Gay & Bisex

Valentin


di honeybear
13.03.2013    |    12.011    |    6 9.7
"A quel punto ci staccammo e cominciai a baciargli il torace per poi passare ai capezzoli che insalivai per benino succhiandoglieli avidamente e facendoglieli..."
Era una giornata di quelle campali. Avevo cambiato lavoro da poco e mi trovavo in ufficio da solo in quella torrida mattina di luglio. Oltre al caldo dovevo fronteggiare una di quelle tipiche giornate in cui è un continuo rispondere al telefono o aprire il cancello:
“E meno male che siamo in crisi nera… Sembra ci sia la coda di clienti qua fuori! - mi lamentai stizzito – Il prossimo che arriva, giuro che lo mando a cagare!”
Suonò per l’ennesima volta il citofono: risposi seccato e mi alzai per andare ad aprire. Sulla porta comparve un uomo circa della mia età che mi parlò con uno spiccato accento dell’est:
“C’è signora Ivana?”
“No – risposi – E’ nell’altro ufficio!”
“Ah, allora faccio un salto di là. No, perché mi ha chiesto di cambiare lampadina in bagno e mi serve scala…”
“Beata lei…” Mi trovai a pensare.
Non era la prima volta che mi scoprivo a fare pensieri su di un uomo, ma non ero mai andato oltre la mia pura e fertile fantasia. E dato che quello che avevo di fronte non era sicuramente malaccio, non mi fermai!
Alto circa come me (sul metro e ottantacinque quindi. E le similitudini finiscono qui!), un fisico a metà strada tra il calciatore ed il nuotatore con spalle larghe, vita piuttosto sottile, gambe forti e muscolose. Almeno questo era quanto mi era dato di immaginare attraverso una polo stinta ma piuttosto corta ed aderente ed un paio di pantaloncini, altrettanto stinti, che arrivavano al ginocchio lasciando in mostra un polpaccio possente e peloso. Completava l’abbigliamento un paio di scarponcini antinfortunio.
Lo invitaii ad entrare indicandogli dov’era la scala. La prese, uscì e dopo circa mezz’ora fu di ritorno. Subito dopo rientrò anche il mio capo che mi chiese:
“E’ passato Valentin?”
Questo era dunque il suo nome! E continuò spiegandomi che l’uomo era praticamente il suo tuttofare poiché era in grado di accomodare qualsiasi cosa si rompesse:
“Allora le chiedo la cortesia di fargli aggiustare la mia poltroncina! - E gli portai i due bulloni e i dadi che si erano staccati dal sotto della seduta – Sennò rischio di trovarmi con il culo per terra!”
Il mio capo mi disse che nei giorni successivi Valentin sarebbe stato lì spesso dato che doveva sistemare e potare le piante del giardino. Appena terminato quel lavoro si sarebbe dedicato alla sedia:
‘E a magari a me…’ Mi venne da pensare.
Così fu: Valentin arrivava di buon’ora la mattina, si fermava prima di noi per il pranzo e terminava il suo lavoro a metà pomeriggio.
Le giornate erano veramente bollenti e a nessuno veniva in mente che il poveretto là fuori potesse aver bisogno almeno di una bottiglia d’acqua per dissetarsi.
Ci dovetti pensare io! E quel giorno fui particolarmente fortunato perché quando andai ad offrirgli la bevanda mi venne incontro a torso nudo. I peli del petto erano bagnati dal sudore provocato dalla fatica e dal caldo, ma la visione di quell’ammasso di muscoli rivestito dalla pelle che riverberava al sole era divina!
Cominciammo anche a scambiare quattro chiacchiere. Era un tipo piuttosto loquace e simpatico con lo spirito tipico della gente dell’est: molto orgoglioso e preciso oltre che gran lavoratore.
Spesso entrava in ufficio a prendere gli attrezzi nella cassetta del nostro sgabuzzino e qualche volta mi chiedeva di aiutarlo in quei lavori che, secondo lui, era meglio sbrigare in due.
Inutile dire che ogni occasione era diventata buona per spiarlo. Se si abbassava mi eccitavo nel guardargli il culo e nell’osservare quella soffice peluria sopra l’elastico delle mutande, capitava che mi venisse concessa addirittura la vista della riga del culo.
