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Gay & Bisex

Il Novizio 6


di honeybear
02.04.2020    |    8.601    |    7 8.0
"Mi fotteva energicamente usando la corda come le redini di un cavallo..."
Rientrammo dai campi accompagnati da un tramonto mai così rosso. E altre albe e tramonti si susseguirono a scandire giornate di preghiere, tentazioni e duro lavoro.
Come d’abitudine salutai Bruno per entrare nella mia cella e prepararmi per la funzione e la cena.
Fratel Ettore mi stava aspettando sulla soglia della sua. A nulla valse il tentativo di schivare lui e il suo sguardo. Varcai la mia porta dirigendomi verso il bacile accanto al letto. Continuando a voltargli le spalle, mi detersi il viso con lo straccio umido, forse per lavare via la vergogna e per il perpetrarsi del mio costante cedimento alla lussuria.
Ero certo che mi stesse fissando. E che mi stesse leggendo dentro come un libro aperto.
Tornammo da dove eravamo partiti… Non ci volle molto…
In un attimo mi fu addosso. D’istinto reclinai il capo per ricevere la sua lingua che già leccava l’incavo del collo:
“Sai di sale – sbuffò – devi aver sudato molto sotto il sole…” intanto le sue mani forti, posizionate sui miei fianchi, fecero scivolar a terra i pantaloncini per poi scaraventarmi sul letto. Iniziò a strusciarsi tra le mie chiappe nude soffocando sul mio collo i latrati che gli salivano in gola: sentii la sua verga indurirsi in un attimo delineando la sua forma contro la stoffa dei suoi abiti.
Quando fu sul punto di venire, si spogliò per svuotarsi completamente dentro di me soffocando le mie urla sul cuscino. Il respiro affannato si placò dolcemente mentre il peso del suo corpo mi opprimeva. Non si sfilò. Al contrario. E così la sborra con cui mi aveva riempito si mischiò al getto di piscio caldo che schizzò prorompente e improvviso.
Mi lasciò finalmente andare. Le gocce dei suoi umori mi colavano lungo le gambe mentre lo fissavo allibito ed eccitato al contempo: non immaginavo che la nostra depravazione potesse spingersi oltre i limiti cui già eravamo giunti.
“Non puoi presentarti in queste condizioni…” la voce ancora affannata, lo sguardo allucinato quanto il mio.
Le nostre effusioni proseguirono quindi sotto la doccia del bagno comune.
Mi strinse in un abbraccio così energico da togliermi il fiato. Reagii carezzandogli il pelo bagnato. Mi baciò a lungo e intensamente. Lo ripagai con altrettanto ardore e con la stessa avidità di un bambino attaccato al seno materno, mi dedicai a succhiare i suoi enormi capezzoli mentre le mie mani massaggiavano il suo culo marmoreo.
Tornò duro.
Mi abbassai per iniziare a lavorarlo di bocca.
“As… Aspetta… - ansimò – Non ora…” la campana chiedeva che ci radunassimo per il Vespro.
Dopo le preghiere del tramonto, consumammo la frugale cena preparata da Sandro cui diedi una mano a riordinare.
Avvertivo una certa tensione cui non riuscivo a dare una spiegazione, e il fatto di rimanere soli non mi rasserenava. Il suo aspetto corpulento mi incuteva rispetto misto ad un certo timore. Mi sfiorò: il contatto tra la sua pelle ruvida e la mia così liscia mi provocò un tremito, replicato dall’involontario (credo) sfregare delle sue mani nelle parti basse del mio saio.
Rassettai per tutto il tempo rispondendo a monosillabi e a testa bassa chiedendomi dove fossero spariti gli altri due ospiti.
“Bene, direi che qui abbiamo finito…” disse lisciandosi la folta barba scura punteggiata qua e là da qualche filo bianco.
Mi diressi alla cella di Ettore, memore del servizio cui dovevo adempiere. La trovai vuota.
Feci per avviarmi alla mia, ma la mano di Sandro mi costrinse a seguirlo.
Quando la cella della stanza che credevo vuota si aprì, la scena che si parò davanti ai miei occhi me lo fece indurire in un lampo.
Impalato sull’uccello di Ettore, Bruno si fermò di colpo. Non so se per la sorpresa dovuta al nostro ingresso o semplicemente per riprendere fiato, ma restò lì a lasciarsi ammirare con il cazzone ben piantato in culo e le mani del fratone saldamente sui fianchi. Una goccia scintillante scese lungo il filo di pelo scuro dell’addome per smarrirsi tra i peli pubici e ricomparire idealmente nel filamento di precum sospeso sull’asta tesa che mi aveva pisciato addosso copiosa.
