Gay & Bisex

Leo 1.0


di honeybear
03.02.2015    |    10.129    |    10 6.5
"‘Mi starà guardando? - pensai dentro di me - Mi starà esaminando?’ Le mie domande trovarono risposta nel momento in cui improvvisamente mi sussurrò in un..."
Fu un viaggio estremamente snervante. E per questo mi parve interminabile.
Ero irrequieto, totalmente incapace di rilassarmi o concentrarmi sul libro che avevo davanti. La mia mente era in subbuglio…
Il motivo?
Semplice. Continuavo a chiedermi che cosa sarebbe accaduto. E se avevo fatto bene ad imbarcarmi in quell’impresa…
Quale impresa?
Accettare di sottomettermi a lui, soddisfacendo ogni suo desiderio. Ogni sua richiesta.
“È quanto accadrà nei giorni in cui staremo insieme. – m’informò laconicamente nell’unica telefonata che ci scambiammo – È quanto hai implicitamente accettato di fare rispondendo all’sms che t’inviai…”
Già, l’sms… Fu quello che diede il via al gioco.
Quello in cui mi propose di spingermi oltre i confini... Non solo del sesso in quanto tale.
“…Ma del piacere stesso…” mi promise.
E pensare che per me continua ad essere uno sconosciuto. Certo, uno degli sconosciuti più sexy e ‘dotati’ che chiunque (uomo o donna che sia) avrebbe indubbiamente desiderato conoscere.
Non sapevo nulla di lui. Neppure dopo quell’incontro bollente, consumato nello scantinato del centro medico sportivo. Era nemmeno conoscevo il suo nome.
“Per te sarò sempre e comunque F… - mi disse – Ciò eviterà una serie di inutili e possibili complicazioni di qualsiasi genere. E tu per me sarai semplicemente Leo…”
Non potei che acconsentire. Prendere o lasciare.
Presi dunque.
L’unica garanzia che ottenni, fu che non si sarebbe spinto oltre i limiti (fisici e psicologici) che potevo gestire.
Non subito almeno …
La tachicardia mi riportò alla realtà. Mi sforzai vanamente di rilassarmi per abbassare il ritmo del mio cuore. Se non mi fossi calmato, presto mi avrebbe gonfiato il petto fino ad esplodere.
Dal finestrino del treno, il paesaggio continuava a scorrermi davanti. Lo guardavo ma non lo vedevo: più mi avvicinavo al luogo dell’incontro e più realizzavo che non avrei mai potuto essere preparato a quanto stava per consumarsi... Del resto, pensai per farmi coraggio, nessuno potrebbe esserlo alla sua ‘prima volta’…
Potevo immaginare cosa avesse in serbo per me; ma non si può pensare di essere preparati a qualcosa semplicemente sulla base della cultura che uno si può fare semplicemente leggendo, guardando filmati o navigando siti a tema…
Ed era tardi per fuggire!!!!
Come suole dirsi, ero in ballo e dovevo ballare. Niente comunque escludeva che avrei potuto divertirmi!!
Ancora assorto in quei pensieri, suonai all’anonimo citofono del palazzo in cui avevamo appuntamento.
Salii le scale lentamente. Uno strano senso di eccitazione mi pervase.
Non somigliava alla paura provata durante tutto il tragitto e nei giorni precedenti. Ma non ebbi il tempo di analizzare ulteriormente il mio stato d’animo…
Come convenuto, bussai alla porta.
Quando si aprì, si materializzò davanti a me una specie di visione: indossava solo uno striminzito paio di shorts in lattice nero che ben poco lasciavano all’immaginazione di cosa potessero contenere. Il resto era puro spettacolo per gli occhi: le forti spalle che sorreggevano le braccia muscolose dai solidi bicipiti, il suo petto massiccio che, come il torace scolpito, era coperto da una lanugine ben più folta di quella del nostro primo incontro, la gambe ugualmente pelose e ben tornite che terminavano in caviglie piccole e sinuose vestite da un paio di stivaletti in pelle nera.
Il suo viso era al contempo dolce e diabolico …
Si fece da parte per lasciarmi entrare.
Il disimpegno in cui mi accolse era in penombra. Mi fece strada verso un locale molto più ampio e luminoso.
Lo seguii all’interno, ponendoci uno di fronte all’altro.
Intuii subito il benvenuto che teneva darmi: teneva in mano una benda ed una gagball. E intanto la sua voce che mi parlava. Sentivo le sue parole, ma non le comprendevo: era come fossi in modalità ‘pilota automatico’.
