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Il giocattolo dello zio - Parte 4


di honeybear
23.04.2013    |    25.647    |    6 9.8
"Vuoto che fu presto colmato dal manico di legno che lo zio mi stava infilando servendosi solo della sua bocca..."
Mi sentivo strozzare da quel bavaglio. I battiti del cuore accelerati all’inverosimile: un nuovo limite era stato superato.
Dovevo riprendere il controllo di me stesso anche se era piuttosto difficile: lo zio mi sovrastava con tutta la sua possenza. Sentivo il suo pelo caldo e sudato scivolare sulla mia schiena inumidendola, parimenti il suo uccello, ancora bagnato dei nostri umori, si masturbava instancabile tra le mie natiche riprendendo vigore. Le sue mani erculee infine, giocavano con i miei capezzoli: stretti tra due dita li tiravano, li contorcevano, mi strizzavano il petto.
Chissà a quale punto di non ritorno saremmo giunti stavolta…
Mugolai per il dolore e per il senso di soffocamento. Per tutta risposta lo zio mi spinse violentemente contro i cassetti del tavolo: era lui come sempre, a condurre il gioco.
Capii di dover tacere e continuare ad assecondarlo
“Adesso sei la troia dello zio! Vero che lo sei?” mi bisbigliò in un orecchio prima di passarci la lingua e di soffiarci all’interno. Le braccia non smettevano di sbatacchiarmi contro il tavolo favorendo la mia erezione, in un misto di tormento ed estasi. Tormento perché l’uccello che batteva sul piano ruvido e freddo cominciava a dolermi; estasi perché, ancora una volta, non mi capacitavo del fatto che un uomo potesse offrire ad un altro uomo un godimento simile.
Annuii mentre, strattonandomi per il bacino ed allargandomi le gambe, mi posizionò con il culo a suo favore.
Si muoveva adesso come un toro impazzito: picchiava il suo membro contro le mie natiche mentre le mani perlustravano furiosamente ogni centimetro della mia pelle quasi cercassero qualcosa che già non avessero trovato. La sua mazza, da quanto potevo percepire, era diventata d’acciaio. I colpi, dapprima serrati, si fecero più regolari e lenti riportando l’azione tra i glutei.
La sborrata si riversò nel solco. Sentii la sua mano insinuarsi di taglio all’interno. Saliva e scendeva brutalmente per distribuire in modo uniforme quel caldo nettare tra i miei peli già bagnati.
Al suo seme aggiunse quel poco di birra che era rimasto nella bottiglia riprendendo a massaggiare. Sentivo il liquido colare lungo il perineo e da lì, ai coglioni. Non una goccia ne andò perduta perché le mani rudi dello zio, con movimento sapiente accarezzavano le singole parti reindirizzando quella mistura verso il mio buchetto.
Quando sentii che la lingua aveva preso il posto della mano persi completamente il controllo: ad ogni passata il mio capo si sollevava ritmicamente assecondando l’inarcarsi della schiena.
Il sole aranciato del tramonto credo colorasse in maniera più accesa il rossore del mio viso. Ero letteralmente in visibilio: avvertivo la punta della lingua forzare l’interno dell’ano per lubrificarlo, lo scorrere del naso che si perdeva nel folto dei miei peli grondanti e i denti che provavano ora ad afferrarli singolarmente, ora a mordicchiarmi le chiappe in un valzer senza soluzione di continuità. Io rispondevo a quegli inviti contraendo o rilasciando lo sfintere bagnato, quasi fosse una bocca pronta ad accogliere una lingua calda con cui scambiare un lunghissimo bacio appassionato o un dito da succhiare con voluttà.
Abbassai la testa sul petto mentre le mani forti dello zio continuavano a giocare con le mie chiappe aprendole e chiudendole fino al limite del dolore, per intrufolare la lingua birichina, sculacciare le natiche, tirarmi e massaggiarmi il perineo. Era instancabile. Con il suo respiro affannoso ed eccitato infine si sollevò avvinghiandomi a sé. Prese a baciarmi il collo con la consueta foga mentre le mani cercavano convulsamente qualcosa sul ripiano del tavolo.