Quando invece era impegnato in cima alla scala e mi chiedeva di dargli una mano, l’occhio indugiava sulla riga di pelo che dall’addome si prolungava nel pube. Naturalmente non tralasciavo di guardargli i polpacci e i quadricipiti muscolosi, ricoperti di quel morbido pelo che bramavo di accarezzare.
Avrei baciato e leccato ogni centimetro di quel corpo! L’unico problema era che lui potesse non essere della stessa opinione. Almeno dai discorsi che capitava di fare: mi parlava della moglie, dei figli e della vita che aveva lasciato in Romania dove, un giorno, sognava di tornare.
Nulla dunque faceva neanche lontanamente immaginare quanto poi accadde…
Trascorse così la settimana intera. Venerdì mattina gli ricordai dell’ultimo compito che l’attendeva: “Sì ma il Dottore non mi ha detto niente…”
Ci rimasi un po’ male. Sapevo che il mio capo non aveva memoria e così mi rassegnai a dover effettivamente pestare il mio culo per terra (o scambiare la sedia con un’altra di quelle in ufficio!). Quell’uomo infatti non obbediva che ai suoi ordini ed io la sera precedente mi ero dimenticato di fargliene memoria.
C’era poi un altro problema: per una serie di disguidi Valentin era rimasto senza chiavi così il pomeriggio non poteva rientrare al solito orario:
“Mi dovresti prestare le tue. Tanto io alle 13,00 sono già qui e quando arrivi ti apro”.
Quel pomeriggio rientrai al lavoro in bicicletta: avevo lasciato i miei vestiti in ufficio per cui mi sarei cambiato lì, rendendomi presentabile. Entrando vidi che c’era qualcuno alla mia scrivania. Era Valentin. Si girò:
“Ti ho aggiustato la sedia. Provala!”
Ero perplesso e felice allo stesso tempo. Perplesso perché mi pareva strano che aggiustasse qualcosa di sua iniziativa; felice perché comunque aveva eseguito la riparazione.
Mi avvicinai pensando che lui si alzasse, invece mi attirò a sé facendomi sedere a cavalcioni sulle sue ginocchia. Eravamo faccia a faccia; si protese verso di me e mi baciò. Il primo fu un semplice bacio a stampo: le nostre labbra s’incontrarono e nulla più. Con il secondo la sua lingua mi scivolò in bocca. M’irrigidii:
“Non ti piace?”
“Non ho mai baciato un uomo prima d’ora” Risposi.
“Nemmeno io...” Così dicendo me ne diede un terzo. Il sapore della sua bocca inondava il mio palato di un gusto leggermente amarognolo (probabilmente aveva bevuto una birra o un nonsoché di alcolico mentre aspettava. Meno male non aveva fumato!). Chiusi gli occhi e lo lasciai fare mentre con le mani accarezzavo i suoi capelli, scendendo lungo il viso, il collo, le spalle senza tralasciare le braccia muscolose. Arrivai sollevargli la maglietta fino a scoprire quel petto villoso che avevo più volte ammirato in quei giorni. A quel punto ci staccammo e cominciai a baciargli il torace per poi passare ai capezzoli che insalivai per benino succhiandoglieli avidamente e facendoglieli inturgidire.
Emise un gemito: credo gli piacesse.
Ebbi la riprova quando sentii che anche nelle zone basse stava avvenendo qualcosa: l’uccello cominciava ad indurirsi tra la stoffa degli abiti ed i miei glutei. Iniziai allora a muovermi lentamente avanti indietro strusciandomi su di lui mentre riprendevamo a baciarci avidamente.
I suoi gemiti continuavano. Le nostre lingue si aggrovigliavano fino a che anche lui non decise di togliermi la maglietta per restituirmi il favore della leccata provocandomi le stesse reazioni sue. Anche il mio di uccello cominciava ad indurirsi e premeva per liberarsi dalla prigionia dei miei slip e dei pantaloncini. Ci pensò Valentin a togliermi d’impaccio: mi fece sollevare, liberandomi da ciò che era inutile. Contemporaneamente iniziò a massaggiarmi il membro partendo dalla radice e risalendo fino alla cappella. Mi guardava sorridendo, un sorriso sornione. Io dovetti resistere con tutte le mie forze alla tentazione di venirgli tra le dita.
