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Gay & Bisex

Una storia...


di honeybear
05.07.2017    |    19.477    |    5 9.3
"Sei semplicemente magnifico in quella foto… Non più così giovane..."
Lascio l’ospedale che sono quasi le undici di sera. È arrivata zia, tua moglie a darmi il cambio: “Vai figliolo, vai a riposare. Sarai stanco…”
No, non sono stanco; sono più che altro frastornato… Stranito… Respiro a pieni polmoni l’aria che, la leggera brezza che soffia dall’entroterra, profuma di bergamotto.
Non ho voglia di tornare a casa. Non subito almeno. Salgo in auto e guido fino al parcheggio stranamente deserto. Scendo nella penombra e mi accendo una sigaretta. Uno sguardo allo smartphone: nessun messaggio, nessun wazzUp. Il dito apre accidentalmente la galleria fotografica: compare la foto del matrimonio di tua figlia.
Sorridi. Sorridiamo tutti in quella foto: il ritratto di una grande famiglia di un piccolo paese dell’Italia meridionale nascosto tra le colline che disegnano il territorio. Colline che, con le opportune accortezze, sono in grado di custodire i segreti più turpi e vergognosi senza nemmeno consegnarli al pettegolezzo, altrimenti la gogna pubblica è assicurata.
E la nostra famiglia così felice in quell’immagine, non si è voluta ritrarre da questo torbido gioco. E nemmeno si è fatta mancare i suoi begli scheletri nell’armadio!
L’indice scorre sulla sequenza di foto salvate e l’effetto è quello di una videocassetta che si riavvolge a film terminato.
Si ferma su una tua immagine scattata al mare anni orsono. Una scansione che ho realizzato per evitare che le memoria di questo e di altri momenti andasse perduta.
Sei semplicemente magnifico in quella foto… Non più così giovane. Eppure così aitante, così maschio. Il fisico è ancora quello plasmato da anni di duro lavoro nelle nostre campagne. Incroci le braccia muscolose sul petto cesellato che, come le gambe forti e ben tornite, è ancora ricoperto dalla folta peluria che, bagnata dall’acqua salata, luccica sotto il sole agostano.
La zazzera scura incornicia il tuo viso, con quella mascella leggermente squadrata e barbuta al centro della quale si disegna il tuo sorriso. Quello che deve avere conquistato la zia e non so chi altro prima e dopo di lei. Gli occhi scuri e grandi non si vedono: le palpebre socchiuse li riparano dai fastidiosi raggi che ti battono contro.
Il dito scorre ancora. Non so dove si ferma... Non importa: ora è la mia mente a riavvolgere il nastro dei ricordi e decide di fermarsi all’estate dei miei sedici anni…
La miccia che innescò la bomba fu tutto sommato banale: la mamma aveva bisogno di uova fresche per preparare la pasta. Ricordo che venni alla fattoria a chiederle alla zia.
La fattoria… Così chiamavo la tua azienda agricola poco distante da casa e che raggiungevo facilmente tagliando per la campagna invece di mantenermi sul percorso più lungo della strada asfaltata.
Zia di uova non ne aveva: mi invitò a fermarmi al pollaio che si trovava a metà strada sul percorso.
Ubbidii.
C’era un sottile venticello come stasera…
Ed il vento non trasporta solo profumi, ma anche suoni.
Tesi l’orecchio e ascoltai. Percepii una sorta di rantolo. Anzi un paio… Mi avvicinai cauto pensando che stessi ammazzando qualche animale.
Ero praticamente sulla soglia del capanno quando schiacciai un ramoscello. I suoni cessarono e le vostre voci ne presero il posto:
“Perché ti sei fermato?”
“Non hai sentito?”
“A parte il tuo cazzo non sento altro… Dai, finisci il lavoro!”