Avevo solo una certezza: mi stava erudendo. Il gioco stava così proseguendo secondo le sue regole naturali. Il suo sorriso entusiasta e i suoi occhi scintillanti mi convinsero che non avevo nulla da temere...
E allora perché iniziai a tremare non appena mi toccò per la prima volta?
La sua mano sulla mia spalla esercitò una leggera pressione. Mi fece cadere in ginocchio. Chiusi gli occhi mentre fissava quello strano bavaglio intorno alla nuca serrandomi la bocca: “…La privazione dei sensi e l’impossibilità di esprimere ciò che proverai – seguitò a dire – ti aiuteranno a calmare i nervi…” volli crederci.
Poi la stanza si oscurò: merito della benda che mi stava applicando sugli occhi. Fu il nulla.
Il mio respiro si fece grosso.
Mi sentii smarrito. Mi sembrò d’impazzire: non avevo più alcun punto di riferimento. E soprattutto non potevo più usare due dei cinque sensi. Avevo bisogno di qualche minuto per raccogliere ciò che rimaneva degli altri ed ottimizzarne l’utilizzo.
Con mia grande sorpresa, la mia reazione fu immediata.
Il mio cuore cominciò a battere meno freneticamente, l'afflusso di sangue alle orecchie si calmò: ripresi a percepire il mondo intorno a me. Non ero sicuro da dove provenissero, ma colsi in lontananza il rumore di un frigorifero, il ronzio di un computer o di attrezzature elettriche, le fusa di un gatto... Capii anche di non poter mutare la mia postura: rimasi perciò in ginocchio cercando di capire dove si trovasse lui.
‘Mi starà guardando? - pensai dentro di me - Mi starà esaminando?’
Le mie domande trovarono risposta nel momento in cui improvvisamente mi sussurrò in un orecchio: "Sono così felice che tu sia finalmente arrivato!" la sua voce mi sembrò tradire sincera emozione.
Le sue mani gentilmente mi aiutarono ad alzarmi, e le sue braccia mi strinsero in un abbraccio possente. Privato della vista, potevo comunque sentire il suo profumo.
La sua lussureggiante peluria mi solleticava attraverso la barriera di cotone della maglietta e la barba mi pizzicava le guance trasmettendo alle mie narici il suo odore di maschio.
Tuttavia, privato della vista, la percezione del suo corpo me lo faceva figurare più solido di quanto ricordassi o avessi appena visto. La sensazione era non solo di essere stritolato, ma anche di sentirmi ancora più piccolo e più impotente di quanto non fossi.
Mi sembrò si allontanasse. E la mia maglietta appresso a lui. Mi mossi in quella direzione, ma realizzai subito che in realtà stava iniziando a spogliarmi. Volata a terra la t-shirt, le sue mani vagarono libere su ogni centimetro di pelle esposta. Erano mani forti e ruvide che vellicavano ogni centimetro della mia vellutata epidermide.
Mi sentii pizzicare e schiaffeggiare un po’ ovunque: stava constatando, diciamo, la mia prestanza fisica, frutto del duro lavoro svolto, oltre che in palestra e in acqua, anche su sue precise direttive.
Allentò la cintura, mi sbottonò i pantaloni abbassandoli in fretta alle caviglie. Mi chiesi cosa ne pensasse del jockstrap con cui avevo deciso di sorprenderlo. Era palese che il colore scelto, nero, serviva a sottolineare il contrasto tra l’indumento e la mia carnagione pallida e innocente. Non mi diede a capire se avesse gradito o meno la scelta; di nuovo percepii quella sensazione. Fu un attimo: mi sentii una nullità mentre, pensavo, a lui che stava decidendo il da farsi. Evidentemente ritenne che potevo tenermelo, visto che la sua mossa successiva fu di sfilarmi calze e scarpe per potersi sbarazzare definitivamente dei pantaloni.
Mi trovai lì, con lui da qualche parte intorno a me, indossando solo jockstrap, benda e gagball.
Le sue mani ripresero ad ispezionarmi: le passò tra le cosce; me le fece allargare leggermente in modo da soppesare le palle ancora racchiuse nel loro involucro sintetico; scivolò dietro, massaggiando le natiche. Mi accarezzò il culo per poi lasciarle scorrere nuovamente sulla conchiglia anteriore ed ancora dietro. Dilatò la mia rosellina allargandomi le chiappe. La contrassi involontariamente.