Non volevo essere da meno così iniziai ad indugiare con la mano all’altezza del ventre piatto e sodo; lentamente scesi seguendo, con la punta del mio indice, la linea dei suoi addominali fino ad agganciare l’elastico degli slip neri. Lo scostai delicatamente, infilando la mano all’interno: potevo finalmente accarezzare il suo pube e le morbida peluria che lo rivestiva; non mi capacitavo di quanto stava avvenendo. Mi dedicai a massaggiargli il cazzo dopo averlo liberato… più che massaggiarlo iniziai a masturbarlo anche se l’asta di Valentin era ormai dura come il più duro degli acciai!
“Assaggialo…” Mi suggerì.
Non me lo feci ripetere due volte m’inginocchiai davanti a quella nerchia incorniciata da un cespuglio di peli scuri e lucenti perfettamente aderenti al corpo. Li ammirai per alcuni istanti mentre gli sfilavo intimo e pantaloncini lasciandolo completamente nudo con addosso solo gli scarponcini da lavoro.
Avvicinai la bocca alla cappella e m’infilai l’enorme uccello fino in gola. Le labbra dischiuse si arrestarono contro i peli del pube. Rimasi per un attimo senza fiato ed ebbi come la sensazione di essere soffocato da tutto quel ben di dio… Non avevo mai succhiato il cazzo di un uomo tuttavia, in maniera alquanto isitntiva, percorsi con la lingua quell’asta bollente e pulsante soffermandomi a giocherellare con il filetto del frenulo. La mia mano mi aiutava masturbandolo.
Lo sentii bofonchiare qualcosa…
L’ennesima conferma del piacere che gli stavo dando mi spinse ad osare sempre più: mi dedicai interamente alla cappella lucida e ormai talmente rossa da sembrare un enorme rubino incastonato in un lungo scettro d’alabastro. Succhiavo e quando arrivavo in cima, me la toglievo di bocca aspirando con le labbra, mentre con una mano giocherellavo con il pelo dei suoi enormi coglioni per poi passare a quello che rivestiva le sue chiappe sode. Mi fermai incrociando per un istante il suo sguardo di soddisfazione. Gratificato per il lavoro che stavo svolgendo me lo infilai in bocca più in fondo che potei e ripresi a succhiare: su e giù con movimenti ritmici, accompagnando sempre il gesto con la mano.
Non mi permise di condurre il gioco a lungo. Mi appoggiò entrambe le mani sulla nuca comprimendo il mio viso al suo pube: mentre assaporavo il profumo del suo cespuglio iniziò ad imprimere alla mia pompa un ritmo preciso. Stava scopando la mia bocca con il suo cazzo. I movimenti dapprima ritmici e lenti cambiarono repentinamente di frequenza; mi fece capire che era giunto al capolinea: il suo piacere stava per esplodermi in gola!
Io avevo avuto le prime avvisaglie di quanto stava per accadere dal liquido pre-spermatico che risucchiavo con il pompino… Ma una sborrata completa l’avrei retta? A quanto pare sì perché quando il denso fiume di Valentin si riversò a fiotti nella mia gola, lo bevvi senza colpo ferire. Mentre lo ripulivo accuratamente ne trattenni una piccola quantità sulle labbra; mi rialzai e mi divertii a mischiarla con la saliva dei baci che riprendemmo a scambiarci.
Gli presi una mano, abbassandola fino a fargli afferrare il mio pene: era chiaro che volevo mi masturbasse per farmi venire a mia volta. Ma a quanto pare non era dello stesso parere!
Mi fece voltare mantenendomi in piedi con le mani appoggiate alla scrivania:
“Adesso che ho aggiustato la sedia, devi dirmi come si vede il monitor del computer!”
“Ecco, ci siamo: adesso me lo mette nel culo…” Pensai. Ero terrorizzato all’idea poiché ero assolutamente impreparato all’eventualità.
Tuttavia non avevo il tempo di riflettere su quanto poteva accadere. Lui era inarrestabile: sentivo il suo corpo così massiccio sopra di me e la cosa mi estasiava. Mi afferrò dolcemente il mento per farmi voltare:
“Allora come si vede il monitor?”