“Ma…”
“Non vorrai fermarti proprio ora stallone! Mi stai facendo godere come una porca! – mi avvicinai cautamente, spiandovi attraverso le assi del portone - Senti come sono bagnata, tocca. Tocca qui!” e guidando la tua mano ti guardava, mentre il resto del suo corpo era piegato in avanti. I gomiti ben piantati sul piano di lavoro per reggersi.
Non mi turbò il fatto che la voce che fugò i tuoi dubbi non fosse quella di una donna.
Le tue dita tozze stavano infatti accarezzando una folta peluria castana da cui si allungava un uccello scappellato. Era un’asta liscia e ricurva, piuttosto lunga e sottile. Dal piccolo orifizio sulla sommità uscivano gocce di un liquido denso e giallastro. Il tuo indice lo sfiorò per poi portarselo alla bocca.
“Mmmm… La mia troia oggi è proprio in calore…” c’era lo stesso sorriso della foto sulle tue labbra. Tu eri in piedi dietro a lui. Le tue mani ora appoggiate sui suoi fianchi. Il bacino si ritrasse per poi affondare un colpo di reni forte e deciso che lo fece sobbalzare.
“Oooohhh – si lamentò l’altro uomo mentre si voltava - Sììì… Dai, continua! Sfondami!”
Quando si girò completamente, riconobbi anche lui: era il figlio più giovane dell’avvocato del paese, uno dei miei catechisti ormai prossimo al matrimonio...
Nemmeno questa cosa mi turbò. Anzi.
La mia mano scese fino sciogliere il nodo che legava i miei pantaloncini. Mi soppesai l’arnese iniziando a massaggiarmelo attraverso le mutande che stavano diventando troppo strette. L’asta rigida si delineava lungo il tessuto chiaro. Sul lato sinistro comparve un alone generato probabilmente dallo stesso tipo di umori che coloravano dalla cappella del tuo amante.
Osservai attentamente ogni attimo di quell’eccitante gioco, ma la mia curiosità morbosa mi spinse a trovarmi una posizione da cui potessi realmente capire cosa stesse avvenendo tra voi.
Perché entrambi ansimavate e latravate come animali in calore?
Scalzo, aggirai l’ingresso e mi appostai accanto a una finestra.
Adesso vedevo chiaramente.
Vedevo ancora le spinte ora frenetiche ora lente del tuo bacino; vedevo le tue chiappe sode e pelose che si schiantavano contro quelle lisce dell’altro. Vedevo il tuo uccello uscire completamente fradicio dal suo buco peloso per poi spanarlo con la furia di un toro. Vedevo le vostre palle dondolarsi le une verso le altre.
Eri instancabile. E non ti raccontai mai della mia eccitazione quando, proseguendo nella monta, ti tormentavi i grossi capezzoli turgidi reclinando il capo soffiando.
La cosa mi stimolò a tal punto che mi spogliai della maglietta e ti imitai. Sentii i miei capezzoli appuntirsi come chiodi al tocco delle mie dita agili. Abbassai definitivamente gli slip e cominciai a masturbarmi. Seguivo il ritmo della tua scopata: mi smanettavo lentamente o velocemente a seconda di ciò che ti vedevo fare. Sbuffavo e ansimavo insieme a voi… Voi che non sembravate essere mai sazi l’uno dell’altro.
“Dai… Dai… - t’incitava – Scopami… Non fermarti, non fermarti… Così! Così… Mmmm…”
Voi che vi davate il cambio in quell’incredibile fottuta: quando tu eri stanco e ti fermavi, era lui ad andare avanti e indietro con il suo culetto docile, piegandosi leggermente sulle gambe da calciatore.
Non so per quanto tempo proseguiste ed io godevo, non visto, del vostro godimento. La cappella ormai viola mi doleva a tal punto che mi pareva potesse esplodere da un momento all’altro.
“Sto per venire… Vengo…” mi sembrò che mi leggessi nel pensiero.
