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Enosigeo - Avanti il primo!


di honeybear
30.06.2022    |    8.367    |    6 9.6
"00… “Barcaiolo che risp…” ma Giovanni non terminò la frase perché si ritrovò il mio gomito nello stomaco; in modo alquanto goffo provai a dissimulare: “No, ..."
L’espadrillas gialla mancò di poco la sveglia che suonava imperterrita.
“Cazzo spegnila!” imprecai. Per tutta risposta mi arrivò un cuscino in faccia.
“Oggi è il giorno della gita in barca idiota!” si limitò a ricordarmi Giovanni.
Subito balzai in piedi.
Gita in barca voleva dire passare l’intera giornata con il nostro sogno proibito, l’Enosigeo… Certo l’effetto collaterale sarebbe stato una perenne erezione, ma ero certo che avremmo trovato il modo di risolvere elegantemente il problema con la segreta speranza di essere coinvolti nel finale dei nostri sogni… Che fino ad ad allora era sempre più o meno miseramente naufragato…
Lavati, pettinati e impomatati fagogitammo brioche e cappuccino per precipitarci nella hall.
Cappellino in testa e occhiali a specchio inforcati, attendevamo fremebondi il resto della compagnia.
“Non capisco tutta questa fretta! - dubitò Carla - L’appuntamento con il barcaiolo è fissato per le 9.00…
“Barcaiolo che risp…” ma Giovanni non terminò la frase perché si ritrovò il mio gomito nello stomaco; in modo alquanto goffo provai a dissimulare: “No, è che Gio’ non vede l’ora di arrivare in pineta perché pare ci sia un esemplare vegetale particolarmente raro che vorrebbe tanto ammirare… - deglutii - …Il nerchius mazzutus...”
“È… É un fungo piuttosto raro…” non terminò la frase, ma ad ulteriore giustificazione estrasse dallo zainetto a righe bianche e rosse un tomo che iniziò a sfogliare.
“Ci crediamo, secchione! - lo schernì Sharon - E comunque manca quasi mezz’ora!” entrambe girarono sui tacchi e si diressero dal resto della compagnia impegnata a terminare la colazione.
In effetti il nome del nostro uomo ci era ancora ignoto: qualcuno ci disse che si chiamava anch’egli Giovanni, qualcun altro Tommaso. Ma questo era il minore dei problemi.
La nostra vera preoccupazione era come farsi notare dal maschione ma soprattutto come indurlo ad approfittare di noi.
Gli amici ci raggiunsero sulla banchina dove, disperati, tentammo invano di individuare barca e proprietario.
“Eccolo! - si sbracciò Sharon - Siamo qui!” gridò sventolando la mano.
Wow! Era davvero uno splendore… L’ercole che le calde carezze del divino Elios avevano reso di un colore simile a quello del bronzo indossava infradito, pantaloncini rossi molto aderenti e molto corti con una camicia leggera che strizzava, pompandolo, il torace muscoloso da cui faceva capolino un generoso ciuffo di pelo..
“Ciao!”
“Buongiorno a tutti. Io sono Andrea…” e dopo la presentazione la voce calda e bassa del ragazzone proseguì illustrando il programma della giornata e delle piccole norme di sicurezza da seguire.
L’escursione ebbe dunque inizio. Ci allontanammo lentamente dalla riva mentre il mare all’orizzonte brillava tempestato dai riverberi del sole già alto in cielo.
Compimmo un paio di soste che avrebbero dovuto consentirci altrettanti bagni spensierati.
Io e il mio amico preferimmo rimanere in coperta per assistere, schermati dagli occhiali a specchio e succhiando un ghiacciolo, ad ogni flessione del nostro capitano, soprattutto a quelle che disegnavano in tutta la loro perfezione le rotondità del suo formidabile fondoschiena.
Ah, cosa non avrei dato per infilare la lingua in mezzo a quei cocomeri…
Il cazzo duro contro il legno del pavimento mi dava qualche noia, ma un paio di movimenti di assestamento risolsero la situazione.
Intorno a mezzogiorno approdammo ad una caletta poco frequentata; sbarcammo, consumammo il pranzo al sacco che ci eravamo portati per poi cadere i più, vittime dell’abbiocco digestivo da consumare rigorosamente all’ombra.
Gio’ non fu da meno e così, sconsolato, mi ritrovai a vagabondare sulla sabbia soffermandomi di quando in quando a raccogliere conchiglie e sassi.
Di Andrea si erano perse le tracce… O forse no…
Con un cenno mi stava invitando a seguirlo.
Incuriosito ubbidii.