Bruno ci sorrise ammiccando, quasi a volerci invitare al banchetto.
Continuai a fissare inebetito la scena, mentre Fratel Sandro finì di spogliarmi senza che io me ne accorgessi.
Mi spinse verso di loro dolcemente.
Istintivamente mi inginocchiai per ingoiare l’uccello bagnato dell’altro novizio. I suoi piedi ora poggiati a terra, permisero a Ettore di godere appieno di quel buco che squassava con colpi di bacino che certamente stavano lacerando le budella di Bruno.
Il suono prodotto dallo schioccare delle sue chiappe sulla zona pelvica dell’altro echeggiava per la stanza unendosi ai guaiti di piacere. Feci del mio meglio per dare una mano al suo godimento ingoiando e insalivando quanta più carne potevo di quel succulento sfilatino.
I peli del culo iniziarono a pizzicarmi in modo irrefrenabile: Sandro stava facendo scorrere lungo il solco delle mie chiappe il cingolo, la corda con i nodi da noi usata come cintura. Si fermò per lasciare il posto alla sua lingua che prese a lambirmi copiosamente da cima a fondo l’irsuto solco. Afferrando con due mani il cazzo di Bruno, ormai bagnato fradicio, mi voltai a guardare. Le chiappe ben divaricate, le avevano lasciato ampi spazi di manovra ed ora puntava dritta al buco increspato.
Lo lasciai fare mentre ripresi ad inzuppare il biscottone che mi stava dinnanzi nella mia gola.
La lingua lasciò nuovamente posto al cordone. Il primo groppo mi penetrò senza troppa fatica.
“Mmmm…”
“Ma com’è stretto questo buchino… - mi canzonò il frate monello - ...Evidentemente il mio buon amico non ha ancora avuto modo di sfondarlo per bene…” mentre imperterrito infieriva su quel forellino che, supplice, richiedeva attenzione. Fu così che s’inserirono il secondo e il terzo nodo. Il piacere mi travolse al punto da stringere forte i denti intorno alla cappella di Bruno.
“Aaaahhhh…” non so se urlò per il piacere o per il dolore. So solo che fui costretto a lasciarlo andare per godere appieno di quella penetrazione. Sbuffando, afferrai il mio uccello con la mano, lo scappellai e iniziai a menarlo. Non durò molto. Bruno smontò da Ettore e si sdraiò a terra. L’omone gli sollevò leggermente il bacino, gli divaricò le gambe per continuare a scoparlo mentre lui mi si fece sotto per succhiarmelo come se dovesse mungere latte dalle mammelle di una vacca.
Vacillai.
Per non cadere, rapido appoggiai le mani al suolo.
Il mio culetto caldo si alzò leggermente in modo da permettere al mio seviziatore di continuare a tormentarmi. Il rosario anale improvvisato venne sfilato con dolcezza dalla mia cavità per lasciare il posto al randello di Sandro.
“Oooohhhh… Fa…” ricevere un uccello così lungo e tozzo senza adeguata lubrificazione mi causò un dolore tanto atroce da ammutolirmi e farmi lacrimare.
Lui dovette rendersene conto e fece marcia indietro. Non del tutto. Sputò tra la cappella puntata e le mie increspature tese allo spasmo per inumidirle. Prese ad incularmi lentamente: un movimento ritmico e costante che mi protese sempre più verso il volto di Ettore. Le nostre lingue in qualche modo si avvinghiarono e i suoi gemiti si spensero nella mia gola.
Iniziammo a limonare come due ossessi mentre Bruno, con le terga sempre sotto assedio, continuava a spompinarmi.
Una sacra famiglia coi fiocchi, nulla da dire!
Le nostre lingue vorticavano una attorno all’altra mischiando il sapore degli umori altrui alle salive di ciascuno e al sudore che infradiciava i rispettivi corpi. Il suo in particolare rese la sua barba ancor più morbida e i suoi peli del petto perfettamente lisci. Si deterse la fronte con un braccio.
Sandro ne approfittò per continuare a giocare con me e il cingolo.
Me lo sentii appoggiare con fermezza alla bocca costringendomi a stringere tra i denti uno dei nodi, mentre il resto della corda passava nuovamente dietro.
“Bravo… - sussurrò - …Vedo che hai capito le mie intenzioni…”
Mi sollevò prima un braccio aiutandomi ad alzarmi, poi l’altro.
Bruno ci guardò contrariati, come un bambino cui hanno portato via il gelato che stava leccando con gusto.
Li piegò all’indietro trattenendomi per i polsi. La corda li avvolse stringendoli saldamente con un cappio.
Così immobilizzato mi fece piegare a novanta per possedermi di nuovo. Mi fotteva energicamente usando la corda come le redini di un cavallo.