“Bene” Ma la vista da questa parte è meglio!”
Ricominciò a baciarmi scendendo lungo la mia schiena. All’altezza del culo si fermò per risalire questa volta usando la punta della lingua fino alla nuca. Un bacio delicato per spostarsi lungo il collo verso le orecchie, che prima mordicchiava e poi leccava dolcemente. Con le mani si divertiva invece a titillarmi i capezzoli e ad accarezzarmi dolcemente i peli del petto.
Credo che in qualche modo stesse facendo una mappatura delle mie zone erogene:
“Non resisto! Devo venire…”
“Non fare scherzi! - m’intimò – Non è ancora il momento!”
Riprese il suo massaggio lungo la schiena. Questa volta, quando ridiscese, niente più baci. E non si fermò più all’attaccatura del culo: inizò a mordicchiarmi i glutei, poi mi allargò le chiappe leccando con dovizia le pieghe del mio ano per passare poi a picchiettarlo con la lingua. Quel susseguirsi di colpi leggeri mi mandava in estasi: non capivo più niente. L’unica cosa che sapevo era di dover dare sfogo alla mia libido:
“Valentin… Ti prego, devo sborrare…“ E feci per togliergli la mano dal mio arnese per concludere l’azione al posto suo. I suoi piani erano tuttavia altri. Con fermezza mi portò nuovamente la mano alla scrivania. Contemporaneamente mi prese per i fianchi facendomi arretrare e abbassare leggermente di modo che i gomiti erano saldamente appoggiati al piano della scrivania e il mio culo rivolto verso di lui.
“Ecco, adesso ci siamo davvero…” Ebbi il tempo di pensare.
Invece quell’incredibile esemplare di maschio non aveva finito con i suoi eccitanti giochetti! Mi appoggiò il suo enorme uccello tra le chiappe prendendo a strusciarsi tra di esse. Le mani avevano lasciato il petto per dedicarsi ai miei fianchi e al mio pene.
“L’affare s’ingrossa…” Pensai mentre sentivo la sua erezione crescere (e un po’ anche il mio timore di essere sverginato lì per lì).
Si chinò su di me come se dovesse penetrarmi mentre in realtà continuò a segarsi imponendomi di succhiargli il dito medio. Con l’altra mano mi masturbava alla stessa velocità con cui lo faceva lui.
I suoi movimenti erano delicati ma decisi, lenti ma inesorabili. All’improvviso l’accelerazione: ebbi appena il tempo di realizzare che mi sollevava, mi voltava e m’infilava il suo cazzo in bocca per svuotarlo nuovamente nella mia gola: una nuova ondata di caldo seme che deglutii in un fiato.
“Valentin…”
“Adesso!” Finalmente! La voglia di venire era incontenibile e l’uccello mi faceva davvero male: non avrei resistito oltre.
Lui evidentemente lo sapeva e concluse rapidamente l’azione: dopo avermi fatto nuovamente sedere su di lui esercitò sul mio cazzo una serie di colpi rapidissimi e violenti. Non mi ero mai visto sborrare a quel modo: il seme sgorgava dal mio orifizio come le colonne di acqua e vapore da un geyser. Gli coprii interamente il petto ed il ventre; qualche goccia gli arrivò persino in viso.
Stravolti ma felici, ci avvicinammo toccandoci con la fronte.
Ma il lavoro per me non era finito: mi obbligò prima a ripulire il suo uccello e poi a leccare il frutto del mio piacere.
Ancora ripetemmo il giochetto del mischiare la sborra alla saliva dei baci che ci scambiavamo, poi fu lui a ripulirmi:
“Non ho ancora finito con te…” Mi sussurrò mentre ci accarezzavamo e coccolavamo a vicenda su quella sedia che ormai, sono certo, avrebbe resistito a qualsiasi evento.
Purtroppo l’idillio s’interruppe bruscamente. La luce della fotocellula ci avvisava che qualcuno stava arrivando: era il Dottore. Ci rivestimmo in fretta ed ognuno riprese il suo ruolo: chissà se il mio uomo avrebbe avuto modo di mantenere la sua promessa...
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