Ci inerpicammo lungo uno stretto sentiero guadagnando ben presto la folta e fresca pineta che vedevamo dalla spiaggia. L’intenso profumo dei pini m’invase i polmoni mentre pensavo di essere finito in un bosco elfico.
Mi indicò un punto che raggiungemmo calpestando il brullo e polveroso terreno per ritrovarci su uno dei tanti belvedere a picco sul mare.
Abbagliato dal sole, mi ci volle qualche istante per riabituare gli occhi alla luce. Spaziai con lo sguardo sul mare infinito che si spalancava innanzi a me. Natanti di vario genere punteggiavano la distesa blu muovendosi all’apparenza pigramente confondendosi con lo scintillio della luce del sole sull’acqua. Una linea netta di demarcazione separava la placida distesa dal cielo cobalto su cui si disegnavano le parabole descritte da pigri gabbiani.
Osservavo divertito la folla di puntini che sguazzavano sotto di noi cercando un po’ di refrigerio nell’acqua quando sentii la sua manona accarezzarmi il culo..
Mi voltai verso di lui.
Sollevai lo sguardo e, sbattendo le palpebre, abbozzai un sorriso tra il malizioso e il complice: finalmente qualcosa si stava muovendo… E non solo nei miei pantaloni!
Le sue dita ne sciolsero agevolmente il laccio ed iniziarono a scorrere delicate tra il mio addome e il pube accarezzandone il pelo. Finirono con il soppesare prima lo scroto e poi l’uccello che iniziò ad indurirsi.
Deglutii.
Mi sorrise di nuovo, avvicinandomi a lui. Le sue labbra mi stamparono un bacio che ricambiai avvinghiandomi a lui.
Forse stavo esagerando, ma finalmente potevo toccare l’oggetto dei miei desideri e delle tanti notti bagnate dalle fantasie legate a quel momento. Temendo un’eiaculazione precoce, provai a divincolarmi ma la sua presa mi serrò ancora più forte soffocandomi sul suo petto. Il naso penetrò lo spazio aperto tra le allacciature; sentivo il profumo salmastro promanare dalla folta peluria del petto abbronzato.
Non resistetti alla tentazione e gliela aprii bottone dopo bottone allargandola leggermente sulle spalle.
Lui si afferrò saldamente i grossi capezzoli prendendo a massaggiarseli sospirando.
Da parte mia, il nuovo panorama che mi si aprì dinanzi mi lasciò senza fiato quanto il precedente. Il ventaglio di pelo dei pettorali d’acciaio su cui io e Giovanni virtualmente sbavavamo ogni giorno, proseguiva delineando l’addome altrettanto scolpito e villoso.
I pantaloni leggermente calati mostravano abbondanza di pelo anche nelle parti basse. Sentii premere le sue mani sulla mia nuca e spingerla verso il basso trattenendola saldamente ai lati. Premette il mio viso contro il suo pacco granitico; l’odore di maschio trasudava dal rosso tessuto sintetico.
Goffamente provai ad abbassargli i pantaloncini ma tali erano la foga e l’emozione che m’imbrogliai più di una volta.
Pensò lui a sbattermi sul naso il suo randello incoronato dal folto cespuglio peloso. Il mio sguardo seguì il percorso dell’indumento che calava lungo le coscie irsute e muscolose.
“Assaggialo…” mi suggerì facendolo oscillare davanti ai miei occhi sbarrati.
Tremando come una foglia mi protesi verso la cappella rubina cui diedi un timido bacio aspirando la gocciolina di liquido prespermatico che faceva capolino dell’orifizio in cima. “Sono sicuro che puoi fare di meglio… - grugnì forzandone l’ingresso in gola - …Impegnati!”
Il siluro arrivò fino alla trachea.
“Oooaahhh…” strabuzzai gli occhi senza riuscire a trattenere un conato di vomito.
Un odore acre e intenso mi pervase il palato.
Serrai le labbra; un sorriso soddisfatto si dipinse sul suo volto. Lentamente presi ad avvolgere la lingua dapprima attorno all’asta vellutata e poi al rigonfiamento in cima. La mia saliva si diluì con il liquido prespermatico che continuava a produrre senza soluzione di continuità.
“Vedo che impari in fretta - sibilò tra i sospiri - Bravo!”
Grato per il complimento profusi impegno e fatica per strappargli nuovi gemiti di piacere succhiando da cima a fondo il cazzo che, di passata in passata, s’induriva sempre più.
Mi spiacque lasciare l’enorme cappella grondante saliva quando mi fece sollevare invitandomi ad avvicinarmi ad un albero poco distante. Mio malgrado assecondai il suo desiderio.
Appoggiai saldamente le mani al tronco. Mi piegò dolcemente in avanti dopo avermi sfilato la maglietta.