Scelse così il nuovo gioco: era un piccolo manico in legno a forma tronco conica.
Me lo fece sentire premendolo contro il buco del culo. Cominciai a sudare freddo: l’oggetto non era grande ma grande sarebbe stato l’effetto prodotto su di me.
Lo passò e ripassò all’altezza del naso; me lo strofinò sulle labbra.
Deglutii.
Avvicinò la sua faccia alla mia. Sentivo la sua barba ispida sulla guancia mentre i miei occhi sbarrati assistevano all’azione:
“Ti piace questo nuovo gioco? Eh, ti piace? Io dico di sì… - sussurrò deciso - Se alla mia troia non dovesse piacere, lo cambiamo con un altro… Anzi lo cambiamo subito!”
Scelse un manico leggermente più grande (forse quello del falcetto con cui mi strappò l’intimo), lo ingoiò e prese a succhiarlo come avevo fatto io con il suo uccello.
Lo avvicinò nuovamente al mio ano passandoglielo intorno, alternando le sue dita: una, due che, bussando a quella porta, desideravano di dar vita al nuovo supplizio.
Il pollice infine varcò la soglia. Prima la punta e poi, faticosamente, tutto il resto. Le contrazioni che involontariamente producevo non aiutavano l’azione ma non potevo farne a meno: il dolore mi picchiava in testa allo stesso modo del piacere provato. Solo mi domandavo quando il primo sarebbe svanito lasciando definitivamente il posto al secondo…
Sapevo di non poter gridare; picchiai i pugni sul tavolo soffocando le lacrime e stringendo con i denti il mio bavaglio ora intriso anche della mia saliva.
“Fa un po’ male vero? Ma quando ti sarai abituato ti piacerà te l’assicuro… A tutte le zoccole piace sentirlo in culo, e tu non fai eccezione vero?”
Assentii ad occhi chiusi; scese una lacrima che solcò la guancia contro cui era tornato ad appoggiarsi. Sorrise e la leccò, poi s’infilò nuovamente il manico in bocca. Il suo viso scomparve nel momento in cui anche il secondo pollice entrò, gareggiando con il primo ad allargare quel piccolo anello che, vergine fino a pochi istanti prima, ora s’immolava alla causa del piacere e della lussuria. Sentivo le pieghe dell’ano dilatarsi, strapparsi quasi. E tuttavia ogni intrusione diventava via via meno dolorosa, anestetitzzata in parte dalla saliva generosamente fornita dalla lingua dello zio. Il mio uccello pulsava, la mia testa pulsava… Il piacere mi avvolgeva completamente. Quel gioco morboso dello zio mi riempiva di sensazioni che, credo, non sarei mai stato in grado di descrivere completamente. Socchiusi gli occhi reclinando ancora una volta il capo decidendo di godere appieno di ogni istante.
Improvvisamente mi sentii solo: le dita che avevano rovistato dentro di me fino a quel momento avevano lasciato il vuoto. Vuoto che fu presto colmato dal manico di legno che lo zio mi stava infilando servendosi solo della sua bocca.
Si arrestò fino a che le sue labbra non sfiorarono la mia pelle: entrò quasi completamente con una facilità maggiore di quella delle dita, permettendo al mio buco di dilatarsi ulteriormente. Sentivo che qualcosa dentro di me contribuiva a lubrificarlo. Sospirai sentendo quel pezzo di legno ben piantato nelle mie viscere.
Ebbi appena il tempo di assaporare quella nuova sensazione che la mano possente dello zio mi strinse i coglioni sollevandomi di peso sopra al tavolo facendo in modo di mantenermi con i gomiti ben piantati ed il culo all’infuori.
Riprese a giocare con il manico, quasi fosse stato la punta di un trapano che praticava un buco nel muro. Lentamente lo estraeva ruotandolo, descrivendo cerchi sempre più ampi. All’inizio non arrivava mai a toglierlo del tutto, limitandosi a ricacciarlo nella tana applicando una forza maggiore. Quando invece lo estraeva completamente, prima di ripiantarmelo dentro, sputava sull’ano, allargava al massimo le chiappe e con un rapidissimo gioco di lingua distribuiva il liquido, per poi reinserirlo sempre con una decisa rotazione.
