non aspettavo che di rimanere incinta per sancire la nostra unione con un figlio che la cementasse.
La buona notizia me la diede circa sei mesi dopo il ginecologo che, ad un ecografia di controllo, rilevò che nel mio ventre si agitava un embrione di una quindicina di settimane, in condizioni ammirevoli di salute; quando lo comunicai ad Isaia, fece portare immediatamente dolcetti per tutto l’ufficio, la paternità di nostro figlio divenne ufficiale a poche settimane dal concepimento; la domanda del mio uomo mi spiazzò.
“Te la sentiresti di andare insieme a comunicarlo a Sara o avresti problemi?”
“Isy, io non ho nessuna remora a parlare con Sara, anche lealmente e di temi delicati; lei credi che lo accetterebbe?”
“Rebby, io non ho mai nascosto niente a mia moglie; sa tutto di noi, di te e del bambino che vogliamo; sa anche della società costituita per creare un fossato contro gli avvoltoi della sua famiglia; non devi pensare a sotterfugi o ad allusioni misteriose; puoi essere con lei leale come sei con me, credimi!”
“Benissimo, fissa un momento e andiamo a parlarle di noi!”
“Ti amo; e non dovrò tacerlo davanti a Sara; lei vuole lasciarci con la certezza che qualcuna si occuperà di me, quando non ci sarà più; non so se ti farà una radiografia, ma sono certo che desidera conoscerti per sua serenità, non per la curiosità di vederti.”
L’incontro con sua moglie, malata ormai terminale, fu la cosa più dolce che avessi mai potuto immaginare; era perfettamente al corrente, nei particolari addirittura, della nostra storia e del figlio che avevamo scelto di avere; si augurava solo di poterlo abbracciare, prima della fine; raccomandava a suo marito di amare quel bambino e sua madre come le cose più preziose della vita; le promisi che anche nel ricordo lei sarebbe stata la ‘madre putativa’ del bambino, da chiamare Sara o, alla peggio, Saro.
Per quanto riguardava il lavoro, la rassicurai che la nuova azienda, di cui mi sarei occupata io e che avrebbe rilevato la massima parte del lavoro, sarebbe stata intitolata a suo nome, per garantire la continuità, già incarnata in Isaia, tra passato e futuro; quando avesse risolto i problemi con i coeredi, Isaia avrebbe assunto la responsabilità piena da trasferire poi a nostro figlio per rendere la ditta ‘Sara Del Vecchio’ invincibile ed eterna.
Le emozioni, nella malata, si sovrapponevano intense e continue, specialmente quando mi offrì andare spesso a trovarla anche solo per prendere un caffè o un te e parlare di tutto, persino per fare del gossip, compreso quello sul ‘quasi vedovo’ e sul suo nuovo amore, pettegolezzo di cui era perfettamente cosciente e del quale le faceva rabbia solo la parte che sottolineava spietatamente la sua fine prossima ventura; era felice di sapere che l’uomo che amava da sempre non era destinato a restare solo.
Di lì a qualche mese, Sara si spense, dopo avere abbracciato e coccolato a lungo il piccolo Saro; Isaia sfogò tra le mie braccia il dolore, si armò di passione e respinse tutti gli attacchi dei coeredi; lavorammo così bene e intensamente che, al successivo convegno industriale, arrivammo insieme, lui in rappresentanza della società che aveva costituito ed io Amministratrice della ditta ‘Sara Del Vecchio’; inutile aggiungere che spopolammo su tutti i fronti, presentano ufficialmente anche Saro, figlio ed erede di quei capitali.
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