A sorpresa mi sentii tirare una guancia, una sorta di buffetto.
Mi mancò l’aria: ansimai attraverso la gagball, affamato d’ossigeno. Compresi che stavo trattenendo il respiro.
E che ero solo.
Il suo odore mi annunciò il suo ritorno.
Mi voltò e, guidandomi, mi fece camminare davanti a lui. Pochi passi. Mi sembrò che si stesse sedendo di fronte a me.
La parte anteriore del jock fu abbassata ed il mio cazzo e le mie palle fecero bella mostra di sé davanti a lui. Le mie mani continuarono a penzolare lungo i fianchi, non sapendo bene quale ruolo dovessero assumere.
Afferrò il cazzo cominciando a lisciarlo; per tutta risposta quest’ultimo cominciò ad indurirsi. Gli sentii sospirare: "Oh, no, no, no…" e subito dopo lo scorrere di qualcosa in gomma sull’asta semirigida: si trattava di una sorta di gabbia, sostenuta da un anello che, tirando, mi stritolava le palle bloccandomi l’erezione. Al momento di pianificare quell’incontro, discutemmo anche riguardo la possibilità o meno, da parte mia, di manifestare qualsiasi tipo di eccitazione; e lui non si era pronunciato sul fatto di inibirmela.
Non sapevo quindi se essere dispiaciuto o sollevato per quella presa di posizione.
Semplicemente il mio cazzo tornò a riposo e al suo posto all’interno del jock; temetti che sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrei toccato in quei giorni.
Girai nuovamente su me stesso per sedemi in grembo a lui, con il mio petto appoggiato al suo. Protesi le braccia fino a toccare lo schienale della sedia su cui era seduto.
Allora capii.
Mi alzai. Vacillai. Mi aiutò sorreggendomi. Appoggiai il mio stomaco sulle sue ginocchia, accucciandomi al suolo rimanendo in attesa.
Mi esplorò dolcemente accarezzandomi da cima a fondo, quasi per assicurarsi una volta di più, che fossi reale. O, più prosaicamente, che fossi suo: mi stava toccando per assicurarsi che io sentissi il suo dominio su di me accompagnando l’azione con respiri eloquenti. Nessuna parola tuttavia…
Mentre si dedicava alla perlustrazione, i miei muscoli al passaggio delle sue dita presero a rilassarsi … Era come se fossero consci del fatto che ora appartenevano a lui. E loro, svolgevano egregiamente il compito assegnatogli: ubbidire. Era forse la mia mente che ancora non riusciva a farsene una ragione impegnata com’era ad analizzare ogni mia piccola emozione…
Quando si dedicò al culo, rallentò l’ispezione. Sistemò gli elastici del jockstrap che incorniciavano le chiappe ed ispezionò tutto lentamente. Deliberatamente.
Improvvisamente venni liberato dalla gagball: la sua mano sinistra premeva sulla bocca. Istintivamente l’aprii per lasciar passare un suo dito. L’avvolsi con le labbra ed iniziai a succhiarglielo. Ne aggiunse un secondo.
Durò poco. Tornò il bavaglio, mentre il primo dito prese a tormentarmi il culo. Toccò per la prima volta il mio buchetto. Lo sentivo, umido della mia saliva, che sfiorava i petali della mia rosellina, massaggiandoli. era solo una leggera, rilassante, pressione. Lentamente inserì la punta del dito e prese a lavorarmi l’ano con consumata abilità.
Non mi stava scopando. Lo stava semplicemente facendo suo, ribadendo per l’ennesima volta il concetto: quel buco, come il resto del mio corpo e dei miei muscoli, gli appartenevano.
Girò e rigirò il dito nel mio buco, spingendolo dentro per tutta la sua lunghezza. Uscì e quando rientrò usò anche il secondo. Una volta all’interno, si divertì ad alzarli ed abbassarli per diverso tempo prima di estrarli completamente. Furono attimi che avrei voluto non finissero mai…
"Sai per cos‘è questo, stronzetta?" formulò la domanda così lentamente che non ebbi il tempo di realizzare che arrivò anche la prima sculacciata. Cercai d’inspirare profondamente dal naso, mordendo il bavaglio.
Dissentii prima di venire colpito una seconda volta.
"Questo è per avermi fatto aspettare così a lungo, troia che non sei altro!!" sentenziò prima di colpirmi altre due volte.
Sentii il calore affluire alle guance misto al dolore; la mia bocca si contrasse in una smorfia. Un brivido mi percorse e, da dietro la benda scura, cercai di farmi piccolo per la paura ed evitare nuovi colpi.