Infine lo sfilò del tutto. Ancora una volta ebbi la sensazione di essere lasciato solo.
Il sole era definitivamente tramontato e la luna stava prendendo il suo posto: era una notte di luna piena.
Ruotai gli occhi per cercare la sua presenza. Il buio che cominciava a calare m’impediva di vedere bene all’interno della stanza. Misi una mano alla mia erezione cercando di trovare un po’ di pace. Una mano più forte la spostò e si mise a massaggiare al suo posto prima di spostarmi, sistemandomi completamente sul tavolo.
Lo sentii salire a sua volta. Lo sentii montarmi sopra e inondarmi con il suo calore umido prima si schiacciarmi completamente contro il massiccio ripiano. Si strusciò a lungo solleticando con tutto il suo pelo ispido e madido di sudore la mia schiena liscia e anche’essa bagnata:
“Adesso togliamo il bavaglio dalla bocca, così la mia puttana potrà esprimere tutto il suo piacere” sibilò leccandomi ogni centimetro del viso mentre, con una delicatezza che non gli riconoscevo, mi liberava da quell’improbabile museruola.
Nello stesso istante in cui l’ultimo lembo di stoffa usciva dalla mia bocca, la sua cappella superò il nuovo punto di non ritorno: la lasciai entrare senza la minima fatica. Ringhiò soddisfatto.
Il resto del suo uccello enorme la seguì in un attimo impalandomi completamente.
Mi lasciai andare ad un lungo, infinito gemito. Mi passai la lingua sulle labbra: il dolore che mi batteva in testa, aveva lasciato definitivamente spazio ad un piacere che non avrei mai creduto di poter provare. I colpi si susseguivano decisi, al limite della violenza.
“Zio ti prego… Ti scongiuro… Non smettere… Non ti fermare…” Che frase superflua! Sciocca… Era evidente che nessuno dei due avrebbe voluto fermarsi. Mai!
Cercavo la sua bocca per baciarla. Il mio desiderio venne prontamente esaudito: le lingue si rincorrevano frenetiche mentre le labbra si mordicchiavano senza sosta. Sentivo il ritmo dei suoi coglioni che battevano sulle mie chiappe ed il pelo pubico solleticarle.
La cavalcata proseguì a lungo e quel po’ di dolore che ancora provavo divenne un elemento imprescindibile del piacere. Lo moltiplicava, lo esaltava, mentre dall’interno delle mie viscere si diffondevano ondate di calore che, se possibile, accendevano ancor di più il mio corpo.
Non avrei retto più a lungo, ma le spinte dello zio divennero più rapide e violente. Si sollevò in ginocchio trascinandomi con lui continuando ad incularmi e a masturbarmi. Io cercavo ancora la sua bocca: non mi sarei stancato mai di baciare quelle labbra carnose che sapevano di buono mentre accarezzavo i suoi capelli.
I nostri corpi si stagliavano contro il vetro trasparente che faceva entrare il bianchi raggi della luna disegnando il nostro gioco d’ombre sul pavimento.
Il dolore salì ancora un poco mentre il piacere dello zio esplodeva stordendomi. Sentii la sua scarica nel culo, interminabile come le spinte. Rimase così, dentro di me. Immobile. Ricominciò ad accarezzarmi l’uccello ed i coglioni. Erano carezze brutali, che indolenzivano, ma pochi colpi furono sufficienti ed il mio seme sgorgò con un getto tanto violento che alcune gocce raggiunsero la mia bocca.
Ci accasciammo esausti. Lui sopra di me. Mi rimase dentro fino a che il suo sesso non tornò completamente a riposo. Scese dal tavolo. Mi prese in braccio per condurmi fuori. Lo stringevo forte baciandolo sul petto.
La luna illuminava i nostri corpi sudati. Si sedette su una delle sedie della tavola ancora imbandita. Rimasi in grembo a lui. Le mie mani premevano contro i peli del suo petto cercando quel calore che fino a quel momento mi aveva negato. Mi baciò sulla testa; dopodichè mi addormentai placidamente, fino a che la sua voce non mi svegliò:
“Sta arrivando qualcuno!”
- CONTINUA -
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