“No, aspetta! Voglio vedere la tua sborra schizzare su di me…” si sfilò velocemente e si sdraiò sul tavolo da lavoro. Attraverso le gambe divaricate scorsi il suo sfintere completamente dilatato. La coroncina intorno vibrava: non so perché, ma il suo movimento mi ricordò il lento incedere delle meduse al mare. E tu lo tappasti ancora quel buco: pochi colpi e poi il tuo grido di piacere si disperse nell’aria mentre il tuo seme inondava l’ano del tuo amante. Ansimante ti rovesciasti su di lui iniziando a limonarlo.
Fu il colpo di grazia per me: vedervi baciare mi procurò l’orgasmo. Un orgasmo che fui costretto a soffocare, che strinsi tra i denti mentre il mio sperma, schizzando, arrivò a lambirmi il viso.
Lui fu l’ultimo dei tre a godere: fosti tu, ancora chino su di lui, a masturbarlo e a fare in modo che si scaricasse sul tuo petto. E fosti sempre tu a ripulirgli per bene con la lingua la rosellina tornata bocciolo, scivolando fino alle palle depilate. E di nuovo, fosti tu ad imporgli di fare lo stesso con il tuo petto.
Un ultimo bacio infine e vi salutaste dandovi appuntamento al bar per la sera.
A quel punto fui io a comparire: la mia vista non sembrò turbarti mentre ti rivestivi.
Iniziai a girarti intorno: ti stavi pulendo l’uccello con un fazzolettino imbevuto nella tanica dell’acqua poco distante.
“Ho pisciato…” ti giustificasti.
“Sì, hai pisciato sborra… - non so dove trovai il coraggio di affrontarti in quel modo - …Più o meno dentro al culo di quello!”
“Io…” tentò di giustificarsi. Riuscì solo a rimettersi la maglietta.
“Sta’ tranquillo zi’, il tuo segreto è al sicuro!” mi feci la croce sul cuore.
Lui sembrò rasserenarsi: “Sono sicuro che ci sarà un prezzo da pagare per il tuo silenzio…” mi disse serio e meditabondo.
“In effetti qualcosa in cambio la vorrei… Diciamo che il mio silenzio è legato al fatto che qualche volta al posto suo… - accompagnai la richiesta con un cenno con il capo - …Ci dovrò essere io…- mi guardò spalancando gli occhi - …Sì, hai capito perfettamente cosa voglio da te!”
“Tu devi essere impazzito! Io… Io…”
“Tu cosa!? Tu non fai certe schifezze? Non essere ipocrita! Ti ho appena visto in azione! Ti chiedo solo di fare con me ciò a cui ho appena assistito, semplice!”
“Ma… Hai solo sedici anni…”
“E noi non dobbiamo andare a confessarlo al prete! Pensaci: potrai avermi tutte le volte che vorrai!”
E sorridendo gli voltai le spalle per andarmene…
Sorrisi fiero del mio coraggio ma incosciente delle conseguenze che quella richiesta avrebbe potuto scatenare.
Sono certo che rimanesti a bocca aperta per un bel pezzo di fronte a quella proposta che suonava a tutti gli effetti come un ricatto. E sono pure convinto che ti tolse il sonno… Ma in quel momento mi sembrava l’unica soluzione. La sola cosa giusta da fare.
La cosa giusta per me ovviamente.
Per riuscire finalmente a smetterla di reprimermi. Per dare libero sfogo alla mia vera natura. Per avere una rivincita su tutte quelle volte che, invano, ho cercato di crearmi un’occasione che mi permettesse di divertirmi come avrei voluto fare. E che ora, finita la sigaretta che mi sono acceso, mi autorizzerà a godere del bel manzo che ha parcheggiato accanto a me.
Gli strizzo l’occhio.
Scende dalla macchina. Poche parole e c’infrattiamo nel boschetto poco distante dal parcheggio.
Sono inginocchiato davanti a lui con le labbra dischiuse, pronte ad accogliere la sua enorme cappella.
“Come ti chiami?”
“Come vuoi tu!” gli rispondo prima di iniziare a lavorarlo di bocca.
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