Anche Bruno stava subendo lo stesso trattamento da parte di Ettore.
Le nostre labbra erano vicinissime. Si sfiorarono… Cercai disperatamente di baciarle ma il dannato bavaglio me lo impediva.
“Un vero peccato…- sogghignò Sandro mentre mi spanava il buco con una foga tale da provocarmi spasmi incontrollati - Non vorrai mollare adesso, vero!? Il meglio deve ancora venire!”
Mi condusse sotto la finestra che illuminava la scena con il bianco chiarore della luna e fissò l’estremo libero della corda alla colonnina che decorava la bifora, immobilizzandomi completamente. Si sdraiò sotto di me iniziando a solleticarmi i coglioni: li strinse alla radice tirandoli con forza verso il basso. Soffocai nella gag ball il grido di dolore. Le carezzò lisciandole, soppesandole ed infine contorcendole.
Poi, sempre senza lasciarle andare, con sguardo penetrante si rivolse a Bruno.
Il ragazzo comprese immediatamente. Si sfilò da Ettore per dirigersi verso di noi. Si accovacciò sopra il suo confessore lasciandosi accarezzare il perineo per qualche istante dal tappeto di pelo morbido del suo pube. Con una mano masturbò il siluro scintillante che ne emergeva fino al momento in cui scomparve tra le sue natiche.
Sussultò Bruno prima di continuare a lavorarmi di bocca.
Gridò di dolore quando anche il cazzo di Ettore lo penetrò sovrapponendosi a quello che già conteneva.
Mi guardò ansimando.
Lo vidi mutare d’espressione. Vidi i suoi occhi velarsi. Pianse. Era certamente la prima volta che veniva posseduto da due uomini. E gli arnesi da lavoro che si portavano appresso non erano certamente dei piccoli calibri.
Resistette. Si abituò rapidamente alla doppia presenza e tornò a lapparmi.
Io non potevo muovermi. Dio solo sa quanto avrei voluto toccarmi e porre fine a quel supplizio eiaculando… E con quella lingua calda che titillava la cappella senza sosta non ci sarebbe voluto molto… Se solo avessi avuto facoltà di toccarmi.
I colpi che Ettore vibrava come una furia scatenata contro il bacino di Bruno non facevano che accrescere il ritmo del suo lavoro di bocca. Cercai di lenire la sensazione di dolore e piacere che il trattamento mi stava regalando fluttuando il capo o guardando il mio torturatore digrignando ancora di più i denti sperando di farlo smettere.
Bruno d’improvviso si fermò. Si alzò in piedi di scatto. I due compari furono velocissimi a seguirlo. Uno dei due lo immobilizzò mentre l’altro s’infilò in bocca l’uccello del ragazzo che venne senza toccarsi rovesciando tutto il suo seme caldo nell’avida gola di Ettore.
Si avvicinò per slegarmi mentre con un intenso bacio senza fine Sandro ringraziava il suo discepolo di quei momenti così estremi e intensi.
Anche Ettore mi baciò, non prima di aver insalivato il suo uccello con la sborra appena bevuta.
“Ora riposati… Te lo meriti...” gli sussurrò dolcemente. Entrambi si voltarono per vederci riprendere le medesime posizioni con cui li sorprendemmo.
Mi fecero spalancare il più possibile le gambe in modo da permettere anche al cazzo di Sandro di farsi strada verso la mia prostata insieme a quello di Ettore. Il frate sopra di me cominciò a baciarmi e a cavalcarmi sempre più velocemente regalandomi sensazioni incredibili. Fu così che inondai il suo addome di quella sborra che finalmente poté schizzare dal mio glande sfinito.
“Pulisci.!” L’ordine fu perentorio.
Con umiltà passai metodicamente la lingua su quel vello scuro ingoiando ogni goccia del seme riversato.
Inginocchiato davanti alle due spade tese, provai ad infilarmele in bocca entrambe. Troppo grosse. Riuscii a far passare solo le due cappelle che, in sincrono, riuscirono a placare la mia sete di sperma.
Sfinito mi adagiai sul pavimento.
Le braccia forti del mio padre spirituale mi sollevarono da terra e le sue labbra carnose mi regalarono il bacio più dolce. Mi strinsi a lui ricambiandolo e accoccolandomi sul suo petto.
Pregammo la compieta.
Non dormii nella mia cella il resto di quella notte. Il mio giaciglio rimase intatto. Ci lasciammo trasportare nuovamente dalla passione fino al canto del gallo.
Il nuovo giorno segnò anche il momento del congedo dai due confratelli.
E presto anche per noi sarebbe giunto il momento di tornare in abbazia per la professione solenne…
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