In realtà non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
Continuò anzi a percuotermi tanto che il mio uccello ingabbiato, finì con lo sbattere contro la sua coscia, ricordandomi in cosa fosse confinato.
Seguirono altre dodici sculacciate prima che tornasse a massaggiarmi nuovamente la schiena ed il culo, blandendomi con un: “Bravo il mio schiavo...” che, avrei imparato, sarebbe stato il massimo complimento concessomi. Le mie chiappe erano invece puro fuoco: pensai che non sarei più riuscito a sedermi per diverso tempo… Forse una lacrima mi solcò il viso. Sicuramente serrai la mascella così forte che i miei denti impressero sicuramente il loro segno sulla sfera della gag…
Attese un istante che il mio respiro tornasse regolare. Solo allora gli sentii spalancare le gambe. Mi afferrò la testa iniziando ad accarezzarmi i capelli e le spalle. Premette il mio viso contro i pantaloncini. Continuò ad accarezzarmi: i miei sensi, sempre vigili, erano ormai consapevoli di come si sarebbero svolti i fatti. Le mie orecchie percepirono il suo sospiro di soddisfazione mentre le sue mani riprendevano ad accarezzarmi.
La mia guancia avvertì invece il bozzo che si stava formando dentro gli shorts e che nemmeno troppo lentamente, dilagava, facendosi sempre più lungo e duro.
Fu come sempre il mio naso a catturare il suo odore di maschio. O meglio a cercare di catturarlo, fiutandolo in prossimità della sua patta, come una cane da punta con il muso imprigionato da una stretta museruola. Affondai ulteriormente la mia testa tra le sue cosce aperte, dimenando il capo e cercando di aspirare a fondo quell’aroma acre che emanava.
Il mio cazzo provò a rispondere, lottando disperatamente per sfogare l’impellente erezione, ma la prigione in cui era confinato oppose la sua efficace resistenza.
Fu allora che presi l’iniziativa di abbassargli i pantaloncini; lo feci fintanto che avevo le mani libere: sapevo infatti che presto o tardi non le avrei potute più usare (imprigionate in una gogna o, più prosaicamente, dalle manette). Tanto valeva approfittarne per compiere questa mossa proibita fino a che ne avevo la possibilità.
Istintivamente le portai dietro la schiena e cercai con il naso il suo cazzo. Lo trovai duro come il marmo. Me lo strofinai sulla faccia arrivando fino ai peli ispidi del pube e dei coglioni, cercando di aspirare direttamente dalla fonte l’effluvio che emanava. Quell’aroma mi ubriacava dandomi letteralmente alla testa.
La sua mano si mosse… Ed io mi stavo già preoccupando di dover abbandonare così presto quella festa per ricevere l’ennesima punizione corporale.
Fortunatamente mi sbagliai: semplicemente posizionò il naso sotto le palle poiché iniziò a masturbarsi. Gemeva e si agitava mentre spostavo le due sacche pelose su e giù servendomi dell’unica leva che avevo a disposizione (ovviamente sempre il naso).
Era esasperante avere quella benda sugli occhi e quel dannato bavaglio: avrei voluto guadarlo nel compiere l’atto, leccarglielo… Contribuire insomma a dargli piacere. Invece ero lì inerme: un ninnolo tra le sue gambe muscolose ed irsute.
Quasi avesse percepito i miei pensieri, mi strappò la benda. La luce che inondava la stanza mi accecò, costringendomi a chiuderli. Fu un bene: la doccia di sperma mi colpì in pieno viso. Venne copiosamente; gli schizzi piovvero dovunque: sul mento, su una guancia, sulla gagball, persino in fronte. Non potei evitarli: la sua mano mi mantenne la testa affinché nessuna goccia ne andasse sprecata.
Sentii la sborra sulle labbra e maledissi una volta di più quel dannato bavaglio che non mi permetteva di assaggiarla. Di berla, per ingoiarla fino all’ultima goccia.
Aprii gli occhi lentamente. Stava sgrollandosi l’uccello per mingermi sulla punta del naso l’ultima goccia del suo seme caldo. Con la cappella me lo spalmò su tutto il viso, riservando di ripulirsi sulla guancia che si era salvata dall’inondazione.
"Questa è la prima ed ultima sborrata che ti regalo schiavo! Il resto te lo dovrai guadagnare!”
Annuii mentre il suo sperma mi colava dal mento.
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