Mi volsi verso di lui nello stesso istante in cui, dopo averla annusata, la gettò a terra. Un candido sorriso si disegnò nella barba folta.
Subito dopo una sensazione di umido permeò il mio culetto. Iniziai a dimenarmi gemendo già in balia di quell’estasi.
Le sue mani abbassarono velocemente i pantaloni e la saliva penetrò definitivamente nel tessuto bagnando i peli tra le chiappe.
“Mmmm…” sospirai mordendomi le labbra e sollevando il capo.
Anche le sue mani non rimasero inoperose; la destra massaggiava veloce e decisa la mia asta che, nei boxer, si induriva alla velocità della luce.
Con un movimento rapido ma gentile mi piegò definitivamente a 90.
e cominciò a leccarmi la schiena solleticata dali ispidi peli della barba.
Mi infilò due dita in bocca obbligandomi a bagnarle.
Mi voltai e lo vidi sputare sulla cappella dell'enorme uccello per inumidirla. La passò più volte lungo il solco fradicio alternandola alle dita che dapprima rotearono intorno alla coroncina increspata e poi vi si alternarono al suo interno per dilatarla a dovere.
“Mmmm…” sospirai nuovamente.
Non distolsi mai lo sguardo per non perdere nemmeno uno dei suoi gesti. Puntò con decisione la nerchia contro il bersaglio che sollevò leggermente per agevolarne l’ingresso e, tenendomi santamente per i fianchi, me lo infilò in un sol colpo. La mia bocca si spalancò per la sorpresa. Gli occhi mi si velarono…
Attese con calma che mi abituassi all’enorme presenza dentro di me.
Il buco ormai sverginato e slabbrato bruciava enormemente ad ogni suo minimo assestamento. Sentii le lacrime salirmi in gola, ma stringendo i pugni sul tronco ruvido decisi di non desistere.
Dopo averli a lungo accarezzati infine mi afferrò per i capelli e iniziò a dondolare il bacino; dapprima lentamente. La canna usciva quasi completamente dal fodero per poi impiantarvisi con rinnovato vigore; poi fu un susseguirsi di colpi assestati con un ritmo crescente ed incessante che avrei voluto non terminasse mai. Più volte si prese una pausa per darmi e darsi un po’ di respiro. Mi sollevava per cercare la mia bocca da baciare o mi chinava per leccare il mio collo o la mia schiena solleticandoli con i peli ruvidi della barba… Finché il ritmo accelerò in modo implacabile.
Fu un attimo.
L’urlo liberatorio accompagnò il riversarsi del liquido bollente nelle mie viscere: il suo seme m’inondò letteralmente. Sudato e sfinito si accasciò sopra di me continuando a pomparmi grugnendo.
Estrasse il pene ancora duro ed intriso del suo sperma. Il poco che persi venne spalmato dalle sue dita ruvide attorno al mio buco. Provai a contrarlo per non perderne ulteriormente.
“Aaahhh…”
La sua cappella mi venne in aiuto, penetrandomi nuovamente e, dopo avermi dato ancora qualche botta, si sfilò definitivamente. A quel punto fu la sua lingua a ripulire con cura ogni piega della sacra corona e dei peli intorno. Me ne donò una parte con l’ennesimo bacio che ci scambiammo; poi, a sorpresa, si inginocchiò ai miei piedi. Il mio uccello sparì in un attimo nella sua bocca mentre lo masturbava.
Ci mise poco a farmi venire. Il liquido bianco che non gli finì in gola, imbrattò la sua barba. Lo leccò sorridendo prima di ingoiarlo insieme al resto.
Rapido si rialzò ricomponendosi.
Ancora sconvolto e incredulo di quanto si era appena consumato, mi diede le spalle per riprendere la via del ritorno. Si volse solo un attimo a guardarmi.
“Sbrigati!”
Raccolsi in fretta le mie cose, me le rimisi addosso e lo raggiunsi trotterelandogli dietro come un fedele cagnolino.
In spiaggia la compagnia si stava preparando al rientro: “Dove siete stati finora?” domandò Sharon.
“Beh… Anche io ero curioso di vedere il nerchius mazzutus. E grazie al prezioso contributo di Andrea ci sono riuscito!” dissi massaggiandomi le chiappe e volgendo lo sguardo verso Giovanni.
Il mio amico mi lanciò uno sguardo d’invidiosa ammirazione.
“Poi mi racconti tutto…” bisbigliò mentre salivamo a bordo per il rientro.
La barca solcava leggera le onde governata dalla sagoma scura dell’Enosigeo che si delineava fiera nel disco arancione che stava per scomparire dietro al mare.
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